Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29706 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 29706 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7740/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
-ricorrenti principali-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 5404/2018, depositata il 21/08/2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico Ministero, il sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
Sentito il difensore dei ricorrenti principali, che si è riportato agli scritti difensivi.
Sentito il difensore del ricorrente incidentale, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
Ottenuta una ordinanza che ha parzialmente accolto la domanda proposta in sede cautelare (ordinanza poi revocata in sede di reclamo), NOME COGNOME, proprietario di un appartamento sito al terzo piano del condominio di INDIRIZZO in Roma, conveniva in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME. L’attore ha dedotto – per quanto interessa il presente giudizio -che i convenuti (rispettivamente nudo proprietario e usufruttuari degli immobili posti al quarto e quinto piano) avevano realizzato al piano quarto due verande che costituivano l’accorpamento di terrazzi svolgenti la funzione di lastrici solari e, al piano quinto, due verande coperte, delle quali una originata dalla trasformazione di un pergolato, e che tali opere erano illegittime e pregiudicavano la staticità del fabbricato e il suo decoro architettonico. L’attore chiedeva, quindi, di confermare quanto statuito con l’ordinanza cautelare, nonché di condannare i convenuti a ripristinare lo status quo ante e, in ogni caso, a corrispondere l’indennità di sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c. e a risarcire il danno.
Con la sentenza n. 4197/2013, il Tribunale di Roma, rigettata l’istanza di conferma dell’ordinanza cautelare e la domanda di riduzione in pristino, ha condannato i convenuti in solido a pagare la somma complessiva di euro 11.300, di cui euro 3.000 a titolo di risarcimento del danno causato all’appartamento di COGNOME ed euro 8.300 quale indennità di sopraelevazione riferita alla veranda chiusa di circa metri quadri ventotto sita al piano quarto. In particolare, il Tribunale ha respinto la domanda di rimozione dei manufatti per violazione del decoro architettonico, ‘atteso che attraverso l’esame delle numerose fotografie versate in atti doveva ritenersi insussistente la menomazione, tenuto anche conto dell’esistenza di piante verdi’.
2. La sentenza è stata impugnata in via principale da NOME COGNOME, che con il quarto motivo deduceva la sussistenza della violazione del decoro architettonico ed evidenziava che le opere eseguite avevano modificato, sia al quarto che al quinto piano, le linee architettoniche dell’immobile. NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno fatto valere appello incidentale in riferimento alla condanna a euro 3.000 a titolo di risarcimento del danno arrecato all’immobile di COGNOME. La Corte d’appello ha ritenuto fondato il quarto motivo di gravame, con il quale l’appellante aveva dedotto la sussistenza della violazione del decoro architettonico dell’edificio. La Corte ha ritenuto come dalle numerose fotografie allegate alle consulenze tecniche emerga che le trasformazioni hanno creato disarmonia estetica e costituiscono modificazione delle linee architettoniche dello stabile; l’edificio è inserito in un contesto di edilizia residenziale di tipo signorile e i manufatti con finestrature in alluminio appaiono stridenti con l’estetica del medesimo. La Corte ha poi rilevato che l’azione volta a ottenere la restitutio in integrum nel caso di sopraelevazione effettuata dal proprietario dell’ultimo piano che alteri l’aspetto architettonico dell’intero immobile è soggetta a prescrizione
ventennale ed è fondata l’eccezione formulata al riguardo dagli appellati, con l’esclusione di una delle verande, di metri quadri ventotto, cosicché la domanda di restitutio in integrum deve essere accolta limitatamente ad essa. Con la sentenza n. 5404/2018 la Corte d’appello di Roma ha, quindi, parzialmente accolto l’appello principale e, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato gli appellati alla rimozione della veranda chiusa di metri quadri ventotto sita al quarto piano; la Corte ha poi rigettato l’appello incidentale.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
Resiste con controricorso NOME COGNOME, che propone ricorso incidentale al quale resistono con controricorso i ricorrenti principali.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti e dal controricorrente in prossimità della pubblica udienza.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso principale è articolato in cinque motivi.
Il primo motivo contesta violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, comma 1 c.p.c., nullità della sentenza: il capo della sentenza che ha riconosciuto la richiesta di rimozione limitatamente alla veranda chiusa è privo di reale motivazione, anche se formalmente esistente, per essere le affermazioni ivi contenute svolte in modo totalmente contraddittorio, cosicché non sono percepibili le ragioni della decisione; la Corte d’appello ha valutato cumulativamente le quattro verande ai fini dell’affermazione della lesione del decoro architettonico e poi ha, in modo contraddittorio, dichiarata prescritta la riduzione in pristino per tre delle quattro verande.
Il secondo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.: la sentenza impugnata,
laddove ha riconosciuto la sussistenza della lesione del decoro architettonico, è errata, avendo pretermesso un fatto storico, ossia che tre delle quattro verande erano state realizzate dalla società costruttrice e proprietaria dell’intero stabile, cosicché il giudice avrebbe dovuto limitare il giudizio sull’eventuale lesione del decoro architettonico alla sola veranda di ventotto metri quadri.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., nullità della sentenza per error in procedendo : i ricorrenti avevano eccepito che le linee architettoniche dello stabile erano state modificate dalla preesistenza di tre manufatti realizzati dal precedente unico proprietario e, una volta che il decoro architettonico sia stato compromesso da precedenti interventi sull’immobile, non può assumere rilievo la lesività di un’opera compiuta successivamente.
Il quarto motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, comma 4, c.c. e 1122, comma 1, c.c. in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., erronea valutazione del concetto di decoro architettonico’: il giudice di merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione del decoro architettonico, avrebbe dovuto anche valutare se tale lesione ha determinato un deprezzamento dell’intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile.
Il quinto motivo lamenta ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c. in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., confusione tra decoro architettonico e aspetto architettonico’: la Corte d’appello sembra ricondurre la fattispecie in esame all’art. 1127 c.c. e avrebbe quindi dovuto valutare se il manufatto realizzato dai ricorrenti era in grado di ledere l’aspetto architettonico e non il decoro architettonico.
Il ricorso incidentale è basato su due motivi.
Il primo motivo contesta ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi
del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.’: la Corte d’appello, nell’affermare che le ulteriori trasformazioni erano inserite in domande di condono datate 1986 e che dunque risalivano ad epoca antecedente al 1997, ha omesso un accertamento fondamentale in relazione all’epoca in cui concretamente i manufatti vennero realizzati; i manufatti realizzati erano in continua evoluzione anche rispetto alle domande di condono del 1986, come sarebbe provato dal confronto tra la domanda di condono del 1986 e le risultanze aerofotogrammetriche del 1984.
Il secondo motivo lamenta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1158 c.c. in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., erronea valutazione del decorso della prescrizione in ordine alla rimozione delle verande abusive’: la Corte d’appello ha dimenticato che l’azione introdotta con l’atto di citazione al quale ha fatto riferimento nell’affermare la prescrizione dell’azione costituisce il merito di un giudizio cautelare iniziato in data 8 aprile 2004, nell’ambito del quale COGNOME, denunciando l’esecuzione di nuove opere abusive di sopraelevazione iniziate nella seconda metà del 2003, chiedeva di disporre misure urgenti volte a impedire il prodursi del danno temuto, nonché a inibire la prosecuzione delle nuove opere; pertanto il primo atto interruttivo della prescrizione doveva essere considerato il ricorso ex art. 688 c.p.c.
Per motivi di priorità logica va anzitutto esaminato il secondo motivo del ricorso incidentale.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello (pag. 10 della sentenza) ha affermato, in relazione all’eccezione di prescrizione sollevata dagli appellati circa l’azione volta a ottenere la riduzione in pristino a causa dell’alterazione dell’aspetto architettonico dell’immobile, che l’unico manufatto riconducibile al ventennio precedente alla notificazione dell’atto di citazione è costituito dalla veranda di ventotto metri quadri e ha così accolto la domanda di restitutio in integrum limitatamente ad essa.
Il giudice d’appello correttamente ha ritenuto soggetta alla prescrizione ventennale l’azione diretta a ottenere la restitutio in integrum nel caso di sopraelevazione che alteri l’aspetto o il decoro architettonico dell’intero immobile, a differenza di quella diretta contro una sopraelevazione non consentita dalle condizioni statiche dell’edificio (v. al riguardo Cass. n. 17035/2012). Il giudice d’appello non ha però considerato che COGNOME, con ricorso cautelare depositato l’8 aprile 2004 e notificato l’8 maggio 2004, ha dedotto che, successivamente all’acquisto, i resistenti avevano allargato verso l’esterno l’appartamento sito al quarto piano, accorpando i terrazzi di proprietà condominiale posti a copertura del suo appartamento e che NOME COGNOME aveva realizzato una veranda e una tettoia a ridosso dell’appartamento del quinto piano, divenute parti integranti dello stesso, opere abusive che avevano ‘pregiudicato le caratteristiche architettoniche della palazzina, compromettendone l’originario equilibrio estetico’ (cfr. le pagg. 2 e 3 del ricorso). Ciò premesso il ricorrente -‘fermo restando il suo diritto a fare accertare nella fase di merito’ l’illegittimità delle opere realizzate dai resistenti -ha domandato l’emissione di ‘misure urgenti volte a impedire il prodursi del danno temuto’, nonché a inibire ‘la prosecuzione delle nuove opere’ e, in ogni caso, l’adozione di ‘tutti i provvedimenti ritenuti necessari’ (pag. 10 del ricorso). Il giudizio cautelare, deciso con ordinanza del 17 maggio 2007 di parziale accoglimento che è poi stata revocata in sede di reclamo, è stato seguito dall’attuale giudizio di merito, appunto giunto all’esame di questa Corte.
Al ricorso cautelare di COGNOME, proposto ai sensi dell’art. 688 c.p.c., va quindi riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione dell’azione proposta dal medesimo condomino, volta, previo accertamento della illegittimità della sopraelevazione posta in essere da un altro condomino, alla conseguente condanna alla riduzione in pristino. Come ha precisato questa Corte (si veda in
particolare Cass. n. 13302/2012), l’ampia dizione utilizzata all’art. 2943 c.c., comma 1, affianca, con intento di esaustività, al giudizio di cognizione quelli di esecuzione e conservativo, con formule volte a ricomprendere – quanto al secondo – ogni tutela anticipatrice e di protezione immediata o interinale dei beni della vita che, con la domanda in via ordinaria, si andranno a conseguire con tratti di maggiore stabilità e autoritatività. Tale riconoscimento deriva proprio dalla stretta strumentalità che, tradizionalmente e a prescindere dall’evoluzione assunta dall’istituto nell’ambito del procedimento uniforme di cui all’art. 669octies c.p.c., tuttora contraddistingue il legame tra tutela cautelare e tutela definitiva di merito.
Con l’istanza cautelare COGNOME ha manifestato la propria volontà di fare valere, prima in via di accertamento sommario e provvisorio e poi nel processo a cognizione piena, il suo diritto a ottenere l’accertamento della illegittimità delle opere realizzate per violazione del decoro e quindi dell’aspetto architettonico presupposto della richiesta di restitutio in integrum e di risarcimento del danno, volontà agevolmente riscontrabile, dato che già nell’istanza cautelare COGNOME si era riferito all’azione di merito. Si puntualizza che le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti, sono tra loro complementari e non possono prescindere l’una dall’altra, sicché anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia e alterarne le linee impresse dal progettista (cfr., per tutte, Cass. n. 17350/2016).
I ricorrenti principali, nel controricorso proposto avverso il ricorso incidentale, contestano la fondatezza del motivo invocando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il rinvio dell’art. 1165 c.c. alle norme sulla prescrizione in generale e, in particolare, a
quelle dettate in tema di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell’usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali siccome diretti ad ottenere, ope iudicis , la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, con la conseguenza che atti interruttivi non risultano né la diffida né la messa in mora, potendosi esercitare il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale (così Cass. n. 9845/2003; cfr. pure Cass. n. 15199/2011 e Cass. n. 15927/2016). L’obiezione non coglie nel segno: l’orientamento richiamato specifica, infatti, l’efficacia interruttiva degli atti giudiziali diretti a ottenere dal giudice la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, atto giudiziario che nel caso in esame è costituito dal ricorso cautelare.
4. L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale e del ricorso principale; la sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma che si atterrà al seguente principio di diritto: ‘al ricorso cautelare, nel caso in esame proposto ai sensi dell’art. 688 c.p.c., va riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione dell’azione del condomino volta, previo accertamento della illegittimità della sopraelevazione posta in essere da un altro condomino in violazione dell’aspetto architettonico dell’edificio condominiale, alla restitutio in integrum ‘. Il giudice di rinvio provvederà pure in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo motivo del medesimo ricorso e assorbito il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche
per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi dopo la pubblica udienza, il 6 febbraio 2025.
Il Giudice estensore Il Presidente
NOME COGNOME Marcheis NOME COGNOME