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Prescrizione conto corrente: prova dell’affidamento

In un caso di anatocismo e interessi illegittimi su conto corrente, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un istituto di credito, stabilendo un principio fondamentale sulla prescrizione conto corrente. Per posticipare il decorrere della prescrizione alla chiusura del conto, il cliente deve provare non solo l’esistenza di un fido, ma anche il suo specifico limite massimo. I versamenti effettuati oltre tale limite sono considerati solutori, con prescrizione che decorre dal singolo pagamento. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione Conto Corrente: La Prova del Limite di Fido è Cruciale

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15228/2024 interviene su un tema centrale del contenzioso bancario: la prescrizione conto corrente e la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie. Con questa decisione, i giudici supremi chiariscono in modo netto l’onere della prova a carico del correntista che agisce contro la banca per la restituzione di somme indebitamente pagate. Non basta affermare l’esistenza di un fido, ma è indispensabile dimostrarne il limite esatto per poter sostenere il carattere ripristinatorio dei versamenti.

I Fatti di Causa

Un correntista citava in giudizio il proprio istituto di credito per ottenere la declaratoria di nullità di alcune clausole del contratto di conto corrente e del collegato conto anticipi, chiedendo la restituzione di interessi ultralegali e commissioni non pattuite per iscritto.

In primo grado, il Tribunale rigettava la domanda, ritenendola generica. La Corte d’Appello, invece, ribaltava la decisione, accogliendo le richieste del cliente. Secondo i giudici di secondo grado, la domanda era sufficientemente specifica e, soprattutto, l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca doveva essere respinta. La Corte d’Appello riteneva che la presenza di un’apertura di credito rendesse tutte le rimesse ‘ripristinatorie’, facendo così decorrere il termine di prescrizione decennale solo dalla chiusura del conto. Sulla base di una CTU, condannava quindi la banca a restituire al correntista circa 66.000 euro.

L’istituto di credito proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione delle norme sulla prescrizione.

L’onere della Prova nella Prescrizione Conto Corrente

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nel primo motivo di ricorso, l’unico che viene accolto. La Corte Suprema ha ritenuto fondata la censura della banca relativa alla prescrizione conto corrente.

I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: il carattere solutorio (che estingue un debito) o ripristinatorio (che ricostituisce la provvista) di un versamento su un conto passivo dipende dall’esistenza e dai limiti di un contratto di affidamento.

* Un versamento è ripristinatorio solo se effettuato su un conto il cui saldo passivo rientra nei limiti del fido concesso dalla banca.
* Un versamento è, invece, solutorio se effettuato su un conto scoperto (senza fido) o il cui saldo passivo ha superato il limite del fido concesso.

La distinzione è cruciale per la prescrizione: per le rimesse ripristinatorie, il termine per chiederne la restituzione decorre dalla chiusura del conto; per quelle solutorie, decorre dalla data di ogni singolo versamento. La Corte d’Appello aveva errato nel considerare sufficiente la generica esistenza di un’apertura di credito, senza che l’attore ne avesse provato il limite massimo.

Le Altre Censure e la Decisione della Corte

La Cassazione ha rigettato gli altri due motivi di ricorso della banca. Con il secondo motivo, l’istituto lamentava che la ricostruzione del rapporto fosse avvenuta sulla base di documentazione incompleta. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato (Cass. 11543/2019): il correntista che agisce in giudizio può basare i calcoli sul primo saldo a debito documentato, poiché l’estratto conto è un documento proveniente dalla banca stessa e pienamente opponibile ad essa. Spetta alla banca, se vuole contestare quel saldo, produrre gli estratti conto precedenti.

Anche il terzo motivo, relativo a una presunta omissione di pronuncia, è stato respinto in quanto considerato una mera difesa e non un’eccezione in senso proprio.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione sul punto della prescrizione è logica e rigorosa. Il carattere ripristinatorio di una rimessa presuppone l’esistenza di una provvista ‘da ripristinare’, provvista che è per sua natura limitata: il fido bancario. Se il correntista non dimostra quale fosse questo limite, non è possibile stabilire se un versamento abbia avuto funzione ripristinatoria o se invece sia servito a coprire un debito eccedente il fido, e quindi con funzione solutoria. Di conseguenza, per contrastare l’eccezione di prescrizione della banca, non basta al correntista “dedurre e dimostrare la presenza di una generica apertura di credito, ma è indispensabile che egli deduca e dimostri anche il limite massimo della stessa”. Solo superato tale limite, una rimessa assume carattere solutorio, ma per i versamenti infra-fido è necessario che il limite sia provato.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di contenzioso bancario e prescrizione conto corrente: l’onere della prova è a carico del correntista. Chi intende agire per la ripetizione dell’indebito deve essere in grado di documentare non solo l’esistenza di un’apertura di credito, ma anche il suo preciso ammontare. In assenza di tale prova, i versamenti su conto in passivo rischiano di essere considerati solutori, con la conseguenza che il diritto alla restituzione per i pagamenti più datati potrebbe essere già prescritto. La decisione cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa a un nuovo esame che dovrà attenersi a questo stringente principio di diritto.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per la restituzione di somme indebitamente versate su un conto corrente?
Dipende dalla natura del versamento. Se il versamento è ‘ripristinatorio’, cioè avviene entro i limiti di un fido concesso dalla banca, il termine di prescrizione di dieci anni decorre dalla data di chiusura del conto. Se invece il versamento è ‘solutorio’, cioè copre un debito su un conto senza fido o oltre i limiti del fido, la prescrizione per quel singolo versamento decorre dalla data in cui è stato effettuato.

Chi deve provare l’esistenza e il limite di un fido bancario in una causa contro la banca?
L’onere della prova spetta al correntista. Secondo la Corte di Cassazione, per sostenere che i versamenti avevano natura ripristinatoria e quindi posticipare la prescrizione, il cliente deve dimostrare non solo l’esistenza di un’apertura di credito, ma anche il suo specifico limite massimo.

È possibile avviare una causa contro una banca per la ricostruzione del conto anche se si possiedono solo estratti conto parziali?
Sì. La Corte ha confermato che il correntista può iniziare i calcoli dal primo saldo debitore documentato dagli estratti conto in suo possesso. Poiché l’estratto conto è un documento emesso dalla banca, fa piena prova contro di essa. Sarà poi onere della banca, se intende contestare quel saldo, fornire la documentazione completa del periodo precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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