Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7030 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7030 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 36775/2019
promosso da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso incidentale ex art. 371, comma 2, c.p.c.;
– ricorrente incidentale –
e di
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio del AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura ad lites in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale -nonché di
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in calce al controricorso al ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e di procura speciale in calce al controricorso al ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
– controricorrente ai ricorsi incidentali –
avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 2170/2019, pubblicata il 19/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, di seguito anche RAGIONE_SOCIALE), conveniva in giudizio davanti alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE (di seguito, anche RAGIONE_SOCIALE), nonché la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. (di seguito, MPS), la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. (poi incorporata dalla MPS) e la RAGIONE_SOCIALE C.R.
RAGIONE_SOCIALE, proponendo impugnazione avverso la sentenza n. 439/2009 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che aveva accolto l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE all’esecuzione immobiliare n. 45/99 promossa dalla RAGIONE_SOCIALE, nella quale erano intervenuti gli altri istituti di credito sopra menzionati.
La procedura esecutiva in questione era stata avviata per il recupero di somme vantate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE a titolo di interessi maturati, commissioni di massimo scoperto e saldo di conti correnti.
Si opponeva all’esecuzione la RAGIONE_SOCIALE, contestando l’applicazione di interessi passivi ultralegali non concordati, di commissioni di massimo scoperto non pattuite e la capitalizzazione anatocistica degli interessi, vietata dall’art. 1283 c.c., sostenendo di non avere posizioni debitorie e di essere, in realtà, creditrice di rilevanti importi, dei quali rivendicava il diritto alla restituzione.
Si costituivano in giudizio gli istituti di credito coinvolti, eccependo l’improponibilità e l’inammissibilità delle domande, oltre all’intervenuta prescrizione del credito restitutorio. Nel merito asserivano l’assoluta legittimità della pratica della capitalizzazione trimestrale degli interessi e l’avvenuto riconoscimento dei debiti, per essere stati puntualmente ricevuti dalla cliente gli estratti conto riportanti le singole chiusure di conto.
La causa veniva istruita con acquisizioni documentali e con espletamento di CTU contabile.
Con sentenza n. 439/2009, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accoglieva l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE, ritenendo l’inesistenza dei debiti a carico di quest’ultima nei confronti dei vari istituti di credito, dichiarando, anzi, questi ultimi debitori dell’opponente di somme indebitamente percepite, specificamente indicate, con conseguente declaratoria dell’insussistenza del diritto delle banche di procedere esecutivamente ovvero di proseguire l’azione esecutiva ovvero di intervenire nel giudizio esecutivo nei confronti della opponente,
sulla base dei saldi contabili dei rapporti di conto corrente indicati nella procedura stessa.
Avverso tale decisione proponevano separati appelli, poi riuniti, la RAGIONE_SOCIALE e la MPS, quest’ultima anche in qualità di incorporante la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
Le appellanti censuravano la sentenza impugnata, affidando la richiesta di riforma a quattro motivi di gravame del tutto sovrapponibili.
Con il primo motivo, i suindicati istituti di credito lamentavano il travisamento delle risultanze istruttorie da parte del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in considerazione dell’errato valore probatorio attribuito alla perizia di parte prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE, dal momento che tale documento si era formato al di fuori del giudizio e in assenza di contraddittorio tra le parti. Con il secondo motivo, le appellanti eccepivano la nullità della CTU svolta, perché redatta sulla scorta di documentazione prodotta dall’opponente fuori udienza e in assenza di contraddittorio. Con il terzo motivo le appellanti reiteravano gli argomenti relativi alla ritenuta liceità delle clausole contrattuali riguardanti l’anatocismo sui conti correnti bancari. Con il quarto motivo le appellanti contestavano l’errata scelta del criterio di ricostruzione del saldo tra quelli proposti dal CTU, ribadendo la legittimità dell’applicazione del tasso convenzionale anche in virtù della mancata contestazione degli estratti conto ad opera dell’appellata e la legittimità dell’applicazione delle commissioni di massimo scoperto. Hanno, quindi, chiesto l’integrazione o la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio.
Si costituiva in entrambi i giudizi di appello la RAGIONE_SOCIALE, instando per il rigetto del gravame e proponendo, contestualmente, appello incidentale, con il quale chiedeva la condanna degli istituti di credito al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria.
RAGIONE_SOCIALE, nonostante la notificazione di entrambi gli atti di citazione in appello non si costituiva in giudizio.
Disposto invano il tentativo di mediazione, le cause riunite venivano decise con la sentenza n. 2170/2019, pubblicata il 19/09/2019, con la quale la Corte d’appello rigettava gli appelli della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE e accoglieva solo in parte l’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE, dichiarando dovuti gli interessi legali sulle somme a credito di quest’ultima a decorrere dalla data della domanda giudiziale (04/02/2005).
Avverso la decisione della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione in via principale, poi seguita dal ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. (subentrata alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, di seguito RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) e della RAGIONE_SOCIALE. A ciascuno dei ricorsi ha replicato l’intimata con controricorso.
La ricorrente in via principale e le ricorrenti incidentali hanno formulato quattro motivi di ricorso in tutto sovrapponibili.
Con atto depositato il 16/08/2023, la RAGIONE_SOCIALE ha dichiarato di rinunciare agli atti del processo senza alcuna statuizione sulle spese, in ragione del consenso prestato dalla RAGIONE_SOCIALE, la quale in data 20/08/2023 ha depositato accettazione della rinuncia agli atti avversaria, senza alcuna statuizione sulle spese, dichiarando a sua volta di rinunciare al controricorso contro RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la COGNOME hanno depositato memorie ex art. 380 bis .1 c.p.c.
La RAGIONE_SOCIALE ha depositato anche nota spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
IL RICORSO PRINCIPALE DELLA MPS
Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 194 e 198 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), con riferimento
all’acquisizione documentale e allo svolgimento della CTU nel giudizio di primo grado, e l’omessa valutazione di fatti decisivi per la controversia.
La ricorrente ha, in particolare, censurato la decisione della Corte d’appello, ove si legge quanto segue: «Alcun vizio procedurale e alcuna nullità è ravvisabile nell’espletamento della CTU, posto che l’acquisizione dei documenti sui quali il consulente tecnico ha basato le proprie conclusioni è avvenuta nel rispetto della normativa processuale applicabile alla controversia. Si rileva preliminarmente che la tesi, sostenuta dagli enti creditizi, secondo cui sarebbe stato onere della RAGIONE_SOCIALE produrre gli estratti conto sin dall’atto introduttivo del giudizio, appare priva di pregio. Infatti, l’attore deve produrre, a pena di inammissibilità, i documenti costituenti prova del fatto costitutivo della domanda entro il secondo termine di cui all’art. 183 c.p.c., fissato per l’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali (Cass. Civ. 26/6/2018 n. 16800). Posto questa necessaria premessa, appare opportuno ricostruire la vicenda sì come sviluppatasi nel precedente grado di giudizio. All’udienza del 22/5/2006 (ancora prima della concessione dei termini ex art. 183 c.p.c.) veniva affidato incarico al CTU nominato il quale, nell’istanza di chiarimenti datata 6/6/2006, faceva presente che “dalla documentazione risultante dagli atti di causa, non vi è alcuna presenza di estratti conto bancari, indispensabili al fine di poter espletare l’incarico conferito”, chiedendo quindi al Giudice se fosse possibile esaminare gli estratti conto depositati dal CTP della RAGIONE_SOCIALE, ma non presenti nella documentazione allegata. Il Giudice, con l’ordinanza del 9/6/2006, autorizzava il consulente ad usare la documentazione predetta che veniva, pertanto, allegata in copia dall’odierna appellata nella memoria 183 comma IV n. 2 c.p.c. e successivamente depositata in originale all’udienza del 18/2/2008. Alla luce di quanto esposto, dunque, risulta chiaro che le produzioni
documentali di cui gli odierni appellanti deducono l’illegittimità sono state autorizzate dal Giudice, su sollecitazione del CTU (in quanto indispensabili ai fini della risoluzione delle controversie in esame) e, in ogni caso, depositate tempestivamente nei termini di cui all’art. 183 c.p.c. Osserva il Collegio che non è dato ravvisare alcuna violazione del contraddittorio posto che il Giudice di prime cure, nell’ordinanza del 9.6.2006 autorizzava il consulente ad avvalersi della documentazione suddetta “previa verifica nel contraddittorio delle conformità con quanto risultante con le scritture delle banche” per poi, dopo il deposito degli originali degli estratti conto (nel rispetto dei termini istruttori concessi dal Giudice) concedendo apposito termine sino al 30/5/2008 al fine di “evidenziare eventuali incongruenze e difformità degli estratti conto prodotti dall’odierna appellata rispetto alla documentazione in possesso degli istituti creditizi”.»
Secondo la ricorrente, la Corte di appello non ha considerato che la CTU è stata disposta il 17/03/2006 e che l’incarico è stato affidato al perito all’udienza del 22/05/2006, quando ancora non erano stati assegnati alle parti i termini ex art. 184 c.p.c. (essendo il processo disciplinato dalla normativa previgente alle modifiche apportate dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. in l. n. 80 del 2005), tant’è che il CTU, privo di documentazione da esaminare, aveva dovuto chiedere al giudice di essere autorizzato a utilizzare gli estratti di conto corrente offerti dal consulente di parte della correntista, stante l’opposizione del consulente tecnico di parte delle banche e il giudice, senza istaurare prima il contraddittorio, con provvedimento del 09/06/2006, aveva concesso tale autorizzazione, stabilendo che il CTU verificasse nel contraddittorio la conformità di tale documentazione con quella risultante dalle scritture delle banche, le quali, tuttavia, tenute a conservare solo le scritture dell’ultimo decennio, non avevano potuto effettuare tale verifica, dal momento che avevano a disposizione solo la
‘ rigenerazione’ degli estratti conto a partire dall’anno 1995, conservati negli archivi elettronici degli istituti, che veniva comunque consegnata al CTU.
La ricorrente ha pure evidenziato che solo con la prima memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. (essendo il processo disciplinato dalla normativa previgente alle modifiche apportate dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. in l. n. 80 del 2005), depositata più di sei mesi dopo il deposito della consulenza tecnica d’ufficio, la correntista aveva depositato in giudizio copia degli estratti di conto corrente, che le banche avevano disconosciuto immediatamente nella loro memoria istruttoria di replica, rilevandone la possibile non conformità agli originali, tant’è che, con ordinanza del 03/04/2008, il giudice aveva assegnato un nuovo termine alla correntista per il deposito degli originali in cancelleria e alle banche per evidenziare incongruenze e difformità rispetto alla documentazione in loro possesso.
Secondo la ricorrente, dunque, erano intervenute le seguenti violazioni delle norme processuali: 1) come eccepito sin dalle osservazioni formulate dal CTP alla relazione ad esso inviata il 17/04/2007, il consulente aveva impiegato per l’espletamento dell’incarico documentazione non preventivamente acquisita al processo senza il necessario consenso delle parti, intervenuto, al più, tacitamente, solo per gli ultimi 10 anni (dal 1995 in poi), per i quali le banche avevano potuto depositare gli estratti conto rigenerati; 2) il giudice aveva adottato il provvedimento del 09/06/2006, con il quale aveva autorizzato il CTU ad esaminare gli estratti conto offerti dalla correntista, senza prima sentire le parti e, quindi, in difetto di contraddittorio; 3) l’utilizzo degli estratti conto offerti dalla correntista era stato subordinato alla verifica nel contraddittorio della conformità degli stessi alle scritture provenienti dalle banche dall’apertura del rapporto (in data 31/12/1974) al 31/05/1998, ma tale verifica non era stata fatta e
non era neppure possibile farla, perché MPS e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avevano conservato, come previsto dalla legge, su supporto informatico solo le scritture relative agli ultimi dieci anni.
In sintesi, dunque, secondo la ricorrente, il giudice di appello era incorso nella dedotta violazione di legge perché non aveva ritenuto utilizzabile in sede di CTU i soli documenti preventivamente prodotti dalle parti, in assenza di consenso all’impiego della ulteriore documentazione offerta.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 184 c.p.c. (testo previgente) e dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), con riferimento alla acquisizione documentale e allo svolgimento della CTU svolta nel giudizio di primo grado.
Secondo la ricorrente, la Corte di appello ha richiamato erroneamente la disciplina introdotta dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. in l. n. 80 del 2005, applicabile ai procedimenti instaurati dopo il 01/03/06, essendo stato il presente giudizio promosso prima di tale data. Inoltre, la richiesta di una immediata CTU, sempre secondo MPS, imponeva l’adempimento da parte della correntista dell’onere di offrire al contraddittorio processuale la documentazione da utilizzare prima che venisse disposta la CTU, dovendo altrimenti revocarsi l’ammissione della CTU, in assenza di documentazione legittimamente consultabile, stante l’opposizione degli istituti di credito all’utilizzo di ulteriori documenti.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1422 e 2033 e 2934 c.c., in riferimento agli artt. 1842 e 1843 c.c. e con riguardo all’onere della prova ex art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
La ricorrente ha evidenziato che, a fronte dell’eccezione di prescrizione formulata dalle banche, per dirimere ogni questione in ordine al momento iniziale dal quale far decorrere il termine di prescrizione, la Corte di merito ha testualmente motivato come
segue: «È da rimarcare, in proposito, conformemente a quanto chiarito da Cass. 26. 2. 2014 n. 4518, che è da presumere la natura ripristinatoria dei versamenti, trattandosi di contratto di durata, ponendosi l’onere della prova della natura solutoria a carico di chi ne eccepisce l’esistenza (Cass. 4518/2014 cit.: “!versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens. Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto. Una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste relative agli interessi passivi anatocistici ”). Orbene nella fattispecie, gli istituti di credito non hanno fornito la prova della natura solutoria dei pagamenti. I versamenti effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE, pertanto, hanno avuto funzione meramente ripristinatoria della provvista, onde è da escludere la decorrenza della prescrizione prima della chiusura del conto in mancanza di rimesse solutorie (v. Cass. 30/1112017 n. 28819 ordinanza)”.»
Secondo la ricorrente, le rimesse non necessariamente devono presumersi ripristinatorie, come pure affermato in precedenti giurisprudenziali diversi da quelli menzionati dalla Corte d’appello, dovendo, anzi, ritenersi che le rimesse abbiano natura solutoria, ove il cliente non provi l’esistenza di un contratto di affidamento (o fido o apertura di credito) al rientro del quale siano destinati versamenti effettuati.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 191e 198 c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., con riferimento all’onere della prova ex art. 2697 c.c. in relazione all’omesso provvedimento di integrazione della CTU, richiesta dalla ricorrente per individuare le rimesse solutorie e verificare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione.
IL RICORSO INCIDENTALE DELLA INTESA SANPAOLO E QUELLO DELLA CHIANTIBANCA
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno formulato anch’esse quattro motivi di ricorso per cassazione, che si fondano su censure sostanziamente identiche a quelle appena illustrate.
LA RINUNCIA AL RICORSO DELLA CHIANTIBANCA
La RAGIONE_SOCIALE ha notificato atto di rinuncia al ricorso incidentale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, la quale ha depositato dichiarazione di accettazione della rinuncia, con correlata rinuncia al controricorso. Entrambe le parti hanno chiesto che non si adottino statuizioni sulle spese.
3.1. Occorre tenere presente che, secondo la lettera dell’art. 615 c.p.c., legittimato passivo nell’opposizione all’esecuzione è «la parte istante.»
Come precisato da questa Corte, parte istante è colui che ha chiesto il pignoramento, mentre gli altri creditori che sono intervenuti, lo diventano soltanto se hanno provocato «singoli atti del procedimento» (come si esprimono gli artt. 526 e 564 dello stesso codice) o si siano sostituiti al primo nell’iniziativa del proseguimento dell’azione esecutiva. Da ciò discende che, al di fuori delle situazioni indicate, nell’opposizione all’esecuzione non possono essere considerati litisconsorti necessari i creditori intervenuti, non figurando una specifica previsione normativa in tal senso e non potendosi ravvisare una ipotesi di causa inscindibile (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5146 del 08/05/1991).
Ove il debitore opponente abbia notificato il ricorso in opposizione e il decreto di fissazione di udienza oltre che al creditore procedente, del quale contesta il diritto a procedere esecutivamente, anche agli altri creditori intervenuti nell’espropriazione immobiliare, non ricorre un’ipotesi di causa inscindibile che determini la necessità di integrazione del contraddittorio in fase di gravame, né sotto il profilo processuale, in
quanto la chiamata in giudizio è avvenuta ad iniziativa di parte e non di ufficio, né sotto quello sostanziale, in quanto i creditori intervenuti agiscono sulla base dei rispettivi rapporti di credito separati e distinti (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 28811 del 31/12/2013; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1850 del 26/06/1973).
3.2. Nel caso di specie nessuna delle parti ha dedotto che la RAGIONE_SOCIALE, intervenuta nel processo esecutivo, avesse provocato singoli atti della procedura, sicché può essere pronunciata l’estinzione del giudizio limitatamente al ricorso incidentale da quest’ultima promosso nei confronti di COGNOME, con compensazione integrale delle spese di lite, come richiesto dalle parti.
IL RICORSO INCIDENTALE DI INTESA SANPAOLO IN PARTICOLARE
4. Il ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è inammissibile.
Come si evince dalla ricostruzione dello svolgimento del processo, la statuizione di primo grado ha escluso il diritto di procedere all’esecuzione, di proseguire la stessa o di intervenire nella stessa sulla base dei saldi contabili dei rapporti oggetto di giudizio, avendo accertato il Tribunale importi a credito e non a debito della RAGIONE_SOCIALE in riferimento ai rapporti di conto correnti aperti presso i diversi istituti di credito che avevano agito in via esecutiva nei suoi confronti.
La sentenza è stata impugnata dalla MPS, che aveva avviato la procedura esecutiva, e dalla RAGIONE_SOCIALE ma non anche dalla RAGIONE_SOCIALE C.R. RAGIONE_SOCIALE s.p.a., ora RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., nei cui confronti, tuttavia, la correntista ha proposto appello incidentale, insieme alle altre banche, che è stato accolto solo in parte (con l’accertamento della spettanza, oltre al credito per capitale determinato dal giudice di primo grado, anche quello per gli interessi al tasso legale, decorrente dalla data di proposizione della domanda giudiziale).
Con il ricorso per cassazione, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non ha censurato la statuizione della Corte territoriale con cui è stato in parte accolto l’appello incidentale della correntista, riguardando il ricorso i capi della decisione che hanno riguardato il rigetto del gravame proposto dalle altre banche e non presentato, invece, dalla RAGIONE_SOCIALE C.R. RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
Come sopra evidenziato, la controversia tra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la correntista non costituisce una causa inscindibile, sicché la banca non può proporre per la prima volta in cassazione le censure che avrebbe dovuto formulare con l’atto di appello e che, in assenza di gravame, devono ritenersi non più ammissibili essendo intervenuto il giudicato (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 24482 del 30/11/2016).
IL PRIMO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE
5. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.
Sul tema sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte le quali, con riferimento alla questione oggetto di doglianza, hanno enunciato il principio di diritto per cui in materia di esame contabile, ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, pure prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022, n. 3086; conf. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34600 del 24/11/2022).
Ovviamente, come stabilito dall’art. 198 c.p.c., tale attività presuppone che siano state sentite le parti e che le medesime abbiano prestato il consenso, necessario anche per fare menzione di tale documentazione nei processi verbali o nella relazione redatta.
Le Sezioni Unite hanno comunque precisato che l’eventuale nullità, derivante dall’impiego di tale documentazione senza il consenso delle parti, costituisce una nullità relativa, disciplinata dall’art. 157, comma 2, c.p.c., perché si correla ad un interesse primario ma disponibile della parte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022, n. 3086; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5370 del 21/02/2023).
Nel caso di specie tale consenso non è stato acquisito e il CTU ha chiesto l’autorizzazione all’utilizzo della menzionata documentazione al giudice, il quale l’ha concesso, dando disposizioni a tutela del contraddittorio (ha, infatti, disposto che venisse verificata la conformità della documentazione offerta dalla correntista con quella in possesso della banca).
Il provvedimento del giudice è stato adottato senza prima sentire le parti, come pure previsto dall’art. 92 disp. att. c.p.c., ma queste ultime sono state senza dubbio poste a conoscenza dello stesso, tenuto conto che la ricorrente ha provveduto, in adempimento a tale provvedimento, a consegnare al CTU le riproduzioni degli estratti conto a sua disposizione.
L’adozione del provvedimento senza aver prima sentito le parti costituisce senza dubbio causa di nullità del provvedimento adottato, il quale si converte in motivo di gravame ai sensi dell’art. 161 c.p.c., ma la parte che lo fa valere deve dimostrare la violazione del diritto di difesa subita.
Ciascuna parte soccombente, infatti, può far valere con l’impugnazione la nullità, ma deve anche spiegare le ragioni per cui detta nullità abbia pregiudicato a proprio danno l’esito del giudizio, non prevendo il nostro ordinamento un’impugnazione nell’interesse astratto della correttezza del procedimento (se non nell’ipotesi particolare di cui all’art. 363 c.p.c., in presenza di determinati presupposti).
È per questo che, in più di una decisione, questa Corte ha evidenziato che, quando il vizio processuale dedotto dall’appellante con il motivo di impugnazione non è tra quelli che comportano la regressione del giudizio in primo grado, convertendosi l’eventuale nullità della sentenza in motivo di impugnazione, l’appellante deve, a pena d’inammissibilità, indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dall’invocato vizio (Cass., Sez. 2, n. 20834 del 30/06/2022) e cioè deve dedurre quali lesioni siano, in concreto, derivate ai suoi diritti e alle sue facoltà processuali a causa dello stesso (Cass., Sez. 3, n. 3712 del 09/03/2012).
Per quanto riguarda il giudizio di legittimità, come di recente ribadito da questa Corte (Cass., Sez. 6-3, n. 10430 del 03/06/2020, costituisce vero e proprio ius receptum (che può farsi risalire a Cass., Sez. 1, n. 5837 del 30/06/1997) il principio secondo cui l’art. 360, n. 4, c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo . Ed infatti, l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata. Ne deriva che, ove la parte proponga ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza impugnata, essa ha l’onere di indicare in concreto quali pregiudizio sia derivato da siffatta nullità processuale e quale diverso e migliore risultato avrebbe potuto effettivamente conseguire in assenza del vizio denunciato (tra le tante, Cass. Sez. 3, n. 27419 del 08/10/2021,Cass., Sez. 2, n. 28229 del 27/11/2017; Cass., Sez. 1, n. 19759 del 09/08/2017; discorso a parte vale per la nullità della sentenza pronunciata senza
il rispetto dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., v. sul punto Cass., Sez. U, Sentenza n. 36596 del 25/11/2021).
Nella specie, la ricorrente non ha prospettato in tali termini la censura, risultando, anzi, tutelato il diritto di difesa della ricorrente che, a fronte dell’autorizzata produzione documentale, ha potuto verificarne la provenienza e la correttezza come se la produzione fosse stata eseguita in udienza, invece che direttamente davanti al CTU, tenuto conto che si è trattato di produzione che la parte poteva effettuare in quel momento del processo, senza richiedere alcuna preventiva autorizzazione, non essendo intervenute preclusioni derivanti dalla concessione dei termini ex art. 184 c.p.c., ancora non richiesti.
IL SECONDO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE
Il secondo motivo di ricorso principale è in parte inammissibile e in parte infondato.
Parte ricorrente ha dedotto che il giudice di appello ha errato nel richiamare la disciplina relativa alle cosiddette appendici scritte così come introdotta dalla novella del 2005 (d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. in l. n. 80 del 2005), mentre nella specie era applicabile la disciplina previgente, ma nessuna conseguenza in termini di pregiudizio al diritto di difesa ha prospettato, sicché, tenuto conto di quanto evidenziato con riguardo al precedente motivo, non si riviene alcun interesse della parte nella prospettazione della descritta censura.
La censura riferita alla violazione delle regole che disciplinano il riparto dell’onere della prova è, poi, infondata, tenuto conto che nessuna violazione dell’art. 2697 c.c. è ravvisabile, poiché la produzione documentale è stata effettuata dalla parte onerata, e cioè la correntista, sia pure nel corso della CTU, ma a seguito dell’autorizzazione del giudice, peraltro prima che intervenisse alcuna decadenza istruttoria.
IL TERZO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE
Il terzo motivo di ricorso è fondato.
7.1. Occorre precisare che parte ricorrente ha dedotto di avere formulato l’eccezione di prescrizione sin dalla comparsa di costituzione e risposta in primo grado e di averla riportata anche nelle conclusioni definitive di primo grado (p. 5 e s. e 26 del ricorso per cassazione della MPS).
Inoltre, il giudice di appello, oltre ad affrontare nel merito l’eccezione, nel ricostruire lo svolgimento del processo in primo grado, ha evidenziato che le banche, nel costituirsi in primo grado, avevano eccepito l’intervenuta prescrizione (p. 4 della sentenza impugnata).
Deve pertanto essere respinta l’eccezione della RAGIONE_SOCIALE, che ha dedotto, nel controricorso, la formulazione solo in grado di appello della relativa eccezione (ma non ha formulato ricorso incidentale condizionato).
7.2. Questa Corte ha precisato che, in tema di rapporti bancari, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate, ma il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito, purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 31927 del 06/12/2019; così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20455 del 17/07/2023).
In effetti, poiché la decorrenza della prescrizione è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti effettuati dal cliente nel conto corrente, essa matura
sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Ne discende che, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente allegare e provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2660 del 30/01/2019).
Nella specie il giudice di merito ha presunto il carattere ripristinatorio delle rimesse sulla base della sola esistenza del conto corrente, senza neppure valutare l’allegazione e la prova dell’esistenza di aperture di credito o comunque di affidamenti concessi.
IL QUARTO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE
L’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale, rende superfluo l’esame del quarto, che deve ritenersi assorbito.
STATUIZIONI FINALI
In conclusione, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio limitatamente al ricorso incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Deve, inoltre, essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto in via incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Deve, infine, essere accolto il terzo motivo di ricorso per cassazione proposto in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e – dichiarato inammissibile il primo, in parte inammissibile e in parte infondato il secondo, e assorbito il quarto – la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del
giudizio di legittimità tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEp.a. e la RAGIONE_SOCIALE
Le spese del presente giudizio di legittimità devono essere interamente compensate tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, come espressamente richiesto dalle parti.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza, invece, nei rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara l’estinzione del giudizio limitatamente al ricorso incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, con integrale compensazione delle spese di lite tra dette parti;
dichiara l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto in via incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
condanna la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla COGNOME RAGIONE_SOCIALE, che liquida in € 6.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi e accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
accoglie il terzo motivo di ricorso per cassazione proposto in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE nei confronti
della RAGIONE_SOCIALE e – dichiarato inammissibile il primo, in parte inammissibile e in parte infondato il secondo, e assorbito il quarto -cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e la RAGIONE_SOCIALE
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione