Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21756 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21756 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9537/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI n. 922/2018 depositata il 29/10/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE NOME citava innanzi al Tribunale di Cagliari NOME COGNOME domandando la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della promittente venditrice, nonché la sua condanna alla restituzione degli acconti e al risarcimento dei danni subìti.
Adduceva l’attrice di aver stipulato con la convenuta, in data 13 giugno 2007, un contratto preliminare di vendita ed appalto di un terreno edificabile in Serdiana, di proprietà comune tra NOME COGNOME e i suoi tre figli; per rifiuto della promittente venditrice non si sarebbe mai addivenuti alla stipula del contratto definitivo, pure prevista nei trenta giorni successivi alla conclusione del contratto preliminare.
Si costituiva la convenuta chiedendo, con domanda riconvenzionale, che il contratto preliminare fosse dichiarato risolto per inadempimento della ditta RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il Tribunale di Cagliari – qualificato il contratto preliminare come promessa di vendita di cosa parzialmente altrui, poiché tra i venditori risultavano anche i figli della COGNOME, comproprietari del medesimo terreno ma non firmatari dell’accordo preliminare -accoglieva la domanda attorea di risoluzione del medesimo contratto e rigettava la domanda riconvenzionale, condannando la COGNOME anche al risarcimento dei danni per l’importo di € . 104.952,36.
Avverso detta pronuncia interponeva appello NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Cagliari, che rigettava il gravame
affermando, per quel che qui ancora rileva, l’infondatezza della tesi interpretativa dell’appellante secondo la quale il contratto preliminare non si sarebbe mai perfezionato in assenza della sottoscrizione dei comproprietari del terreno. A giudizio della Corte territoriale, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3677/1996; Cass n. 4965/2004), la promessa di vendita del bene in comunione posta in essere da uno solo dei comproprietari rende il contratto non opponibile, quindi inefficace, nei confronti dei comproprietari che non hanno partecipato al negozio, ma non incide sulla sua validità.
La suddetta pronuncia veniva impugnata per la cassazione da NOME COGNOME e il ricorso affidato a tre motivi.
Si difendeva depositando controricorso NOME COGNOME, anche in qualità di titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce inosservanza degli artt. 1103, comma 3, 1325, 1351, 1478 e 1480 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Sulla scorta di quanto statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con pronuncia n. 7481 del 1993, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di declaratoria della nullità e/o inefficacia del contratto preliminare sottoscritto solo dalla promittente venditrice COGNOME, e non anche dagli altri comproprietari del bene promesso in permuta/vendita, benché gli stessi fossero stati espressamente contemplati tra i venditori nella scrittura privata. A giudizio della ricorrente, la citata pronuncia delle Sezioni Unite enuncia un principio nient’ affatto superato (confermato, invece, da Cass. n. 14346/2000), in virtù del quale quando l’oggetto di una promessa di vendita sia un bene in comunione di regola le parti
considerano tale bene come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari; correlativamente, questi ultimi costituiscono un’unica parte complessa per cui le loro dichiarazioni di volontà di voler promettere in vendita non hanno autonomia, ma si fondono in un’unica volontà negoziale (quella della parte promittente). Ne consegue che quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida) non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, il quale non viene ad esistenza (o è nullo). Rispetto a tale principio, prosegue la ricorrente, le pronunce citate in senso contrario dalla Corte d’Appello risulterebbero inconferenti: la prima (Cass. n. 3677/1996), perché ha ad oggetto una fattispecie nella quale la promittente venditrice compariva quale unica proprietaria del bene; la seconda, perché il preliminare era stato inizialmente sottoscritto solo da una delle comproprietarie, senza contemplare l’altra contitolare, ma assumendo l’obbligo di procurare l’acquisto anche delle quote dei comproprietari. Diversa è, invece, la fattispecie oggetto del presente giudizio, nella quale l’atto contemplava espressamente sin dall’inizio la sussistenza di altri comproprietari del bene promesso in permuta/vendita, ma è stato sottoscritto solo da uno dei comproprietari, ossia la COGNOME.
2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza dell’art. 1421 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia voluto comunque applicare la disciplina del preliminare di vendita di un bene parzialmente altrui senza rispondere alla questione se sia valida ed efficace la promessa del singolo comproprietario venditore che ha sottoscritto il preliminare, anche in virtù dei principi generali in tema di amministrazione della cosa comune e di prestazione del consenso
(artt. 1103, 1108, comma 3, 1325 cod. civ.), in virtù dei quali quando manca o sia viziata la volontà di uno dei comproprietari del bene comune deve escludersi il perfezionamento del contratto.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi censurano la sentenza impugnata per la medesima ragione, ossia aver riconosciuto come valida ed efficace una promessa di vendita sottoscritta da uno solo dei comproprietari del bene oggetto del preliminare.
Entrambi sono infondati per quanto di séguito argomentato.
3.1. Il contratto di vendita di un bene in comunione stipulato da uno solo dei comproprietari, nel quale compratore e venditore abbiano, tuttavia, considerato l’immobile come un unicum inscindibile è, comunque, valido, risultando, secondo i principi generali che regolano il regime giuridico della comunione pro indiviso , meramente inopponibile al comproprietario che non ha preso parte all’atto.
3.1.1. La Corte territoriale, riportandosi integralmente a quanto argomentato dal giudice di prime cure, ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, sorretto -da un lato – dal principio generale che regola il regime giuridico della comunione della libera disponibilità della quota ideale indivisa da parte di ogni partecipante (Sez. 1, Sentenza n. 2815 del 05/04/1990, Rv. 466429 – 01), per cui è ben possibile che ciascun comproprietario venda o prometta di vendere la sua quota di comproprietà autonomamente; dall’altro lato, dal fatto che sia normativamente configurata la vendita di cosa altrui o parzialmente altrui (artt. 1478 e 1480 cod. civ.) ed essendo quindi, a fortiori , ammissibile il contratto preliminare di vendita con analogo oggetto (Cass. Sez. 2, Ord. n. 24207 del 04/08/2022, riportata in memoria dalla controricorrente; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2701 del 30/01/2019,
Rv. 652355 -01 che conferma: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4965 del 11/03/2004, Rv. 570980 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3677 del 1996, citate in sentenza).
3.1.2. Il principio così posto riguarda qualsiasi situazione in cui si verifichi un’ipotesi di contitolarità del bene oggetto di compravendita: tanto basta a privare di consistenza l’argomento dedotto dalla ricorrente nel primo mezzo di gravame, in virtù del quale sarebbe inconferente il riferimento alle pronunce di questa Corte n. 4965/2004 e n. 3677/1996, poiché si tratterebbe di fattispecie diverse da quella di cui è causa.
Nella specie i giudici di merito hanno accertato che le parti hanno posto in essere una promessa di vendita di cosa parzialmente altrui e hanno desunto la piena consapevolezza della COGNOME circa l’operatività ed efficacia del contratto dal fatto che la stessa aveva contestato alla promissaria acquirente l’inadempimento delle obbligazioni poste dal contratto e aveva formulato domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento della promissaria.
La Corte territoriale ha pertanto esattamente fatto applicazione del principio secondo cui il contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui è valido, benché insuscettibile di esecuzione in forma specifica ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. e obbliga il promittente venditore, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento, al promissario acquirente, anche di quella rimanente (o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva), rimanendo tale contratto assoggettato all’ordinario regime risolutorio per il caso di inadempimento della obbligazione assunta dal promittente venditore.
4. Con il terzo motivo si deduce inosservanza e falsa applicazione degli artt. 1478, 1479 e 1480 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe errato nel riconoscere alla NOME il diritto al risarcimento del danno: l’art. 1480 cod. civ. appare chiarissimo nello statuire quale presupposto per poter chiedere la risoluzione che il compratore debba erroneamente ritenere il bene interamente di proprietà del venditore. Poiché nella fattispecie de qua era palese, dal testo del preliminare, che la promissaria acquirente fosse a conoscenza dell’esistenza di una comproprietà, non vi erano i presupposti per poter dichiarare la risoluzione: la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscere soltanto la riduzione del prezzo, e non anche decretare la risoluzione del contratto preliminare.
4.1. Il motivo è infondato.
Nel caso che ci occupa la domanda proposta dall’originaria attrice, e sulla quale si sono pronunciati i giudici di merito, riguardava l’inadempimento del preliminare a cura della convenuta fondato non già sulla vendita di cosa parzialmente altrui (di fatto non ancora intercorsa) né tanto meno sull’invalidità/inesistenza del preliminare sottoscritto da uno solo dei comproprietari del terreno (ché, invece, tale doglianza era stata elevata da controparte, odierna ricorrente) bensì sulla violazione dell’obb ligo di trasferire la propria quota del bene oggetto della compravendita, nonché dell’obbligo di procurare il trasferimento delle restanti quote di proprietà dei figli.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in € . 6.000,00 per compensi, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda