Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5517 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5517 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 2597 del ruolo generale dell’anno 20 20, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena, in persona d’un procuratore speciale del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, col quale elettivamente si domicilia in Roma, al INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, col quale elettivamente si domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE– Azione di ripetizione interessi anatocistici- Prescrizione.
-controricorrente e ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza de lla Corte d’appello di Firenze n. 1348/19, depositata in data 3 giugno 2019;
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale del 21 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Emerge dagli atti e dalla sentenza impugnata che RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena per ottenere la restituzione degli importi che riteneva indebiti perché riscossi a titolo di interessi anatocistici, pari a euro 23.598,30, oltre interessi e rivalutazione monetaria. La società riferì di avere intrattenuto con la banca un rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito e che dal momento in cui il conto aveva presentato saldo passivo la banca aveva addebitato interessi negativi.
Il Tribunale di Siena, rigettata l’eccezione di prescrizione proposta dalla convenuta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, accolse la domanda per il minore importo di euro 15.658,83, oltre accessori e spese.
La Corte d’appello di Firenze ha rigettato gli appelli, principale e incidentale, che le parti avevano proposto per il profilo di rispettiva soccombenza. A sostegno della decisione, per i profili ancora d’interesse, ha affermato che il termine di prescrizione applicabile è decennale, e non già quinquennale come ritenuto dalla banca, e che questo termine era stato utilmente interrotto da una lettera datata 19 novembre 2004, in relazione al rapporto di conto corrente, ‘pacificamente affidato’, aperto il 16 DATA_NASCITA e chiuso il successivo 3 marzo 1998, e rispetto alla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, risalente al 10 giugno 2010; a tanto ha aggiunto che la banca, che pure ne sarebbe stata onerata, non aveva dato alcuna prova della presenza di rimesse solutorie.
Quanto all’appello incidentale proposto dalla società, il giudice d’appello ha escluso che RAGIONE_SOCIALE avesse rivendicato somme illegittimamente percepite a titolo di commissioni di massimo scoperto, facendo leva sul contenuto della domanda introduttiva del giudizio, a suo avviso volta esclusivamente a ottenere la restituzione dell’importo corrispondente agli interessi percepiti dalla banca in violazione dell’art. 1283 c.c.
Contro questa sentenza propone ricorso principale RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena, che affida a sette motivi e illustra con memoria, cui RAGIONE_SOCIALE replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in un unico motivo, pure corredato di memoria e contrastato dalla banca con controricorso.
Motivi della decisione
1.Il settimo motivo del ricorso principale , di rilevanza preliminare nell’ordine logico, col quale la banca lamenta la nullità della sentenza e del procedimento per vizio di costituzione del giudice, in quanto del collegio di corte d’appello ha fatto parte un giudice ausiliario, che ha anche redatto la sentenza, è stato oggetto di rinuncia in memoria.
Esso è per conseguenza inammissibile, per sopravvenuta carenza d’interesse ad agire.
2.- Col primo , col secondo e col terzo motivo del ricorso principale , da esaminare congiuntamente, perché connessi, la ricorrente lamenta:
la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2943 c.c., perché la corte territoriale ha ritenuto applicabile la prescrizione decennale e non quella quinquennale, per di più gravando la banca dell’onere di allegazione delle rimesse prescritte, nonché di prova della natura solutoria di esse, escluso dalla consolidata giurisprudenza di legittimità ( primo motivo );
-la violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c. , là dove la corte d’appello ha qualificato la missiva del 19 novembre 2004 come atto di costituzione in mora sebben non vi fossero indicati le somme richieste, né i periodi cui avrebbero fatto riferimento le contestazioni della correntista ( secondo motivo );
-la violazione o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., là dove la corte d’appello, pur avendo riguardo a crediti per interessi, non ha ritenuto applicabile il termine quinquennale previsto da questa norma ( terzo motivo ).
La censura complessivamente proposta presenta al contempo profili d’inammissibilità e d’infondatezza.
Anzitutto, quanto al regime della prescrizione, è ormai principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo a un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale; e la prescrizione decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. I n quest’ipotesi, infatti, ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione: il pagamento che può dar vita a una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’ accipiens (Cass., sez. un., n. 24418/10; conf., tra varie, n. 24051/19 e, da ultimo, n. 5282/24).
I versamenti ripristinatori non soddisfano il creditore, ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista, con la precisazione che, ai fini della prescrizione, assume rilievo anche la rimessa (solutoria) con cui il correntista ripiana l’esposizione debitoria maturata in ragione del rapporto di affidamento oramai cessato (tra varie, Cass. n. 14958/20).
2.1.Quanto all’individuazione delle rimesse solutorie e di quelle ripristinatorie, effettivamente la statuizione della sentenza impugnata, che ne ha addossato sulla banca l’onere di allegazione e prova, è erronea. In materia di rapporti bancari, difatti, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, è su costui che grava la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate (Cass., sez. un., n. 15895/19).
La banca che sollevi l’eccezione di prescrizione si può difatti limitare ad affermare l’inerzia del titolare del diritto, dichiarando di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte; al contrario il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio gli estratti conto dai quali emerge la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti (Cass. n. 21225/22; n. 34997/23).
L’indubbia erroneità di quest’affermazione si rivela, tuttavia, irrilevante nel caso in esame, posto che la banca non ha contestato che il rapporto di conto corrente fosse ‘pacificamente affidato’ (anzi, a pag. 3 del ricorso ha riferito di aver prodotto il contratto di apertura di credito del 16 marzo 1995 e in memoria ha confermato che il conto era affidato), né ha dedotto che i versamenti erano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento; e quest’elemento integra l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione, determinato proprio dall’apertura di credito,
anche indipendentemente dall’allegazione del correntista, posto che costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (tra varie, Cass. n. 31927/19).
3.- In questo contesto, la contestazione della valutazione della missiva del 2004 come atto di costituzione in mora, argomentata dalla corte d’appello facendo leva sul contenuto di essa, con la quale « si rassegnava chiaramente l’intenzione di rivolgersi ‘ alla magistratura ‘ al fine di ottenere la restituzione di tutte le somme illegittimamente trattenute nei periodi in cui il conto ha presentato saldo passivo », e si enunciavano le ragioni dell’istanza, « tra le quali v’era evidentemente l’accusa di illegittimo ad debito di somme non dovute, derivanti da una consolidata e non consentita pratica anatocistica », è inammissibile.
3.1.- La valutazione dell’idoneità di un atto a interrompere la prescrizione -quando non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei all’effetto interruttivo, come nei casi indicati nei primi due commi dell’art. 2943 c.c.costituisce apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici o da errori giuridici (Cass. n. 19359/07); e la banca non ha dedotto errori giuridici, ma ha soltanto sovrapposto la propria interpretazione dell’atto a quella prescelta dalla corte d’appello.
La censura complessivamente proposta è rigettata.
4.- Col quarto , col quinto e col sesto motivo del ricorso principale , da esaminare congiuntamente, perché connessi, la ricorrente lamenta:
la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. perché la corte d’appello, là dove ha ritenuto non contestata la ricostruzione del rapporto, avrebbe trascurato che la correntista non aveva prodotto il contratto di apertura di credito e non aveva
depositato una perizia, ma soltanto stringati conteggi ( quarto motivo );
-la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perché la corte d’appello non si sarebbe avveduta che l’importo di euro 15.658,83 oggetto di condanna non riguardava la somma degli interessi anatocistici, ma quella complessiva degli interessi addebitati dalla banca ( quinto motivo );
la nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alle contestazioni mosse dalla banca in ordine alla quantificazione dell’importo oggetto di condanna ( sesto motivo ).
La censura complessivamente proposta è inammissibile per tutti i profili nei quali è articolata.
Anzitutto, come hanno ribadito le sezioni unite di questa Corte (con la sentenza n. 20867/20), la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Qualora , invece, si deduca, com’è appunto avvenuto nel caso in esame, che il giudice ha soltanto male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Inoltre, per poter dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o
implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).
4.1.- Per il resto, l’articolazione della censura si risolve in una diversa lettura dei risultati cui è pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, perché con essa non si indicano fatti modificativi, impeditivi o estintivi dedotti e non valutati (Cass. n. 16899/23), ma si aggr edisce la lettura che la corte ha fatto dell’elaborato del consulente tecnico.
Il ricorso principale è rigettato.
5.- Col ricorso incidentale la società lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la pretesa concernente la restituzione delle commissioni di massimo scoperto ritenendo, in base all’esame della domanda introduttiva, che non vi fosse un capo di domanda al riguardo.
A fondamento del motivo la società adduce uno stralcio dell’atto introduttivo del giudice di primo grado, in cui si legge che « la Commissione di Massimo scoperto appare come una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma e dunque una remunerazione soggetta a vantaggi economici che possono essere usurari se aggiunti al tasso di interesse…La clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione a danno del cliente è nulla e l’utente può ripetere quanto corrisposto a titolo di interessi anatocistici per scoperto di conto all’Istituto RAGIONE_SOCIALE Credito (enfasi aggiunta)», nonché un passo delle note conclusive, in cui si legge che « da quanto risulta dal ‘Prospetto di ricalcolo’ della
CTU risultano interessi anatocistici per € 15.658,83 e Commissioni di Massimo Scoperto per € 2016 ,016,01 ».
E allora, il motivo è inammissibile, perché con esso non ci si confronta col contenuto della decisione impugnata, che, lungi dall’omettere la pronuncia, ha esaminato e valutato proprio i passi sopra riportati.
5.1.Il giudice d’appello ha difatti evidenziato che:
-in linea con lo stralcio richiamato della citazione, le conclusioni erano volte a ottenere la restituzione dell’importo di € 23.958,30 a titolo di interessi percepiti dalla banca in violazione dell’art. 1283 c.c., e la parte narrativa della domanda è fondata sulla pretesa riferibile all’illegittima capitalizzazione degli interessi . D ‘altronde, dal testo delle conclusioni della citazione, trascritto nel controricorso al ricorso incidentale, emerge appunto che la società aveva chiesto di « accertare che la banca aveva capitalizzato interessi in aperta violazione della norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c….e di condannare RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena alla rifusione in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 23.958,30 o la maggiore o minore somma che si riterrà di giustizia, come emergerà in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria »;
-l’attrice avrebbe dovuto chiaramente allegare e provare, nella propria domanda, anche il capo di restituzione delle commissioni di massimo scoperto perché indebitamente esatte dall’istituto e ricomprese nel calcolo degli interessi indebitamente percepiti;
-non è consentito all’esperto di sostituirsi alle parti in riferimento a rivendicazione dalle stesse non esplicitamente invocate o lamentate al giudice.
Di qui l’ irrilevanza del rapido passaggio sopra riportato delle note conclusive.
6.L’esito complessivo del giudizio comporta la compensazione di metà delle spese di lite; la residua metà, liquidata in dispositivo, è posta a carico della ricorrente.
Per questi motivi
la Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale, compensa metà delle spese di lite e condanna la banca a corrispondere la residua metà, liquidata, per la parte da corrispondere, in euro 1500,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, e al 15% a titolo di spese forfetarie, iva e cpa.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, sia in relazione al ricorso principale, sia a quello incidentale.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024.