SENTENZA TRIBUNALE DI ROMA N. 12907 2025 – N. R.G. 00068380 2019 DEPOSITO MINUTA 22 09 2025 PUBBLICAZIONE 22 09 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
Sezione decima civile
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott. NOME COGNOME letti gli artt. 352 c.p.c., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., ha pronunciato la seguente
SENTENZA DEFINITIVA
nella causa iscritta al n. 68380 del Ruolo Generale Affari Civili Contenziosi dell’anno 2019
tra
C.F.
), in giudizio con l’avv.
NOME COGNOME
– parte appellante –
e
C.F.
)
– parte appellata contumace –
e con l’intervento di
C.F.
, in giudizio con l’avv. NOME COGNOME
-terza intervenuta ex art. 111 c.p.c.-
e di
RAGIONE_SOCIALE, in giudizio con l’avv. NOME COGNOME
-terza intervenuta ex art. 111 c.p.c.-
P.
P.
P.
OGGETTO:
somministrazione.
CONCLUSIONI: – per parte appellante: ‘ come da atto di appello ‘ e quindi: ‘ Nel merito, riformare integralmente la sentenza n. 14834/19 del Giudice di Pace di Roma (proc. civ. n. 23082/2017 R.G.) manifestamente illogica, immotivata e
contraddittoria, stante l’erronea valutazione delle risultanze probatorie e, per l’effetto, revocare il decreto ingiuntivo n. 34523/16 D.I. – 38249/16 R.G , emesso dal Giudice di Pace di Roma il 12.7.2016,per i motivi spiegati in narrativa e/o in subordine limitando l’importo dovuto alle sole somme on eventualmente prescritte.
Con vittoria di spese di lite del giudizio di entrambi i gradi ‘;
per la terza intervenuta ‘ come da comparsa di costituzione e risposta della cedente e quindi: ‘ -nel merito respingere l’appello, così come formulato e proposto, avverso la sentenza n. 14834/2019 emessa in data 31.05.2019 dal Giudice di Pace di Roma e, per lo effetto, confermarla integralmente.
Con condanna alla rifusione delle spese e dei compensi di lite di entrambi i gradi di giudizio con attribuzione alla .
MOTIVI DELLA DECISIONE
Oggetto della controversia ed elementi del processo rilevanti ai fini della decisione.
1.1. Con ricorso ex art. 633 e ss. c.p.c. depositato in data 30.5.2016, ha chiesto ed ottenuto l’emissione del decreto n. 34523/2016, notificato in data 6.10.2016, con cui il Giudice di pace di Roma ha ingiunto a
il pagamento dell’importo di euro 4.937,41, oltre interessi in misura legale dalla domanda e spese della fase monitoria, quale corrispettivo maturato a fronte della somministrazione di ‘energia elettrica/gas’ e portato da una serie fatture (n. 21) rimaste insolute ed elencate nel ricorso per decreto ingiuntivo.
1.2. ha quindi proposto opposizione ex art. 645 c.p.c., concludendo per la revoca del decreto ingiuntivo opposto, con accertamento del credito della opposta nella sola misura di euro 307,40.
La allora opponente ha infatti eccepito:
che il decreto ingiuntivo era fondato su fatture relative alla fornitura di gas naturale per il periodo da gennaio 2008 a dicembre 2011;
che la stessa opponente non aveva mai firmato contratti con , né aveva mai ricevuto fatture dalla stessa;
che le uniche fatture ricevute dalla società opponente erano quelle emesse, per la fornitura di energia elettrica, da Enel RAGIONE_SOCIALE e, per la fornitura del gas, da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2013;
che, solo in data 11.11.2016 e su richiesta della stessa opponente, aveva inviato le fatture oggetto di contestazione;
che il credito della opposta era in larga parte prescritto per decorrenza del termine quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4 c.c.;
-che infatti: (i) l’unica comunicazione avente efficacia interruttiva della prescrizione, ricevuta dalla opponente prima della notifica del decreto ingiuntivo opposto effettuata in data 6.10.2016, era quella effettuata tramite raccomandata a/r del 29.3.2013, con cui la opposta aveva chiesto il pagamento delle sole fatture n. 240744536 di euro 849,12 e n. 2407479309 di euro 103,45; (ii) la fattura n. 240744536 di euro 849,12 era però relativa a fornitura del mese di gennaio 2008 ed era stata emessa solo in data 20.2.2013, quando il elativo credito era già prescritto; (iii) in assenza di ulteriori atti interruttivi, gli unici importi non coperti da prescrizione erano quindi quelli relativi alla fornitura del gas effettuata nel periodo ricompreso fra il 6.10.2011 ed il 31.12.2011 e quindi solo il credito di euro 203,95 portato dalla fattura n. 2407479302 e quello di euro 103,45 portato dalla già menzionata fattura n. 2407479309; il tutto per complessivi euro 307,40, somma questa che la stessa opponente era disponibile a corrispondere.
1.3. si è costituita innanzi al Giudice di pace oltre la prima udienza ex art. 320 c.p.c., concludendo per il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto o comunque per la condanna della opponente al pagamento del dovuto.
La allora parte opposta, ha infatti a sua volta esposto:
-che, con lettera del 30.11.2011 la opponente, per il tramite di un’associazione di consumatori, aveva contestato le fatture ricevute da , dando peraltro atto di averne ricevute cinque a novembre 2011;
che, con lettera del 14.9.2012, aveva riscontrato il reclamo, precisando di avere effettuato la somministrazione di gas per il periodo dall’1.2.2007 all’1.1.2012 e di avere dovuto procedere a ripristinare la fatturazione in quanto non in grado di identificare l’offerta contrattuale scelta dal cliente e di avere conseguentemente applicato, a tutela del cliente stesso, i minori prezzi stabiliti dall’Autorità di settore per il servizio di maggior tutela;
che, con missiva del 9.11.2012, il legale della opponente aveva contestato la
fondatezza dell’intimazione di pagamento ricevuta, in data 12.10.2012, per il complessivo importo di euro 5.114,77;
-che, con ulteriore comunicazione del 5.3.2013, aveva ribadito l’avvenuta somministrazione del gas, aggiungendo di avere provveduto al ricalcolo dei consumi di gas effettivi e di avere quindi riemesso, previo storno delle fatture precedenti, le fatture con i conteggi rettificati;
che il decorso della prescrizione era stato quindi interrotto con le comunicazioni del 14.9.2012 e del 5.3.2013;
che il mancato reperimento del contratto era irrilevante, non essendone prevista la forma scritta ad substantiam ed essendo le condizioni economiche di fornitura del gas naturale, per i clienti in regime di tutela, stabilite e periodicamente aggiornate dall’Autorità di settore.
1.4. Il Giudice di Pace adito, con sentenza n. 14834/2019, depositata il 31.5.2019, ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo opposto, con condanna della opponente al rimborso delle spese di lite, liquidate in euro 850,00, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.
Il Giudice di prime cure ha infatti ritenuto:
-infondata l’eccezione di mancata sottoscrizione del contratto, avendo la opponente comunque fruito del gas somministrato;
-infondata l’eccezione di prescrizione, alla luce della corrispondenza intercorsa fra le parti;
-sussistente il credito portato dalle fatture azionate, in quanto certificato dall’estratto notarile autentico della opposta e risultando le eccezioni della opponente smentite dalla documentazione in atti.
1.5. Con atto di citazione notificato ad in data 24.10.2019, ha quindi proposto appello contro la predetta sentenza,
formulando conclusioni conformi a quelle sopra trascritte.
La appellante ha articolato tre motivi di gravame, così rubricati:
‘ Sulla mancata sottoscrizione del contratto di fornitura ‘, con cui ha lamentato come il Giudice di prime cure avesse erroneamente ritenuto irrilevante la sottoscrizione del contratto, omettendo così di considerare il disposto dell’art. 66 quinquies del Codice del consumo, secondo cui ‘ Il consumatore è esonerato dall’obbligo di fornire qualsiasi
prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non richiesta di servizi ‘;
ii) ‘ Sull’eccezione di prescrizione ‘, con cui, nel ribadire quanto già eccepito sul punto nel giudizio di primo grado, ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata, in quanto assunta sulla scorta di documentazione tardivamente prodotta dalla allora opposta, essendosi quest’ultima costituita oltre l’udienza ex art. 320 c.p.c.;
iii) ‘ Sulla sussistenza del credito ‘, con cui ha lamentato l’assenza di prova del credito azionato, posto che la appellata non aveva depositato alcun documento idoneo a dare evidenza della fondatezza della propria pretesa, tale non essendo la documentazione, di provenienza unilaterale, costituita dall’estratto autentico attestante la registrazione delle fatture nella contabilità della stessa appellata.
1.6. nonostante la ritualità della notifica dell’atto di appello, non si è costituita nel presente giudizio.
1.7. Si è invece costituita in giudizio, formulando conclusioni conformi a quelle sopra trascritte, in qualità di cessionaria del credito oggetto di controversia, in forza della conclusione, in data 21.12.2018 e con di un contratto di cessione di crediti pecuniari ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli articoli 1 e 4 della Legge 130/1999 e dell’articolo 58 del T.U. Bancario, come da avviso pubblicato nella G.U. parte II n. 94 del 10 Agosto 2019.
Oltre a ribadire le difese già esposte dalla cessionaria nel giudizio di primo grado, ha infatti ulteriormente dedotto che la questione della inesistenza del rapporto di somministrazione era stata solo marginalmente esposta nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, con conseguente operatività del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..
1.8. Con ulteriore comparsa, è poi intervenuta, sempre ai sensi dell’art. 111 c.p.c., dando atto di essersi resa a sua volta cessionaria del credito controverso (in forza di un contratto di cessione di crediti pecuniari pro soluto , ai sensi degli artt.1260 e segg. cod. civ. del 21.12.2022, con avviso pubblicato nella G.U. parte II n.5 del 12.1.2023) e facendo proprie le difese già svolte dalla cedente
1.9. Rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, la causa, istruita tramite le prove documentali già acquisite nel corso del
giudizio di primo grado, è stata assunta in decisione sulla base delle conclusioni sopra trascritte, con termini di cui all’art. 190, comma 1, c.p.c. per il deposito degli scritti conclusionali.
L’appello va accolto nei limiti e per i motivi di seguito indicati.
Il secondo motivo di appello, da esaminare in via prioritaria in quanto relativo a questione preliminare, è parzialmente fondato.
3.1. Sotto il profilo istruttorio, deve essere rigettata l’eccezione di inutilizzabilità, di fini della decisione, della documentazione prodotta dalla appellata in sede di costituzione nel giudizio di primo grado.
Occorre infatti premettere che l’art. 320, comma 3 c.p.c. – nella formulazione in vigore a partire dal 21.3.1998, ratione temporis applicabile al caso di specie (‘ Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere ‘) – prevede che, entro la prima udienza, le parti precisino definitivamente i fatti posti a base delle domande, difese ed eccezioni, producano i documenti e richiedano i mezzi di prova da assumere. Il rito è caratterizzato dal regime di preclusioni che assiste il procedimento dinanzi al tribunale, le cui disposizioni sono applicabili in mancanza di diversa disciplina, con la conseguenza che, dopo la prima udienza, in cui il giudice invita le parti a ” precisare definitivamente i fatti “, non è più possibile proporre nuove domande o eccezioni ed allegare a fondamento di esse nuovi fatti costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi, né tale preclusione è disponibile dal giudice di pace mediante un rinvio della prima udienza, per consentire tali attività oramai precluse, né, parimenti, l’omissione, da parte del medesimo giudice, del formale invito impedisce la verificazione della preclusione (v. Cass. 12454/2008 e Cass. 20840/2017).
Il comma 4 dello stesso art. 320 c.p.c. (‘ Quando sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, il giudice di pace fissa per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova ‘) consente tuttavia, su istanza di parte, la fissazione di una nuova udienza al fine di effettuare ulteriori produzioni documentali e richieste di prova, con conseguente differimento, fino alla udienza così fissata, della maturazione delle preclusioni istruttorie.
Nel caso di specie, va allora osservato come, in occasione della prima udienza
tenutasi innanzi al giudice di pace, sia stata proprio la odierna parte appellante a chiedere ‘ termine ex art. 320 c.p.c. per la definitiva formulazione delle istanze istruttorie ‘ e come, in conseguenza di ciò, il giudice di pace abbia disposto rinvio ‘ ex art. 320 c.p.c. ‘ alla successiva udienza del 15.12.2017, poi tenutasi in data 13.9.2018 (per effetto di alcuni rinvii d’ufficio, come anche si evince dal verbale di quest’ultima udienza).
Ne deriva pertanto che, quanto alla documentazione versata in atti da nel giudizio di primo grado, non può essere considerata tardiva non solo la produzione di quanto già versato in atti nel fascicolo della fase monitoria (non potendo qualificarsi come nuova tale documentazione; in tema, v. fra le altre Cass. 20584/2019, secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è ammesso il deposito dei documenti allegati al ricorso monitorio anche dopo lo spirare dei termini assegnati dal giudice per le produzioni documentali, atteso che tali documenti, ai sensi dell’art. 638, comma 3, c.p.c., restano a disposizione dell’ingiunto almeno fino alla scadenza del termine per proporre opposizione, sicché, essendo già esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati come “nuovi” nei successivi sviluppi del processo), ma neanche gli ulteriori documenti allegati dalla stessa alla comparsa di costituzione e risposta depositata in occasione della predetta udienza del 13.9.2018.
3.2. Parte appellante ha eccepito la prescrizione del credito portato da n. 19 delle n. 21 fatture poste a fondamento dell’ingiunzione.
Più precisamente, ha indicato come non coperto da prescrizione solo il credito di euro 203,95 portato dalla fattura n. 2407479302 (relativa al periodo ottobre-novembre 2011) e quello di euro 103,45 portato dalla già menzionata fattura n. 2407479309 (emessa a chiusura del rapporto e contenente anche il conguaglio, sulla base di dati di consumo effettivo, per il periodo ricompreso fra gennaio 2008 e dicembre 2011, in relazione al quale la precedente fatturazione era stata invece effettata su base di stima). Il tutto per complessivi euro 307,40.
Come si evince dall’esame delle fatture prodotte dalla stessa parte appellata (doc. 4 del fascicolo di primo grado), il credito portato dalle fatture oggetto di eccezione di prescrizione (tutte emesse fra il 20.2.2013 ed il 21.2.2013) è riferito a consumi di gas stimati e relativi al periodo ricompreso fra gennaio 2008 e settembre 2011.
ha prodotto, fin dalla fase monitoria (v. doc. 4 del fascicolo della fase monitoria), la diffida del 25.2.2015 (inviata sia a mezzo PEC che tramite raccomandata e ricevuta, rispettivamente, in data 27.2.2015 ed in data 4.3.2015), con cui ha intimato alla società odierna appellate il pagamento di tutti i crediti oggetto della presente controversia, per il complessivo importo di euro 4.937,41. Intimazione alla quale poi ha fatto seguito la proposizione della domanda giudiziale, con ricorso per decreto ingiuntivo depositato in data 30.5.2016 e successiva notifica dell’ingiunzione di pagamento in data 6.10.2016.
La documentazione appena menzionata rende quindi evidente come l’eccezione di prescrizione sia infondata quantomeno per i crediti maturati nel quinquennio antecedente al 27.2.2015 e, dunque, per i crediti, del complessivo ammontare di euro 1.750,23, portati dalle fatture aventi numerazione progressiva (si indicano per comodità solo le ultime tre cifre) dal 286 in poi e relativi a somministrazione di gas effettuata a partire dal mese di febbraio del 2010.
Occorre poi verificare se l’ulteriore documentazione prodotta da nel giudizio di opposizione (docc. da 1 a 4) sia idonea a dare prova dell’interruzione della prescrizione anche per crediti antecedenti a quelli appena indicati.
La risposta al quesito deve essere negativa.
Non vi è infatti prova dell’invio, ancor prima che della ricezione, delle missive di del 14.9.2012 e del 5.3.2012 (doc. 2 e 4).
Quanto poi alla missiva del 30.11.2011 (doc. 1), inviata da un’associazione di consumatori in nome e per conto della società odierna appellante, si osserva come essa faccia solo riferimento alla precedente ricezione, ‘ nel mese di novembre 2011 ‘, di non meglio specificate ‘ cinque fatture relative alla fornitura di gas ‘. Espressione questa del tutto generica e che non consente di avere alcuna certezza circa l’esatto contenuto delle fatture cui si fa richiamo e dunque circa la possibilità che, con il loro invio, la somministrante abbia inteso far valere crediti, in tutto o in parte, coincidenti con quelli (sia pure rideterminati nell’importo mediante successiva fatturazione) oggetto della presente controversia.
Considerazioni analoghe, quanto all’inidoneità del documento ad offrire adeguata prova dell’atto interruttivo, valgono quindi in relazione all’ulteriore missiva del 5.11.2012 (doc. 3), anch’essa inviata da un’associazione di consumatori in nome e per
conto della società odierna appellante.
E’ infatti pur vero che, in quest’ultima comunicazione, si dà atto dell’avvenuta ricezione, da parte di ‘ ‘ ed in data 12.10.2012, di un’intimazione di pagamento dell’importo di euro 5.114,57, per fatture ‘ emesse dal 13.10.2011 al 21.5.2012 ‘.
Anche in questo caso, tuttavia, non emerge alcun elemento -né dalla predetta missiva, né da ulteriore documentazione versata in atti, non essendo state prodotte le precedenti fatture cui si fa riferimento -idoneo a dare evidenza del fatto i crediti fatti valere con l’intimazione di pagamento ivi menzionata fossero, in tutto o in parte, coincidenti con quelli oggetto della presente controversia e che, pertanto, la predetta intimazione del 12.10.2012 possa venire qui in rilievo quale atto interruttivo della prescrizione.
3.3. Il credito oggetto di controversia deve quindi ritenersi prescritto per la parte di esso eccedente l’importo di euro 2.057,63 (ossia per tutte le somme portate dalle fatture con numerazione antecedente a quella n. 0000002407479286).
Il primo ed il terzo motivo di appello, da esaminare congiuntamente, devono invece essere disattesi.
4.1. La doglianza con cui la appellante lamenta la mancata applicazione del disposto dell’art. 66 quinquies del Codice del consumo è palesemente infondata.
La società appellante non riveste infatti la qualità di consumatore, come definito dall’art. 3, comma 1, lett. a) dello stesso Codice (‘ la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta ‘).
4.2. Le risultanze istruttorie consentono poi di ritenere acquisita la prova della sussistenza del rapporto contrattuale e del suo contenuto.
Le uniche eccezioni specifiche sollevate dalla appellante non riguardano la fruizione della somministrazione del gas, ma si incentrano sul dato formale della mancata sottoscrizione del contratto. Parte appellante non ha infatti allegato e comunque provato di avere fruito, nel medesimo periodo cui si riferiscono le fatture contestate, della somministrazione del gas effettuata da altro fornitore. Né ha specificamente allegato di non avere affatto fruito del gas nel predetto periodo (ad esempio, per avere cessato o sospeso la propria attività).
Va inoltre considerato che la stessa parte appellante ha chiesto di accertare l’esistenza del credito nella minore misura di euro 307,40, corrispondente agli importi di cui alle fatture n. 2407479302 (relativa al periodo ottobre-novembre 2011) e n. 2407479309. Fattura quest’ultima che, come già rilevato, è stata emessa a chiusura del rapporto e contiene anche il conguaglio, effettuato sulla base di dati di consumo effettivo, relativo al periodo ricompreso fra gennaio 2008 e dicembre 2011.
Tale condotta processuale assume quindi rilievo, non solo ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.c., ma anche, più specificamente, ai sensi dell’art. 115, comma 1, c.p.c., essendo incompatibile con la negazione della sussistenza del rapporto contrattuale nel periodo indicato (gennaio 2008-dicembre 2011).
Non induce a diverse conclusioni l’eccepita mancata produzione del contratto scritto, vertendosi in materia in cui non è prescritta la forma scritta (v. Cass. 20267/2023, riferita alla somministrazione di energia elettrica, ma le cui affermazioni di principio sono estensibili anche alla somministrazione di gas, secondo cui il contratto di somministrazione di energia elettrica non richiede la forma scritta né ad substantiam , né ad probationem ; con la conseguenza che la sua conclusione può avvenire anche per facta concludentia e ne può essere data prova con ogni mezzo, anche attraverso presunzioni semplici) ed avendo in ogni caso la odierna parte appellata allegato, a fronte della somministrazione di gas effettuata presso l’utenza della appellante e da quest’ultima evidentemente accettata, di avere applicato anche in questo caso senza che la appellante abbia specificamente contestato la circostanza -le più favorevoli condizioni economiche previste per il cd. servizio di maggior tutela.
4.3. Quanto poi alla prova dei consumi esposti nelle fatture valgono le seguenti considerazioni.
Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 13605/2019 e 297/2020), in tema di riparto dell’onere della prova in materia di somministrazione di energia elettrica, occorre innanzitutto distinguere fra tre ipotesi:
A) quella in cui si esclude una manomissione del contatore, ma i consumi registrati vengono contestati dall’utente, in quanto ritenuti non riferibili ai consumi effettivi, ipotizzando quindi o un malfunzionamento del contatore o attività illecite di terzi inerenti il consumo di energia;
B) quella in cui il contatore risulta manomesso, ma la alterazione dell’apparecchio è
avvenuta ad opera di terzi all’insaputa dell’utente;
C) quella, infine, in cui la alterazione dell’apparecchio-contatore è riferibile a condotta illecita dolosa dell’utente.
Nell’ipotesi di cui alla lettera A), che ricorre nella specie (in quanto la odierna appellante non ha lamentato la manomissione del contatore, ma si è limitato a contestare, sia pure genericamente, la mancanza di prova del credito e dunque anche l’entità dei consumi addebitati), si deve poi in particolare considerare:
-che ‘ Il contatore, quale strumento deputato alla misurazione dei consumi, è stato accettato consensualmente dai contraenti come meccanismo di contabilizzazione ‘ (con ciò che in linea generale ne consegue in termini di onere per l’utente di dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile, ai sensi dell’art. 1218 c.c.);
-che tuttavia ‘ le disfunzioni dello strumento dipendono da guasti per lo più occulti e che comunque comportano verifiche tecniche non eseguibili dal debitore sprovvisto delle necessarie competenze ‘.
Partendo da queste premesse ed applicando il principio di vicinanza della prova, la disciplina del riparto dell’onere probatorio, nell’ipotesi in esame, va quindi regolata come segue.
A fronte della pretesa creditoria fondata sulle risultanze del contatore, l’utente è onerato di contestare il malfunzionamento dello strumento in questione -richiedendone la verifica -e di dimostrare l’entità dei consumi effettuati nel periodo (avuto riguardo al dato statistico di consumo normalmente rilevato in precedenti bollette e corrispondente agli ordinari impieghi di energia).
Incombe, invece, sul gestore l’onere di provare che lo strumento di misurazione è regolarmente funzionante.
In quest’ultimo caso, l’utente è a sua volta tenuto a dimostrare che l’eccessività dei consumi è imputabile a terzi e, altresì, che l’impiego abusivo non è stato agevolato da sue condotte negligenti nell’adozione di misure di controllo idonee ad impedire altrui condotte illecite.
In definitiva, dunque, quanto sopra implica che, in materia, le risultanze delle fatture siano destinate ad avere un’efficacia probatoria ben maggiore di quella di norma attribuita a tale tipologia di documento.
Le fatture emesse dalla somministrante contengono infatti il dettaglio, non solo
delle condizioni economiche applicate, ma anche dei consumi registrati dal soggetto terzo (il distributore locale) cui, per normativa di settore avente efficacia integrativa del regolamento contrattuale, compete in via esclusiva l’attività di rilevazione e comunicazione dei consumi effettuati dal somministrato.
Di modo che, ove non vi sia specifica contestazione della corrispondenza fra dati di consumo riportati in fattura e dati comunicati dal distributore oppure il somministrato non adempia agli oneri di specifica contestazione e prova sopra descritti, le fatture in questione costituiscono adeguata prova del credito da esse portato.
Considerazioni analoghe a quelle che precedono valgono poi in merito alla somministrazione di gas, posto che, anche in questo caso, la contabilizzazione dei consumi è rimessa dalle parti ad un apposito strumento di misura e la relativa attività di rilevazione e comunicazione compete al soggetto terzo incaricato dell’attività di distribuzione.
Nel caso in esame, si deve allora escludere che la odierna appellante abbia assolto agli oneri sopra individuati.
Non ha infatti specificamente contestato la corrispondenza fra dati di consumo dettagliatamente esposti nelle fatture e dati rilevati dal soggetto terzo a ciò deputato (il distributore locale), né ha tempestivamente lamentato (richiedendone la verifica) il malfunzionamento dei misuratore, né ha fornito elementi idonei ad evidenziare una palese sproporzione dei consumi fatturati rispetto a quelli ritenuti congrui (avuto riguardo al dato statistico di consumo normalmente rilevato in precedenti bollette e corrispondente agli ordinari impieghi di gas caratterizzanti la specifica attività svolta), né, infine, ha allegato e provato che i consumi siano da imputare a terzi e che l’impiego abusivo non sia stato agevolato da sue condotte negligenti nell’adozione di misure di controllo idonee ad impedire altrui condotte illecite.
4.4. Quanto precede induce quindi a ritenere adeguatamente provato il credito, al netto della parte di esso estinto per prescrizione, nella misura di euro 2.057,63 (ossia, come già evidenziato, per un importo pari alle somme portate dalle fatture con numerazione antecedente a quella n. 0000002407479286).
A fronte degli interventi svolti nel presente giudizio, è poi opportuno evidenziare che l’art. 111, comma 1 c.p.c. stabilisce la regola secondo cui, se nel corso
del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.
Il comma 3 della stessa disposizione, inoltre, prevede che la sostituzione dell’interveniente nella posizione processuale dell’alienante del diritto controverso possa aver luogo -con conseguente estromissione del secondo -esclusivamente a seguito di intervento del cessionario e nel caso in cui tutte le altre parti vi consentano.
E’ stato poi chiarito che, in ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e prima della scadenza del termine per la impugnazione, il dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che l’impugnazione della sentenza spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti essa è stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore a titolo particolare (Cass. 6038/2000 e Cass. 30189/2019).
Non essendosi nella specie realizzati i presupposti per la estromissione della cedente, la pronuncia -destinata in ogni caso a spiegare effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare (ex art. 111, comma 4 c.p.c.) -va pertanto resa fra le originarie parti in causa.
6. In parziale accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata, la appellante, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, deve essere quindi condannata al pagamento, in favore della appellata, dell’importo di euro 2.057,63, oltre interessi nella misura di cui al d.lgs. 231/2002 dal 30.5.2016 (data della domanda giudiziale) al saldo effettivo.
7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza prevalente e si liquidano, come da dispositivo, facendo applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014, come modificati, per il solo grado di appello, dal D.M. 147/2022 (valore della controversia ricompreso fra euro 1.100,01 ed euro 5.200,00; per il primo grado: parametri per i giudizi innanzi al giudice di pace; medi per le fasi di studio ed introduzione; minimo per quella di decisione in ragione della ridotta attività svolta; rispettivamente euro 225,00, 240,00 e 203,00; complessivi euro 668,00; per il secondo grado: parametri per i giudizi innanzi al tribunale; medi per le fasi di studio ed introduzione; minimo per quella di decisione in ragione della ridotta attività svolta; rispettivamente euro 425,00, 425,00 e 426,00; complessivi euro 1.276,00, da ripartire, come da dispositivo, fra le
due intervenute in ragione dell’attività difensiva svolta da ciascuna di esse).
P.Q.M.
il Tribunale in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede:
revoca il decreto ingiuntivo opposto (n. 34523/2016 del Giudice di pace di Roma) e condanna al pagamento, in favore di dell’importo di euro 2.057,63, oltre interessi nella misura di cui al d.lgs.
231/2002 dal 30.5.2016 al saldo effettivo;
condanna al rimborso delle spese di lite del doppio grado, che si liquidano:
per il primo grado ed in favore di in complessivi euro 668,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge;
b) per il secondo grado ed in favore di in complessivi euro 850,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge;
sempre per il secondo grado ed in favore di in complessivi euro 426,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2025
Il Giudice (dott. NOME COGNOME