Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29264/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2742/2020 depositata il 24/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con atto di citazione NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Benevento Unicredit Banca di Roma s.p.a. esponendo che grazie all’intermediazione di NOME COGNOME, qualificatosi come funzionario dipendente dell’Unicredit abilitato a compiere operazioni al di fuori dei locali della banca, erano stati aperti due libretti di deposito a risparmio nominativi, a COGNOME NOME e NOME COGNOME e un rapporto di conto corrente intestato a NOME COGNOME, presso l’Agenzia Unicredit Banco di Roma RAGIONE_SOCIALE situata a Benevento; che spendendo la suddetta qualifica NOME COGNOME aveva raccolto- fuori dai locali della banca- la firma di essi attori, apposta sulla modulistica della Banca necessaria per l’accensione dei citati rapporti, unitamente alla copia dei loro documenti di identità e codici fiscali.
Rilevavano che quest’ultimo aveva consegnato loro i carnet di assegni, la carta di credito e il relativo codice nonché i libretti nominativi, che il medesimo raccoglieva direttamente presso gli attori gli assegni in contanti che intendevano versare sia sul conto
che sui libretti offerendo loro un servizio di banca a domicilio; che nel mese di maggio 2009 avevano appreso che le somme depositate sui libretti di deposito nominativo erano state prosciugate e che vi erano stati degli indebiti prelievi dal conto corrente.
Lamentavano di aver ricevuto solo una parte della documentazione posta a base delle movimentazioni che erano state eseguite e che avevano disconosciuto le sottoscrizioni relative alle operazioni di prelievo.
Gli attori chiedevano di accertare l’esclusiva responsabilità della Banca relativamente al libretto di deposito a risparmio intestato a NOME COGNOME e condannare la convenuta alla restituzione della somma di € 173.254,94 e relativamente al libretto di deposito a risparmio intestato a NOME COGNOME alla restituzione della somma di € 240.516,30 e al risarcimento dei danni patrimoniali collegati al mancato perfezionamento dei contratti di vendita pari agli importi di € 60.000,00.
Si costituiva Unicredit contestando la ricostruzione dei fatti come esposta dagli attori e concludeva per il rigetto delle pretese azionate.
Con sentenza nr 2225/ 2016 il Tribunale di Benevento accoglieva parzialmente la domanda attorea condannando, sulla rilevata responsabilità della convenuta ex art 2049 c.c., la Banca a restituire a NOME COGNOME la somma di € 136373,43 maggiorata degli interessi legali e a NOME COGNOME la somma di € 376.300,00 maggiorata degli interessi legali.
Avverso tale pronuncia Unicredit s.p.a proponeva appello cui resistevano NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali spiegavano appello incidentale.
Con sentenza nr 2742/2020 la Corte di appello condannava l’Unicredit al pagamento a favore di COGNOME della somma di € 86.350,00 e a favore di NOME COGNOME della somma di € 178.300,00.
Osservava, per gli aspetti che qui interessano, che doveva ritenersi fondato il quarto motivo con cui era stata censurata la decisione di primo grado nella parte in cui aveva ritenuta tempestiva la pretesa restitutoria riguardante prelievi indebiti per l’importo di € 50.023,43 in favore di COGNOME e per l’importo di 163.000,00 in favore di COGNOME.
Rilevava infatti che tali richieste erano state formulate oltre la scadenza dei termini di cui all’art 183 c.p.c. senza che assumesse alcun rilievo la circostanza che la Banca convenuta non aveva fornito prima dell’introduzione del giudizio, tutti i documenti relativi ai prelievi effettuati.
Sottolineava che chi si ritiene leso dall’indebito prelievo di somme di denaro dal proprio deposito bancario deve allegare nell’atto introduttivo nel termine assegnato ai sensi dell’art 183, sesto comma c.p.c. di quali prelievi che assume essere indebiti, si duole. sin dall’introduzione del giudizio, i prelievi ritenuti indebiti, e solo a seguito di tale indicazione sarebbe sorto a carico della banca l’onere di depositare la documentazione a sostegno di tali prelievi,
Sosteneva che gli attori avrebbero potuto allegare, per fornire una giustificazione agli stessi.
Da tale considerazione conseguiva che dall’importo di euro 136.373,43 oggetto di condanna a carico di Unicredit S.p.A. disposta dal Tribunale a favore di COGNOME NOME, doveva essere detratta la somma di euro 50.023,43, e dall’importo di euro 376.300,00 disposta a favore di COGNOME NOME, doveva essere
detratta la somma di euro 163.000,00, così pervenendo all’importo di euro 86.350,00 con riguardo a COGNOME NOME e all’importo di euro 213.300,00 con riguardo a COGNOME NOME
La Corte distrettuale riteneva che non vi fosse alcuna prova che la risoluzione del preliminare stipulato da NOME COGNOME con la RAGIONE_SOCIALE in data 30.1.2009 fosse ricollegabile alla condotta della Banca sicchè dall’importo indicato come oggetto di condanna in favore di NOME COGNOME doveva essere detratta l’ulteriore somma di € 35.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria da quest’ultimo.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria cui ha resistito con controricorso e ricorso incidentale Unicredit s.p.a.
RAGIONE DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 112,115,116, comma terzo nr 3 e 4, comma sesto nr 1 c.p.c. in relazione all’art 360 c.p.c. comma nr 3 e 5 c.p.c.; il vizio e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai Giudice di secondo grado, gli odierni ricorrenti, sin dalla fase introduttiva del giudizio relativa alla formazione del thema decidendum avrebbero contestato tutte le operazioni di prelievo annotate nei rispettivi libretti e chiesto la restituzione del loro intero ammontare, pari a tutto quanto a suo tempo versato, ovvero € 341.401,80 per COGNOME ed € 173.254,94 per COGNOME sicchè non si poteva parlare di una domanda nuova.
Si afferma comunque che vi sarebbe stata accettazione del contraddittorio da parte della Banca, la quale non avrebbe svolto difese di merito.
Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 112,115,116 e 132 c.p.c. dell’art 118 disp att. c.p.c. nonché dell’art 2702 e 2704 c.c., degli articoli 2697,2721,2724 e 2726 c.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 3; l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si lamenta da parte dei ricorrenti di aver assolto il proprio onere probatorio con la produzione in giudizio del contratto preliminare e della successiva scrittura privata per l’accoglimento della domanda risarcitoria.
In ogni caso si osserva che l’espletamento della prova avrebbe arricchito e completato il quadro probatorio, prova che è stata disattesa dalla Corte senza motivazione in violazione dell’art 112 c.p.c.
Si sostiene che la mancata pronuncia su una istanza istruttoria integrerebbe il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.
Con il terzo motivo si censura la decisione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli articoli 112,115,116 e 132 c.p.c. dell’art 118 disp att. c.p.c. nonché dell’art 2702 e 2704 c.c., degli articoli 2697,2721,2724 e 2726 c.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 3; l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia per avere la Corte di appello rigettato l’appello incidentale ritenendo che non erano stati forniti elementi che consentivano di ricondurre univocamente il danno rappresentato dalla perdita delle caparre agli indebiti prelievi dai libretti di deposito per non avere gli appellati allegato e provato
quali sarebbero stati gli obblighi contrattualmente assunti nei confronti dei promittenti venditori, non adempiuti a causa della condotta della Banca.
Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Preliminarmente si osserva che il vizio qui dedotto involge il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato quale effetto di un’errata interpretazione della causa petendi, vizio in procedendo rispetto al quale la Corte di legittimità è giudice del “fatto processuale”. Ciò vuol dire che anche la rilevazione o l’interpretazione del contenuto della domanda resta sindacabile in cassazione – in via diretta, e non per il mero tramite della motivazione al riguardo fornita dal giudice del merito – ove ridondi in un vizio di nullità processuale (v. Cass. n. 11103/2020,).
Come, infatti, chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 35222/2023), una volta dedotto tale vizio, spetta alla Cassazione stabilirne o meno l’esistenza, come deriva dall’insegnamento delle Sezioni Unite a proposito del confine del sindacato di legittimità dinanzi alla deduzione del vizio processuale: “quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, (..) il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma,
n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.)” (Cass. Sez. U n. 8077/12).
Ciò posto la Corte di appello ha rilevato che fra le somme originariamente richieste in restituzione con l’atto introduttivo non erano comprese quelle relative all’importo di € 163.000,00 riguardante COGNOME ed € 50.023,43 riguardante Schiano avanzate oltre i termini di cui all’art 183 c.p.c.
Ha sottolineato infatti che gli attori, a prescindere dalla mancata disponibilità della documentazione bancaria che non era stata fornita dall’Istituto di credito, erano in grado di allegare i prelievi ritenuti indebiti e solo all’esito di tale indicazione sarebbe sorto l’onere della Banca di depositare la documentazione a sostegno di detti prelievi per fornire una giustificazione degli stessi.
Il giudice di merito ha rilevato che non tutte le operazioni di prelievo indebito erano state oggetto di contestazione.
Si legge infatti nell’atto introduttivo che le operazioni in uscita, ammontanti a complessivi € 341.306,00 di cui la maggior parte costituita da ‘anomali’ prelievi di contanti allo sportello’ .
Su queste basi erano state individuate le seguenti operazioni del 19.2.2007, del 14.1.2007, del 3.4.2007, del 26.6.2007, del 30.7.2007, del 7.11.2007 e del 16.1.2008 per un ammontare complessivo di € 240,516,30 mentre l’ulteriore importo di € 163.000,00 è stato chiesto solo all’udienza del 12.12.2013 oltre i termini ex art 183 c.p.c. (cfr verbale di udienza pag 9).
Analogamente per COGNOME NOME in citazione era stata chiesta la restituzione relativa alle operazioni del 31.5.2007, del 5.6.2007 del 20.6.2007, del 27.6.2007, del 9.7.2007, del 10.7.2008, delll’8.8.2008, del 7.9.2007, del 18.9.2007, del 1.10.2007, del 19.10.2007, del 30.10.2007, dell’8.11.2007 e del 19.11.2007 per
un ammontare complessivo di € 173.254,94 mentre l’ulteriore importo di € 50.023,43 è stato dedotto all’udienza del 12.12.2013.
Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto che dovessero essere riconosciuti come indebite solo quelle operazioni che erano state tempestivamente e puntualmente allegate nell’atto di citazione avendo rilevato che solo per quelle gli attori avevano assolto all’onere di specificare i fatti costitutivi della sua pretesa mettendo il giudice in condizione di conoscere quali fossero gli anomali prelievi.
Con riguardo alla pretesa accettazione del contraddittorio va osservato che la novità della domanda formulata nel corso del giudizio è rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice, trattandosi di una questione sottratta alla disponibilità delle parti, in virtù del principio secondo cui il thema decidendum è modificabile soltanto nei limiti e nei termini a tal fine previsti (art. 183 c.p.c.), con la conseguenza che, ove in primo grado tali condizioni non siano state rispettate (come nella specie), l’inammissibilità della domanda può essere fatta valere anche in sede di gravame e pure in sede di legittimità, senza che rilevi, in contrario, che l’appellato abbia accettato il contraddittorio sulla domanda anzidetta (Cass. n. 4318/2016; Cass. n. 13769/2017; Cass. n. 24040/2019).
Il secondo e terzo motivo che meritano un vaglio congiunto per l’intima connessione sono inammissibili per plurimi profili.
In primo luogo l’inammissibilità va predicata, anzitutto e in via assorbente, a causa della prospettazione, con riferimento al medesimo unitario discorso argomentativo (v. Cass. 17/05/2023, n. 13542; 11/04/2018, n. 8915; Sez. U. 10/07/2017, n. 16990; Sez. U, 06/05/2015, n. 9100; Cass. 23/04/2013, n. 9793; 12/09/2012, n. 15242; 23/09/2011, n. 19443), di censure
eterogenee e incompatibili error in iudicando per violazione e falsa applicazione delle norme codicistiche in tema di onere della prova, limiti alla prova testimoniale, efficacia e data della scrittura privata error in procedendo per omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo.
Deve comunque rammentarsi, a confutazione delle diverse qualificazioni censorie proposte, che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, attività diversa ed estranea all’esatta interpretazione della norma, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed è perciò sottratta al sindacato di legittimità; nella specie, gli argomenti di critica pretendono di sollecitare una nuova lettura del compendio probatorio esaminato dai giudici di merito, per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta e devono pertanto ritenersi fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (v. ex plurimis Cass. 27/03/2024, n. 8272).
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di
motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830); nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle dette gravi anomalie argomentative; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (sostanzialmente mirandosi, inammissibilmente, ad una rilettura del materiale istruttorio).
L’adeguatezza e la sufficienza della adottata motivazione non si misurano sulla presa in esame di tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo sufficiente che sia consentito di conoscere il procedimento logico che ha indirizzato il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, nel suo convincimento, dovendosi così intendere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 1608 del 2014 e n. 7662 del 2020).
L’omessa considerazione di risultanze o di richieste istruttorie (tra le quali anche quella di prova testimoniale) non costituisce, di per sé vizio cassatorio il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, infatti, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
contro
versia) l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, cit.).
Ciò posto nel caso di specie i ricorrenti hanno dedotto con il secondo e terzo motivo, sotto diversi profili, la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con censure tutte inammissibili dolendosi, da un lato, della valutazione del materiale probatorio espressa dalla Corte in relazione alla produzione in giudizio della scrittura privata ritenuta elemento sufficiente a provare il danno ,dall’altro, del mancato ingresso della prova testimoniale considerata idonea ad arricchire e completare il quadro probatorio. Risulta evidente il tentativo attraverso le lamentate censure di spingere questa Corte ad effettuare una valutazione del materiale probatorio, e dunque una valutazione di merito inammissibile in questa sede.
Le censure peraltro non attingono la ratio decidendi laddove la Corte di appello ha ritenuto che non vi fosse alcun legame probatorio fra la risoluzione del contratto preliminare concluso fra NOME COGNOME e la Cooperativa delle Viole s.r.l. in data 30.1.2009 e la condotta illecita della Banca.
Il giudice di merito ha rilevato che nella specie era mancata una specifica allegazione e prova del legame esistente fra gli obblighi contrattuali assunti dal COGNOME nei riguardi del contraente rimasti inadempiuti proprio a causa del comportamento della Banca e il conseguente scioglimento dell’accordo con la perdita della caparra confirmatoria per l’importo di € 35.000,00.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso principale va dichiarato inammissibile.
Resta da esaminare la doglianza veicolata dalla Banca attraverso l’unico motivo di ricorso incidentale con cui ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art 112 c.p.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 4 c.p.c. lamentando l’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione dell’importo pagato in esecuzione della sentenza di primo grado.
La censura è fondata.
Va ribadita la giurisprudenza costante di questa Corte, secondo cui l’art. 336 c.p.c., disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. In sostanza, è sufficiente l’accoglimento della impugnazione perché sorga l’obbligo restitutorio.
La Corte d’appello, omettendo la pronuncia restitutoria pur, a fronte della domanda formulata dalla Banca, è incorsa nella violazione del principio di diritto secondo il quale incorre nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, accogliendo l’appello avverso sentenza provvisoriamente esecutiva, ometta di ordinare la restituzione di quanto corrisposto, in forza della decisione riformata, pur essendo stata ritualmente introdotta, finanche con l’atto di impugnazione, la
relativa domanda restitutoria (Cass. n. 8639 del 2016; Cass. n. 814 del 2015).
Il ricorso incidentale va pertanto accolto e la sentenza d’appello conseguentemente cassata sul punto, con rinvio del procedimento alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che nell’effettuare la precisa ricognizione delle posizioni di dare ed avere fra le parti, dovrà tenere conto ed accertare l’importo della somma corrisposte dalla Banca in favore degli odierni ricorrenti in esecuzione della sentenza di primo grado poi parzialmente riformata da quella di secondo grado nel senso sopra precisato e provvedere alla liquidazione delle spese di legittimità.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa limitatamente al motivo accolto la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma 29.05.2025