Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14757 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14757 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28982/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME
(CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che, insieme a sé medesimo, lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2386/2022, depositata il 6/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
AVV_NOTAIO COGNOME ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma la società RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il riconoscimento di compensi professionali, maturati in relazione all’attività difensiva svolta in favore della convenuta in relazione a svariate controversie. Il Tribunale di Roma si è dichiarato incompetente e la causa è stata riassunta dall’attore di fronte alla Corte d’appello di Roma.
La Corte d’appello di Roma, con ordinanza del 6 aprile 2022, ha parzialmente accolto la domanda, condannando la convenuta al pagamento di euro 225. La Corte d’appello, a fronte dell’eccezione della convenuta di intervenuta prescrizione presuntiva e di regolare pagamento dei compensi dovuti a COGNOME, ha osservato come, ai sensi dell’art. 2957, comma 2, c.c., il dies a quo del decorso del termine triennale di prescrizione debba individuarsi nell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico, momento che coincide con la pubblicazione del provvedimento decisorio definitivo; la Corte ha così ritenuto che fossero prescritti i compensi relativi a due giudizi di primo grado, definiti il primo nel 2007 e il secondo nel 2014, e che non risultasse maturata la prescrizione soltanto per l’attività professionale svolta in relazione a un atto di precetto notificato il 6 aprile 2016.
Avverso l’ordinanza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, che ha depositato memoria.
Con atto del 22 settembre 2023 il Consigliere delegato dal Presidente della sezione seconda ha formulato proposta di
definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., essendo il ricorso manifestamente infondato.
Il ricorrente ha proposto istanza di decisione del ricorso insieme alla memoria di costituzione di un nuovo difensore e contestualmente si è costituito quale difensore di sé stesso unitamente all’AVV_NOTAIO.
Il ricorrente, infine, ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza, chiedendo a questa Corte di rimettere la decisione della causa alle sezioni unite e sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 380 -bis c.p.c. per violazione dell’art. 111, comma 7 della Costituzione, laddove -in caso di conferma della proposta di definizione -prevede l’automatica applicazione delle duplici sanzioni di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 96 c.p.c.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in due motivi, tra loro strettamente connessi:
Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2957, comma 2 c.c., in relazione alla prescrizione del diritto di credito per compensi professionali: la Corte d’appello ha accolto l’eccezione di prescrizione formulata da controparte sulla base del principio per il quale questa decorre dalla data dell’esaurimento dell’affare per cui fu conferito l’incarico, individuata nella data in cui sono state depositate le sentenze a conclusione dei processi di opposizione a precetto e di opposizione all’esecuzione davanti al Tribunale di Velletri; la decisione sarebbe erronea in quanto si è trattato pacificamente di un unico incarico a prestazioni plurime svolte nei confronti della medesima controparte, la RAGIONE_SOCIALE, afferente di fatto a un unico contratto di patrocinio originato da un lodo arbitrale del gennaio 1992, come d’altra parte riconosciuto da controparte, che nella propria comparsa di costituzione afferma che ‘nei primi anni Novanta la società convenuta conferiva mandato all’AVV_NOTAIO COGNOME
COGNOME per la tutela dei propri diritti ed interessi nell’ambito di diversi procedimenti arbitrali e giudiziali dal 1992 al 2016′; si tratta quindi di una pluralità di attività espletate a seguito di un unico incarico, così che si è di fronte ad una prestazione unitaria che deve considerarsi ultimata quando il mandato si è esaurito.
2) Il secondo motivo contesta, sotto altro aspetto, omesso esame di documenti essenziali per la decisione: quanto sopra esposto, relativamente al contenuto degli atti delle parti, in particolare la comparsa di costituzione della controparte e la relativa documentazione a corredo, ossia l’elenco delle cause in contenzioso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE indicate da entrambe le parti, dimostra anche l’omesso esame di fatti decisivi per l’esito della causa, essendosi la Corte d’appello fermata alla verifica della data di esaurimento delle sole attività svolte presso il Tribunale di Velletri, tralasciando di esaminare nel complesso la prestazione svolta.
I motivi – in relazione ai quali non si ravvisa la sussistenza dei presupposti per la rimessione della causa alle sezioni unite, trovando applicazione un principio più volte affermato da questa Corte – non possono essere accolti. Il Collegio ritiene infatti di dare continuità al principio secondo il quale la conclusione della prestazione, che l’art. 2957, comma 2, c.c. individua quale dies a quo del decorso del termine triennale di prescrizione delle competenze dovute agli avvocati, deve individuarsi nell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico, momento che coincide con la pubblicazione del provvedimento decisorio definitivo, sicché eventuali successive iniziative intraprese dal medesimo difensore, anche se connesse alla decisione definitiva, costituiscono prestazione di nuova attività, assoggettata a un autonomo termine di prescrizione (così, ex multis , Cass. n. 21943/2019, che ha ritenuto che, ai fini della prescrizione, il procedimento esecutivo finalizzato a rendere
effettivo il diritto riconosciuto in sede di cognizione rappresenti una nuova attività). Pertanto, pure a volere ammettere che i vari procedimenti possano avere un legame con il lodo arbitrale del gennaio del 1992, in relazione ai singoli giudizi di cognizione occorreva avere riguardo alla data cui risaliva la loro definizione e non poteva incidere sulla decorrenza della prescrizione presuntiva la successiva iniziativa esecutiva intrapresa in attuazione di quanto disposto in sede di cognizione.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Avendo la Corte definito il giudizio in conformità alla proposta ex art. 380 -bis c.p.c., trova applicazione la previsione di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c., come testualmente previsto dal citato art. 380 -bis , ultimo comma (“Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380 -bis .1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica l’articolo 96, terzo e quarto comma”). L’art. 96, terzo comma, a sua volta, così dispone: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Il quarto comma aggiunge: “Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore a euro 5.000”. Trattasi di una novità normativa (introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore a
euro 500 e non superiore a euro 5.000 (art. 96, quarto comma, ove, appunto, il legislatore usa la locuzione “altresì”).
Il Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in relazione all’applicazione dei commi 3 e 4 dell’art. 96 c.p.c. sia questione manifestamente infondata. Il ricorrente invoca quali parametri violati della Costituzione l’art. 23, in quanto mancherebbe l’individuazione dei presupposti cui viene ricollegata l’imposizione della prestazione patrimoniale, gli artt. 24 e 111 perché lo ‘strumento punitivo’ avrebbe l’unico scopo di scoraggiare l’esercizio del diritto di difesa, l’art. 3, commi 1 e 3, in quanto solo la parte economicamente avvantaggiata sarebbe in grado di sostenere il rischio di costi sproporzionati mentre quella svantaggiata rinuncerà alla tutela giudiziaria con violazione del principio di uguaglianza, l’art. 117, comma 1, in quanto sarebbe violato il diritto all’equo processo e all’effettività della tutela giudiziaria, nonché il principio di non discriminazione garantiti dagli artt. 6, 13 e 14 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, infine l’art. 76 per eccesso di delega, in quanto il legislatore ha autonomamente introdotto l’applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4 c.p.c. in una ‘sorta di corrispettivo per l’uso di una risorsa dichiaratamente limitata’.
Come hanno sottolineato le sezioni unite di questa Corte (v. Cass. n. 13197/2024), con l’istituto in esame risulta codificata un’ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale), il che porta a superare il profilo dell’eccesso di delega. I presupposti applicativi sono poi precisati dal legislatore, ossia la richiesta della decisione a fronte di una proposta di definizione ove venga ravvisata l’inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso e la conformità alla proposta della decisione collegiale; d’altro canto, come puntualizzano ancora le sezioni unite nella pronuncia appena
richiamata, non attenersi a una valutazione del Presidente, o del Consigliere da lui delegato, che poi trovi conferma nella decisione finale ‘lascia certamente presumere una responsabilità aggravata’. Quanto al possibile contrasto con il diritto di accesso al giudice e con il diritto di difesa, e quindi con il diritto al giusto processo e al rispetto del principio di uguaglianza tra le parti, va sottolineato che ‘va esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non compatibili con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione, in concreto, delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie’ (così, ancora, la pronuncia delle sezioni unite n. 13197/2024 e la pronuncia, sempre delle sezioni unite, n. 566/2024).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, si dà̀ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 3.600, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento di euro 2.000, ancora in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. e al pagamento di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione