Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6876 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6876 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7755-2020 proposto da:
COGNOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME, FIORE PIETRO e RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, rappresentati e difes i dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1669/2019 della CORTE DI APPELLO di PALERMO, depositata il 09/08/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 26.10.2012 Di NOME Nicola e NOME NOME COGNOME NOME evocavano in giudizio NOMECOGNOME NOME e NOME NOME COGNOME innanzi il Tribunale di Palermo, invocando l’accertamento dello sconfinamento realizzato dai convenuti, la loro condanna all’arretramento di quanto eretto in violazione delle distanze e, in subordine, l’attribuzione ad essi della proprietà del suolo occupato, ex art. 938 c.c., con condanna al pagamento del doppio del valore di mercato. Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’usucapione della proprietà della porzione occupata e la prescrizione della domanda di condanna al pagamento del doppio del valore di mercato del suolo oggetto di causa.
Con sentenza n. 6945/2016 il Tribunale accertava l’occupazione, da parte dei convenuti, di un’area di proprietà degli attori, rigettando la domanda di arretramento e dichiarando inammissibili quelle di accessione invertita e di condanna dei convenuti al pagamento del doppio del valore del suolo.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 1669/2019, la Corte di Appello di Palermo accoglieva il gravame principale interposto dagli originari attori avverso la decisione di prime cure, ed in parziale riforma, accoglieva la domanda di accessione invertita, condannando i convenuti al pagamento del valore dell’area occupata ed al risarcimento del danno, equitativamente determinato. Rigettava invece l’appello incidentale spiegato dai convenuti in prime cure.
La Corte distrettuale riteneva, in particolare, che anche gli odierni ricorrenti, proprietari dell’area occupata, fossero legittimati a proporre
domanda di accessione invertita ex art. 938 c.c., nell’inerzia del costruttore, responsabile dell’occupazione, e sussistendo il requisito della buona fede di quest’ultimo. Il giudice di seconde cure riteneva poi non prescritta la domanda di pagamento del valore del suolo occupato, poiché l’occupazione costituisce illecito di natura permanente. Infine, liquidava la somma di €. 10.300,00 richiamando la stima del C.T.U. sul valore a metro quadrato dell’area occupata, quantificando il danno in via equitativa, nella misura del 10% dell’importo determinato per il valore del suolo.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME con due motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME spiegando ricorso incidentale sulla base di cinque motivi.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente principale ha depositato memoria
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per motivi di priorità logica, va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale.
Con il primo motivo, la parte ricorrente incidentale lamenta la violazione del combinato disposto degli artt. 112, 113 c.p.c., 938, 948 e 950 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dagli odierni ricorrenti incidentali, nonché identificato il confine sulla scorta delle risultanze delle mappe catastali, anziché dei picchetti lignei esistenti in loco . Ad avviso dei ricorrenti incidentali, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto valorizzare il fatto che l’area occupata rientrava nella consistenza che era stata loro consegnata
dalla società venditrice, e che mai essa era stata nella disponibilità del COGNOME e della COGNOME, con conseguente loro carenza di legittimazione ad agire ex art. 938 c.c. Inoltre, proprio in conseguenza del fatto che l’area di cui è causa era stata consegnata sin da subito agli odierni ricorrenti incidentali, la Corte distrettuale avrebbe dovuto individuare il confine sulla scorta di quello esistente in loco , e non invece delle risultanze delle mappe catastali.
La censura è infondata sotto entrambi i profili in cui essa si articola. Quanto al primo, va osservato che l’art. 938 c.c., nel disporre che ‘Se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l’autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato ‘ non condiziona l’operatività della previsione al fatto che l’area occupata sia nella disponibilità del suo titolare. E’ dunque sufficiente che sia accertata, come nella specie, l’appartenenza del suolo occupato a persona diversa dall’occupante, affinché sia applicabile la previsione di cui all’art. 938 c.c., senza che la mancata disponibilità del suolo in capo al suo effettivo proprietario possa assumere qualsiasi rilevanza in punto di legittimazione ad agire di quest’ultimo.
Né sussistono dubbi sull’obbligo del costruttore di riconoscere al proprietario dell’area occupata il doppio del suo valore, posta la chiara prescrizione contenuta nell’ultima parte della norma in commento (‘Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni’).
Quanto invece al secondo profilo, va ribadito che il confine va accertato innanzitutto sulla base dei titoli di proprietà e, solo nell’incertezza di questi ultimi, può essere utilizzato ogni altro
strumento di prova, incluse le risultanze catastali. Infatti, ‘In tema di azione di regolamento di confini, nell’indagine diretta all’individuazione della linea di separazione fra fondi limitrofi, il giudice di merito può integrare la risultanza dei titoli di acquisto con le indicazioni fornite dalle mappe catastali’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10501 del 06/05/2013, Rv. 626166; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10062 del 24/04/2018, Rv. 648330 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14993 del 07/09/2012, Rv. 623810). E’ invece del tutto ininfluente il confine de facto esistente in loco (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15603 del 16/05/2022, non massimata, pagg. 4 e ss.).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte di Appello si è attenuta ai principi sopra richiamati, evidenziando un errore nella individuazione del confine tra i fondi, risalente al momento in cui essi furono consegnati da parte della società venditrice, nel 1984, e dando rilievo alle risultanze catastali, senza considerare i segni esistenti in loco , privi, di per sé, di qualsiasi rilievo (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata, che richiama le misurazioni eseguite dal C.T.U.).
Con riferimento, infine, al vizio di omesso esame, esso non si configura, avendo la Corte del gravame considerato la circostanza che, al momento della consegna del terreno, vi era stata una svista nella rilevazione dei confini, che ‘… ha comportato il verificarsi di errori ad effetto domino che hanno determinato uno spostamento dei confini effettivi di tutti i lotti, con la conseguenza che a ciascun acquirente, tra cui gli odierni appellanti ed appellati, erano state consegnate porzioni di fondo appartenenti al proprietario del fondo contiguo …’ (cfr. ancora pag. 8 della sentenza).
Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c., 1140 e 1158 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360,
primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione riconvenzionale di usucapione dell’area controversa che gli odierni ricorrenti incidentali avevano sollevato in prime cure, e coltivato con il loro gravame incidentale.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha affermato che, sulla base dei dati acquisiti al compendio istruttorio (C.T.U. e fotografie), era stata raggiunta la prova dell’esistenza del muro di confine alla data del 27.10.2000, essendo esso visibile in una fotografia risalente alla predetta data. Secondo la Corte di merito, dunque, la costruzione del muro dovrebbe essere collocata tra il 1992 ed il 2000, ma certamente il manufatto non esisteva al 26.3.1992, né al 27.10.1992, e dunque non sarebbe maturato il ventennio utile ai fini del riconoscimento dell’usucapione.
Il ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non
incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Non si configura dunque, nessun vizio di omesso esame di fatto decisivo, né tantomeno di violazione di legge.
Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 936, 938, 2934, 2935, 2946 e 2947 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto patrimoniale previsto dall’art. 938 c.c.
Questa censura è invece fondata.
La Corte di Appello ha affermato che l’illecito derivante da occupazione sine titulo di un’area di proprietà altrui ha natura permanente e, di conseguenza, ha escluso la prescrizione del diritto a
contenuto patrimoniale derivante dall’applicazione dell’istituto dell’accessione invertita di cui all’art. 938 c.c.
Questa Corte ha affrontato il tema in relazione alla fattispecie dell’occupazione di area privata da parte della P.A., affermando il principio per cui, in tali ipotesi, l’occupazione che non sia fondata da idoneo titolo amministrativo ovvero che si protragga oltre il termine di scadenza previsto dalla legge, costituisce illecito istantaneo ad effetti permanenti (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8401 del 24/08/1998, Rv. 518326; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8515 del 19/10/1994, Rv. 488139; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7952 del 17/07/1991, Rv. 473191). In tali eventualità, il dies a quo per il computo della prescrizione del diritto conseguente all’occupazione va individuato, rispettivamente, nell’inizio dell’occupazione, se priva di titolo, ovvero nel termine del periodo di occupazione legittima.
Detto principio, affermato in materia di occupazione della P.A., è estensibile anche alla diversa ipotesi oggetto del presente ricorso, rappresentata da una occupazione, perpetrata da un privato ai danni di un confinante. Di conseguenza, anche in questo caso l’occupazione del suolo altrui, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di Appello, non costituisce illecito permanente, ma piuttosto illecito istantaneo ad effetti permanenti. La prescrizione dei diritti a contenuto patrimoniale conseguenti dall’occupazione e previsti dall’art. 938 c.c., che hanno natura indennitaria e funzione riequilibratice, e dunque soggiacciono al termine ordinario decennale, decorre dal momento in cui l’occupazione viene perpetrata in modo definitivo, e pertanto dalla data in cui l’edificio che insiste parzialmente sul suolo altrui è stato ultimato.
La Corte di Appello avrebbe dunque dovuto accertare in quale momento la costruzione degli odierni controricorrenti era stata
ultimata, e da quella data calcolare il termine ordinario decennale di prescrizione del diritto di cui si discute.
Si impone pertanto un nuovo esame.
Con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali si dolgono della violazione dell’art. 938 c.c. e dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente determinato il valore dell’area occupata.
La censura è inammissibile.
La Corte distrettuale ha fatto riferimento al valore determinato dal C.T.U., che gli odierni ricorrenti incidentali contestano, proponendo una diversa ricostruzione del fatto. Valgono, dunque, le considerazioni già esposte in occasione dello scrutinio del secondo motivo del ricorso.
Con il quinto motivo del ricorso incidentale viene infine contestata la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente posto le spese del doppio grado del giudizio di merito a carico dei ricorrenti incidentali.
La censura, riguardante le spese, è logicamente assorbita dall’accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale.
Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo di essi i ricorrenti principali lamentano la violazione dell’art. 938 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente condannato gli odierni controricorrenti al pagamento del solo valore del suolo occupato, moltiplicando la stima a metro quadrato proposta dal C.T.U. per i metri quadrati di consistenza dello spazio occupato, senza disporre il raddoppio previsto dalla disposizione dianzi richiamata.
Con il secondo motivo, invece, si dolgono della violazione degli artt. 91 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello, nel condannare gli odierni controricorrenti alle spese del doppio grado del giudizio di merito, avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi sulle spese di C.T.U., che erano state poste provvisoriamente a carico di ambo le parti.
Le due censure sono logicamente assorbite dall’accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale, poiché il giudice del rinvio dovrà prima verificare l’eventuale prescrizione del diritto all’indennizzo previsto dall’art. 938 c.c. Ove non ravvisi detta prescrizione, l’indennità prevista da detta disposizione dovrà essere liquidata in coerenza con il dictum della norma, e dunque nella misura del doppio del valore di mercato dell’area occupata dal costruttore in buona fede.
E logicamente dovrà regolamentare nuovamente le spese.
Alla luce delle esposte argomentazioni, va accolto il terzo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del quinto, mentre va rigettato il primo motivo e vannno dichiarati inammissibili il secondo ed il quarto. Il ricorso principale va dichiarato assorbito per effetto dell’accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Palermo, in differente composizione.
P. Q. M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara inammissibili il secondo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il quinto motivo del ricorso incidentale, nonchè i due motivi del ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura
accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Palermo, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda