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Preliminare bene in comunione: la firma di uno solo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21756/2024, ha stabilito che un contratto preliminare di vendita di un immobile in comproprietà, sottoscritto da uno solo dei titolari, è valido. Tale accordo si qualifica come promessa di vendita di cosa parzialmente altrui. Il firmatario è obbligato a procurare il consenso degli altri comproprietari e, in caso di inadempimento, è tenuto al risarcimento dei danni. La Corte ha respinto la tesi della nullità del contratto, confermando la condanna della promittente venditrice.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Preliminare bene in comunione: valido anche con una sola firma

Il contratto preliminare per un bene in comunione firmato da un solo comproprietario è una questione complessa che spesso genera contenziosi. Con la recente ordinanza n. 21756 del 1° agosto 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo è valido, ma si configura come promessa di vendita di cosa parzialmente altrui. Questo implica precise responsabilità per il firmatario e tutele specifiche per l’acquirente. Analizziamo la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti di causa

Una società costruttrice citava in giudizio una signora, chiedendo la risoluzione di un contratto preliminare per inadempimento. L’oggetto dell’accordo era un terreno edificabile in comproprietà tra la signora e i suoi tre figli. Il contratto era stato sottoscritto solo dalla madre, promittente venditrice. Poiché non si era mai giunti alla stipula del contratto definitivo, l’impresa acquirente chiedeva la restituzione degli acconti versati e il risarcimento dei danni.

La venditrice si costituiva in giudizio e, con una domanda riconvenzionale, chiedeva a sua volta la risoluzione del contratto per inadempimento dell’acquirente. I giudici di primo e secondo grado davano ragione alla società costruttrice, qualificando il contratto come promessa di vendita di cosa parzialmente altrui e condannando la venditrice al risarcimento. La questione è quindi giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La validità del preliminare per un bene in comunione

Il motivo principale del ricorso della venditrice si basava sulla tesi che il contratto preliminare fosse nullo o inefficace, poiché mancava la firma degli altri comproprietari. Secondo la sua difesa, quando un bene in comunione viene promesso in vendita, tutti i proprietari costituiscono un’unica parte complessa e la volontà negoziale deve provenire da tutti. L’assenza anche di una sola firma impedirebbe la formazione stessa del contratto.

La Corte di Cassazione ha rigettato questa interpretazione, confermando l’orientamento consolidato della giurisprudenza. Il contratto di vendita di un bene in comunione stipulato da uno solo dei comproprietari è valido. Non è opponibile agli altri proprietari che non hanno firmato, ma produce pienamente i suoi effetti tra le parti firmatarie.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha chiarito che il contratto in esame deve essere inquadrato nella fattispecie della promessa di vendita di cosa parzialmente altrui, disciplinata dagli articoli 1478 e 1480 del codice civile. Le motivazioni si fondano su due pilastri:

1. Libera disponibilità della quota: Ogni comproprietario ha la libera disponibilità della propria quota ideale del bene e può prometterla in vendita autonomamente.
2. Validità della promessa del fatto altrui: Il promittente venditore, firmando il contratto, non si impegna solo a trasferire la propria quota, ma assume anche l’obbligazione di procurare il consenso degli altri comproprietari al trasferimento delle loro quote. Si impegna, in sostanza, a far sì che anche gli altri titolari partecipino alla stipula del contratto definitivo.

Quando il promittente venditore non riesce a ottenere il consenso degli altri, si verifica un inadempimento contrattuale. Di conseguenza, il promissario acquirente ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. È irrilevante che l’acquirente fosse a conoscenza della comproprietà del bene sin dall’inizio; ciò non esclude l’inadempimento del venditore che non ha adempiuto all’obbligo di procurare il trasferimento dell’intera proprietà.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

L’ordinanza della Cassazione offre importanti indicazioni pratiche. Chi firma un preliminare per un bene in comunione senza avere il consenso degli altri comproprietari si assume una responsabilità personale molto seria. L’impossibilità di far firmare il contratto definitivo agli altri contitolari lo espone a un’azione di risoluzione e risarcimento danni.

Per il promissario acquirente, invece, la sentenza conferma che il suo diritto è tutelato. Tuttavia, è fondamentale essere consapevoli che un contratto di questo tipo non è suscettibile di esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento coattivo dell’intera proprietà. La tutela si concretizza principalmente nella possibilità di risolvere il contratto e ottenere un risarcimento. Per avere la massima garanzia, è sempre preferibile assicurarsi che il contratto preliminare sia sottoscritto da tutti i comproprietari del bene.

È valido un contratto preliminare per un bene in comunione firmato da un solo comproprietario?
Sì, secondo la Corte di Cassazione il contratto è valido. Non è nullo né inefficace, ma si qualifica come promessa di vendita di cosa parzialmente altrui. Produce effetti obbligatori tra le parti che lo hanno sottoscritto.

Cosa rischia il comproprietario che firma un preliminare senza il consenso degli altri?
Il comproprietario firmatario si obbliga a ottenere il consenso degli altri titolari per la vendita dell’intero bene. Se non ci riesce, risulta inadempiente e può essere condannato a risolvere il contratto e a risarcire i danni subiti dal promissario acquirente.

L’acquirente può chiedere la risoluzione del contratto anche se sapeva della comproprietà del bene?
Sì. La conoscenza della situazione di comproprietà da parte dell’acquirente non esclude l’inadempimento del venditore. La domanda di risoluzione si fonda sulla violazione dell’obbligo del promittente venditore di procurare il trasferimento dell’intera proprietà, non sulla vendita di cosa altrui in sé.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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