Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9480 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
Oggetto: Preliminare di vendita – Consegna anticipata del bene – Risoluzione – Conseguenze.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22872/2020 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COGNOME e NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 1082/2020, pubblicata il 11/7/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con atto di citazione notificato il 18/3/2011, NOME e NOME COGNOME in qualità di promittenti alienanti, convennero in giudizio il promissario acquirente NOME COGNOME onde ottenere l’accertamento, in seguito a recesso, dell’intervenuta risoluzione del
contratto preliminare di compravendita da essi stipulato il 11/04/2006 e avente ad oggetto un capannone industriale sito in Bagheria, INDIRIZZO e del loro diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta al momento della promessa di vendita, oltre alla condanna del convenuto alla rimozione di alcune opere abusive realizzate sull’immobile a lui consegnato anticipatamente e al pagamento di una somma di denaro per l’avvenuta utilizzazione del capannone.
Costituitosi in giudizio, COGNOME Giacomo propose domanda riconvenzionale volta ad ottenere la risoluzione del contratto per recesso del promittente acquirente.
Con sentenza n. 2265/2017 dal 03/05/2017, il Tribunale di Palermo rigettò le domande proposte da NOME e NOME COGNOME e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò la risoluzione del contratto per recesso del promittente acquirente, condannando i promittenti alienanti al pagamento del doppio della caparra e il COGNOME, in accoglimento della domanda proposta dagli attori, alla restituzione dell’immobile.
Il giudizio di gravame, interposto da NOME e NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME, con la sentenza n. 1082/2020, pubblicata il 11/07/2020, con la quale la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, della somma di € 2.300,00 al mese, a decorrere dal 11/04/2006 e fino all’effettivo rilascio del capannone industriale in questione, compensando tra le parti spese del giudizio.
Contro la predetta sentenza, COGNOME Giacomo propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. NOME e NOME NOME si difendono con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici reso una motivazione non chiara e insufficientemente motivata, nella parte in cui avevano affermato che, in caso di preliminare di vendita, la consegna anticipata del bene andasse considerata in termini di comodato collegato e accessorio al preliminare, che la risoluzione di quest’ultimo avesse determinato la risoluzione, con efficacia retroattiva, anche del comodato, che, dunque, ciascuna delle parti fosse tenuta a restituire quanto percepito e che, perciò, il promissario acquirente fosse tenuto a corrispondere i frutti per l’anticipato godimento ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., senza però considerare la gratuità del contratto di comodato e l’efficacia ex nunc della sua risoluzione, la quale comportava come conseguenza la sola restituzione del bene, ma non anche il pagamento dei frutti. Peraltro, mentre nella parte motiva i giudici sembravano avere ritenuto che la restituzione dei frutti andasse fatta decorrere dalla risoluzione del preliminare (ossia dal 2/5/2017, data della sentenza di primo grado), nel dispositivo pronunciava condanna di pagamento con decorrenza dal l’ 11/4/2006, con conseguente contraddittorietà della pronuncia.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’erronea e falsa applicazione, al caso de quo , della ‘ detenzione sine titulo’, dell’art. 1803 cod. civ. (sul comodato), dell’art. 2033 cod. civ. (sulla ripetizione di indebito) e degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano condannato il ricorrente al pagamento dei frutti dovuti all’occupazione, definita sine titulo , dell’immobile, senza considerare che il titolo di occupazione esisteva ed era dato dal contratto di comodato collegato al preliminare di vendita, costituente in sé contratto a
titolo gratuito, che il promittente venditore non aveva dimostrato il danno occorsogli per l’occupazione del bene, non essendo questo in re ipsa , e che comunque i frutti andavano fatti decorrere dalla data di dichiarazione della risoluzione del contratto, avente efficacia ex nunc , e non dalla data del preliminare, senza contare l’erronea applicazione delle norme sulla ripetizione dell’indebito, le quali non soltanto non erano conferenti al caso di specie, in quanto presupponevano l’insussistenza del debito, ma richiedevano comunque che la restituzione di frutti e interessi decorresse dalla domanda se chi aveva ricevuto il pagamento era in buona fede, come nella specie il ricorrente, che aveva subito l’altrui inadempimento.
I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione delle conseguenze derivanti dalla consegna anticipata del bene in caso di preliminare di compravendita e dalla risoluzione di quest’ultimo contratto con specifico riferimento agli effetti restitutori, ora sindacati sotto il profilo del difetto di motivazione, ora del vizio di violazione di legge, sono infondati.
Quanto al difetto di motivazione, si osserva come costituisca principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (affermato recentemente anche da Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767, in motivazione), quello secondo cui «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830). Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Tali vizi non sono affatto ravvisabili nella specie, avendo i giudici di merito dato ampiamente conto delle ragioni per le quali hanno ritenuto di condannare il ricorrente al pagamento dei frutti correlati alla detenzione del bene oggetto del preliminare di vendita, poi risolto, e alla loro decorrenza.
Né le argomentazioni da essi sostenute nella sentenza possono dirsi contrastanti con le disposizioni di legge richiamate nella censura.
Costituisce, infatti, principio costantemente affermato da questa Corte quello secondo cui la promessa di vendita di un immobile con consegna anticipata non comporta un’anticipazione degli effetti traslativi, ma integra un contratto misto, la cui causa è data dalla
fusione di cause di due contratti tipici, ossia il preliminare di compravendita e il comodato precario funzionalmente collegato al primo, con la duplice conseguenza che la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata (Cass., Sez. U, 27/3/2008, n. 7930) e che, stante l’unitarietà funzionale che contraddistingue il collegamento negoziale, tale contratto trova la sua disciplina giuridica in quella prevalente del preliminare di compravendita, con conseguente applicazione degli effetti restitutori ex art. 1458 cod. civ. (Cass., Sez. 2, 05/03/2024, n. 5891).
Costituisce peraltro principio altrettanto pacifico quello secondo cui l’efficacia retroattiva della risoluzione, per inadempimento, di un contratto preliminare comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito ex art. 2033 cod. civ., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipata del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso (Cass., Sez. 2, 14/3/2017, n. 6575; Cass., Sez. 2, 30/11/2022, n. 35280), restando invece esclusa la funzione risarcitoria degli obblighi restitutori (Cass., Sez. 2, 30/11/2022, n. 35280, cit.).
Hanno dunque correttamente deciso i giudici di merito, allorché hanno affermato che l’anticipata immissione nella materiale detenzione del bene compromesso in vendita aveva trovato titolo in un distinto contratto di comodato collegato e accessorio al preliminare e che il collegamento negoziale esistente tra i due contratti aveva comportato il vincolo di interdipendenza, in virtù del quale la risoluzione del primo aveva prodotto anche la risoluzione
del secondo, facendo sì che il bene dovesse essere restituito, in assenza ormai di qualunque titolo.
Né può dirsi che la decisione sia erronea allorché ha stabilito che l’insorgenza dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, in uno con la portata retroattiva della risoluzione, facesse sì che il promissario acquirente dovesse corrispondere i frutti per l’anticipato godimento del bene, calcolati sulla base del canone di affitto, a decorrere dal l’ 11/4/2006 di consegna del capannone, disposizione questa contenuta nella motivazione della sentenza e reiterata nel dispositivo, contrariamente a quanto contenuto nella censura, atteso che la sentenza di risoluzione per inadempimento produce un effetto liberatorio ex nunc soltanto con riguardo alle prestazioni da eseguire, ma non anche relativamente alle prestazioni già eseguite, per le quali produce un effetto recuperatorio ex tunc , dalla data in cui è sorta l’obbligazione (Cass., Sez. 2, 10/05/1980, n. 3073; Cass., 23/8/1985, n. 4604; Cass., Sez. 3, 22/02/2008, n. 4604).
Consegue da quanto detto l’infondatezza delle censure.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei due motivi, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2025.