Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5419 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5419 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11544/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 4772/2018 depositata il 23/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La società ricorrente agisce nel giudizio di legittimità quale socio successore ex lege della RAGIONE_SOCIALE, estinta.
La società RAGIONE_SOCIALE aveva convenuto in giudizio il Ministero, in data 27 ottobre 2006, per fare accertare il ritardo in cui era incorso il Ministero nel compimento delle operazioni di collaudo di un appalto, con conseguente condanna al pagamento della rata del saldo nonché di risarcimento del danno e interessi per ritardati acconti nel corso dei lavori e delle spese generali e oneri fideiussori patiti.
Il Tribunale ha accolto la domanda soltanto con riferimento al pagamento della rata di saldo, mentre ha ritenuto prescritti gli ulteriori crediti vantati.
L’impresa ha interposto gravame che la Corte d’appello di Napoli ha respinto, sul rilievo che il dies a quo dal quale fare decorrere il termine di prescrizione è la data in cui avrebbe dovuto essere effettuato il collaudo, cioè il 4 novembre 1988, e disattendendo la tesi delle impresa secondo la quale questa data sarebbe solo l’inizio dell’inadempimento da parte della stazione appaltante.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società nella sua qualità di successore dell’originaria attrice, affidandosi a due motivi. Si è costituito con controricorso il Ministero. La ricorrente ha depositato memoria.
RITENUTO CHE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, della l. n. 741 del 10 dicembre
1981; 91 e ss. del R.D. n. 350/1895; 38 e 44 del D.P.R. n. 1063/62, nonché’ degli artt. 2934, 2935 e ss. c.c. in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c.; la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 e dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, n.4), c.p.c.; l’ omesso esame di un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5), c.p.c.
1.1. Il motivo in parola censura la sentenza impugnata per aver omesso l’esame, ai fini della decisione sulla prescrizione, della specifica collocazione temporale della condotta dannosa tenuta dalla stazione appaltante e, quindi, per aver violato le regole codicistiche in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito permanente, foriero di danni cd. continuativi verificatisi, tutti, in epoca successiva allo spirare del termine contrattuale di approvazione del collaudo. La parte deduce che la prescrizione non decorre dalla scadenza del termine per il collaudo, la cui mancata esecuzione non può essere intesa rifiuto di collaudo, per cui, per i diritti risarcitori sorti a seguito del mancato collaudo, l’illecito è permanente.
2. -Il motivo è inammissibile.
L’art. 5 della l. n. 741 del 1981, norma di carattere generale applicabile a tutte le procedure di esecuzione di opere pubbliche, prevede i termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo, e quindi superato il termine se perdura l’inerzia dell’ente committente, quest’ultimo deve ritenersi inadempiente con la duplice conseguenza che l’appaltatore può agire per il pagamento senza necessità di mettere in mora l’Amministrazione e che, dalla scadenza del predetto termine, inizia a decorrere la prescrizione del credito (in tal senso Cass. 2477/2019; ma anche Cass. 17314/2011 citata nella sentenza impugnata)
Sul punto è anche utile richiamare l’orientamento espresso da Cass. 5744/2022 secondo cui i crediti dell’appaltatore di opera
pubblica sono esigibili anche in mancanza di collaudo, qualora la P.A. abbia fatto decorrere un tempo tale da rendere l’inerzia sostanzialmente equivalente ad un rifiuto, non potendo essere ritardate “sine die” le determinazioni in ordine all’accettazione dell’opera e paralizzati i diritti dell’altro contraente, in violazione delle regole generali di correttezza e buona fede. Scaduti i termini contrattuali, grava sul committente l’onere di dimostrare che la mancata approvazione del collaudo sia stata determinata da condotta imputabile all’impresa.
Si tratta quindi di un inadempimento ben localizzato nel tempo, dal quale correttamente la Corte d’appello ha fatto decorrere la prescrizione, decidendo in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (art. 360 -bis n. 1 c.p.c.).
Inoltre, si osserva non risponde a verità che la Corte d’appello non abbia esaminato la tesi della ricorrente perché ha espressamente tenuto conto della censura dell’appellante secondo cui la data del 4 novembre 1988 rappresenterebbe solo l’inizio dell’inadempimento, ma la confuta facendo riferimento alla giurisprudenza di legittimità (la già citata Cass. n. 17314 del 2011). La censura peraltro non prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo inteso quale fatto storico principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo ( ex multis: Cass. n. 17005/2024; sez. un n. 34476/2019) ma soltanto una diversa tesi sulla decorrenza della prescrizione; in ogni caso, avendo entrambi i due giudizi di merito deciso in senso conforme, e quindi vertendosi nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., (oggi art 360 IV comma c.p.c.) la censura è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e
della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex multis : Cass. n. 5947/2023).
3. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n.3 e 5 c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, della l. n. 741 del 10 dicembre 1981, 91 e ss. RD 1895/350 e 38 44 D.P.R. n. 1063/62, nonché degli artt. 2934 e 2935 e ss. c.c. c.c., nonché dell’art. 2944 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c; l’ omesso esame di un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, c.p.c.
La parte ricorrente lamenta l’ omesso esame di note del Ministero da cui si evincerebbe che in relazione al collaudo non vi è stata mera inerzia, tale da essere intesa rifiuto, ma vi sono stati atti prodromici, e cioè l’invito al collaudatore a provvedere ed il conferimento di nuovo incarico per il collaudo. In particolare si osserva che il con la nota del 16 febbraio 2001 il Ministero avrebbe confermato la propria volontà di collaudare le opere e con su successiva nota del 31 luglio 2001 aveva deciso di sostituire la Commissione incaricando nuovi soggetti.
4. -Il motivo è inammissibile.
Come sopra si è detto, si tratta una cd. doppia conforme; inoltre non è specificato quando e dove questi documenti hanno avuto ingresso nel processo di merito, quando e come sono stati oggetto di dibattito tra le parti; in ogni caso si si prospetta non dei fatti intesi nel senso di fatto storico, ma la rilevanza della valutazione di queste comunicazioni del Ministero e delle dichiarazioni in esse contenute e cioè si sollecita un diverso giudizio sull’inadempimento, attraverso l’esame di elementi probatori che sarebbero stati ingiustamente trascurati dal primo giudice. Deve qui ricordarsi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( Cass. n. 17005/20245)
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 06/02/2025.