Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5874 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5874 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19482-2018 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, gusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, STANO NOME, STANO NOME, STANO IMMACOLATA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 104/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE -SEZIONE DSTACCATA di TARANTO, depositata il 12/03/2018;
lette le memorie delle parti; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Con citazione del 10 giugno 2005 COGNOME NOME, dopo aver premesso che nel 1980 era deceduta la madre NOME, e che alla stessa erano succeduti i figli NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME (essendo poi succeduti a NOME il coniuge ed i tre figli COGNOME NOME, NOME ed NOME), deduceva che l’eredità comprendeva un immobile sito in Manduria e che i germani avevano alienato a COGNOME NOME, con atto del 7 luglio 2004, la quota di 18/21 del cespite, in violazione del diritto di prelazione.
Conveniva in giudizio i germani (ed i loro discendenti), nonché il COGNOME dinanzi al Tribunale di Taranto -sezione distaccata di Manduria, affinché fosse accertato il diritto di riscatto spettante all’attore, con la declaratoria di inefficacia della vendita e l’accertamento dell’avvenuto trasferimento delle quote alienate in proprio favore, con la condanna anche al ristoro dei danni.
Si costituiva NOME COGNOME, il quale sosteneva che in realtà la vendita era stata oggetto di preventiva comunicazione all’attore e che il prezzo effettivo era superiore a quello indicato nell’atto intervenuto tra i convenuti; aggiungeva di avere sostenuto ingenti costi di ristrutturazione del bene, di cui chiedeva il rimborso, per l’ipotesi di accoglimento della domanda attorea.
Alla difesa del convenuto aderivano gli altri convenuti.
Il Tribunale adito con la sentenza n. 2659 del 17/9/2014 accoglieva la domanda di COGNOME NOME, riconoscendo che lo stesso era subentrato nella posizione del NOME, al quale doveva quindi versare il prezzo concordato nell’atto di vendita e le somme spese per i miglioramenti del bene, al netto delle spese necessarie per la regolarizzazione urbanistica.
Avverso tale sentenza proponevano appello i convenuti, cui resisteva l’attore, che proponeva a sua volta appello autonomo, in risposta al quale si costituivano i convenuti proponendo a loro volta appello incidentale.
La Corte d’appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto, con la sentenza n. 104/2018, pubblicata il 12 marzo 2018, accoglieva
l’appello del convenuto, rigettando quello di COGNOME NOME , che condannava al rimborso delle spese di lite ed al pagamento integrale degli esborsi occorsi per la CTU.
La sentenza della Corte territoriale, dopo aver rilevato il difetto di interesse delle parti alla decisione sugli appelli incidentali proposti, avendo le stesse parti autonomamente avanzato appello autonomo, stante la riunione dei due giudizi, rigettava l’eccezione circa l’inammissibilità dell’appello principale delle controparti, osservando che le procure alle liti risultavano allegate alla copia dell’atto di appello nel fascicolo d’ufficio.
Esaminava, quindi, prioritariamente l’appello del NOME e degli altri convenuti, con il quale si lamentava l’erroneo apprezzamento da parte del Tribunale della raccomandata inviata dal COGNOME in data 9 febbraio 2004 allo stesso NOME, che -secondo la prospettazione degli appellanti -doveva considerarsi contenente una vera e propria rinuncia dell’attore al diritto di prelazione.
Infatti, in detta missiva, dopo avere confermato di avere ricevuto la bozza del preliminare relativo alla vendita della quota anche di proprietà dell’attore, questi si dichiarava disposto alla cessione della propria quota ereditaria; in detta missiva aggiungeva di non potere sottoscrivere la proposta convenzione in quanto non era d’accordo con le condizioni ivi contemplate e che era disponibile alla cessione solo ove il prezzo della sua quota non fosse risultato inferiore ad € 8.000,00.
Nella bozza di preliminare in precedenza spedita al COGNOME si indicava per la vendita il prezzo d € 18.000,00 , mentre nell’atto definitivo del 7/7/2004 il prezzo era stato concordato nell’ammontare di € 9.000,00.
Doveva, perciò, reputarsi -ad avviso della Corte tarantina che la comunicazione dell’attore mostrava consapevolezza della volontà dei coeredi di alienare le proprie quote, e ciò sulla base di una bozza di preliminare che, sebbene non sottoscritta, lo stesso attore non contestava come riferibile a tutti gli altri coeredi.
Avendo il COGNOME NOME espresso la disponibilità alla cessione della propria quota al prezzo di € 8.000,00, attendendo una risposta da parte del NOME, doveva reputarsi che il primo avesse in tal modo posto in essere un’implicita rinuncia al diritto di prelazione che gli competeva ex lege , avendo formulato al terzo interessato all’acquisto una controproposta di cessione.
Poiché l’attore aveva già rinunciato al dritto fatto poi valere in sede giudiziale, la domanda doveva essere rigettata, con l’assorbimento di ogni altra questione.
Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso COGNOME NOME sulla base di tre motivi.
NOME ha resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. l’omesso esame di un punto decisivo per il giudizio con la nullità della sentenza di primo grado e conseguentemente di quella di appello.
Si deduce che nel corso del giudizio erano deceduti alcuni degli originari convenuti e che la sentenza riferisce della costituzione in giudizio degli eredi.
Tuttavia, non risultava essere stato versato in atti il mandato rilasciato dagli stessi né quello conferito al difensore in appello dagli altri appellanti COGNOME NOME, NOME, NOME ed NOME.
Poiché si verteva in un’ipotesi di litisconsorzio necessario, si rappresenta che l’appello avrebbe dovuto essere proposto da tutti i litisconsorti, così che non essendo stato formulato l’appello né da parte, né nei confronti di tutte le parti necessarie, l’appello andava dichiarato inammissibile, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Il motivo è inammissibile.
In disparte il rilievo secondo cui non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario per l’azione esperita dal coerede contro l’estraneo acquirente della quota di comunione ereditaria, alienata da altro coerede in violazione del diritto di prelazione attribuito dall’art. 732 cod. civ. (atteso che, con essa, il retraente consegue il risultato di sostituirsi al retrattato quale cessionario della quota, senza modificare in nulla,
rispetto all’avvenuta cessione, la posizione giuridica del coerede alienante, che di conseguenza non ha veste di litisconsorte necessario: cfr. Cass. n. 2934 del 13/04/1988; Cass. n. 246 del 13/01/1983), va osservato che, essendo stato l’appello proposto sicuramente da parte del COGNOME, la conseguenza dell’inammissibilità sarebbe potuta discendere solo nel caso in cui fosse rimasto privo di esecuzione l’eventuale ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., e non anche in relazione all’ipotesi prospettata dal ricorrente di mancata evocazione in giudizio ab initio degli altri litisconsorti.
Tuttavia, tenuto conto del fatto che la violazione del litisconsorzio è correlata dal mezzo in esame alla circostanza che alcuni dei convenuti avrebbero proposto appello senza che fosse emersa la prova della procura in proposito rilasciata, la denuncia non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata la quale – alla pag. 5 – ha espressamente disatteso l’analoga eccezione sollevata in appello, osservando che le procure alle liti rilasciate dagli atri coeredi risultavano allegate alla copia dell’atto di gravame nel fascicolo d’ufficio.
Trattasi di affermazione che non viene in alcun modo censurata dal ricorrente che si limita apoditticamente a ribadire la tesi dell’assenza di tali procure. Peraltro, ove anche volesse ipotizzarsi che la critica investa tale affermazione del giudice di appello, essa si risolve evidentemente nella contestazione circa la veridicità dell’assunto della Corte d’Appello e si palesa ,
quindi, idonea a configurare una fattispecie di errore di fatto revocatorio denunciabile esclusivamente con il rimedio della revocazione da esperire dinanzi alla stessa Corte d’Appello .
Il motivo è, pertanto, inammissibile.
Il secondo motivo di ricorso denuncia -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione dell’art. 732 c.c., avuto riguardo, in particolare, al l’omessa od erronea applicazione delle norme in tema di retratto successorio.
Si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe, nella sostanza, affermato che l’invio del preliminare, in bozza e senza sottoscrizione alcuna, equivalesse all’invio della denuntiatio .
Il ricorrente deduce che trattasi, però, di un’affermazione errata in quanto la spedizione del preliminare ad opera del solo NOME non consentiva di ritenere soddisfatto il requisito formale prescritto dall’art. 732 c.c., atteso che la stessa non contene va una proposta proveniente in forma scritta dai coeredi.
Inoltre, aggiunge il COGNOME NOME, non poteva trascurarsi la circostanza che le condizioni riportate nel preliminare trasmesso erano ben differenti da quelle in base alle quali era avvenuta la vendita definitiva, posto che quest’ultima a veva avuto ad oggetto solo delle quote, e non l’intero immobile, e d a un prezzo diverso da quello indicato nel preliminare.
Del pari erronea -si aggiunge nell’esposizione della censura -si palesa l’affermazione secondo cui vi sarebbe stata da parte di esso ricorrente una rinuncia al diritto di prelazione.
Questa deve essere, infatti, riferita alle concrete condizioni dell’offerente, circostanza che non sarebbe stata ravvisabile -nel caso di specie a fronte dell’invio di uno scritto privo di firme e con condizioni diverse da quelle poi riscontrate nella vendita finale.
Si sarebbe, pertanto, dovuto reputare che non vi fosse stata alcuna valida rinuncia, quanto meno implicita, al diritto di retratto che era stato, quindi, correttamente esercitato una volta che l’attore ebbe conoscenza dell’intervenuta vendita delle quote da parte degli altri coeredi.
Il motivo è fondato.
La stessa sentenza impugnata evidenzia che al ricorrente venne notificato a cura del NOME una copia di un contratto preliminare, evidentemente in bozza e privo di sottoscrizioni, che prevedeva la partecipazione di tutti i coeredi, nella veste di promittenti venditori, e dello stesso COGNOME, quale promissario acquirente, nel quale l’oggetto della promessa di vendita era l’intero bene comune ed al prezzo di € 18.000,00.
Una volta pervenuta tale missiva, il ricorrente ebbe a rispondere con la successiva raccomandata del 9/2/2004 nella quale comunicava al NOME che non era disposto a vendere anche la propria quota secondo il prezzo riportato nello schema di preliminare e che avrebbe invece assentito alla diversa condizione che la sua quota fosse stata valutata non meno di € 8.000,00.
La Corte d’Appello, ritenendo che la comunicazione del testo del preliminare fosse idonea a mettere l’attore nelle condizioni di apprendere dell’intento degli altri comunisti di addivenire alla
vendita della propria quota, ha tuttavia escluso che vi fosse stato l’esercizio del diritto di prelazione, ma che in ogni caso la successiva comunicazione del COGNOME equivalesse ad una implicita rinuncia al diritto di prelazione, in quanto – nel ragionamento della stessa -la dichiarata intenzione di addivenire alla vendita ad un prezzo superiore era incompatibile con la volontà di conservare il diritto di prelazione.
Va, inoltre, evidenziato che i convenuti hanno poi concluso un contratto definitivo di vendita nel quale era trasferita al NOME la quota di 18/21 del bene comune, complessivamente appartenente agli altri coeredi e per un prezzo dichiarato di € 9.000,00, palesandosi in tal modo la differenza sia dell’oggetto della vendita sia del prezzo versato rispetto a quanto invece risultante dal contenuto del preliminare.
Ritiene la Corte che la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello sia erronea e ciò avuto specifico riguardo alla possibilità di inferire dalla condotta del ricorrente la manifestazione di una volontà, ancorché implicita, di rinuncia al diritto di prelazione di cui all’art. 732 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che in tema di comunione ereditaria, la cd. denuntiatio della vendita, per essere conforme al citato art. 732 c.c., deve risultare tale da permettere al destinatario di comprendere concretamente il tenore dell’offerta e valutarne in tutti i suoi elementi la convenienza, per stabilire se esercitare, o meno, il diritto di prelazione (cfr. Cass. n. 1358 del 19/01/2017; già negli stessi termini Cass. n. 6320 del 18/04/2003).
Ne deriva che grava sull’alienante uno specifico dovere di informazione completa dei coeredi, in quanto costoro devono essere resi edotti di ogni aspetto rilevante della cessione, in particolare dell’identità dei beni trasferiti e del prezzo complessivo della vendita, ciò anche perché l’esercizio del retratto successorio comporta l’integrale sostituzione al compratore del coerede che lo abbia esercitato, al punto che, per consolidata giurisprudenza, non è consentito a quest’ultimo il riscatto parziale, non essendogli permesso di modificare il contenuto della compravendita (Cass. n. 5374 dell’11/05/ 1993).
Infatti, la denuntiatio dell’alienazione della quota al coerede, effettuata ai sensi dell’art. 732 c.c., costituisce una proposta contrattuale nei confronti dello stesso e, pertanto, va realizzata in forma scritta e notificata con modalità idonee a documentarne il giorno della ricezione da parte del destinatario, ai fini dell’esercizio della prelazione (Cass. n. 5865 del 24/03/2016), e ciò in quanto l’accettazione di essa da parte del suo destinatario deve determinare, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà, il formarsi dell’accordo negoziale e, quindi la conclusione del contratto di compravendita (Cass. n. 25041 del 27/11/2006).
E’ pur vero che in alcuni precedenti è stato sostenuto che le prescrizioni di cui all’art. 732 cod. civ. si intendono adempiute se il destinatario della denuntiatio abbia avuto la concreta possibilità di comprendere il tenore dell’offerta e di valutarne in tutti i suoi elementi la convenienza al fine di stabilire se esercitare o meno il diritto di prelazione (Cass. n. 6320 del
18/04/2003, cit.), essendosi spinti sino ad affermare che la “notificazione” al coerede avente diritto a prelazione della proposta di alienazione di quota ereditaria è da ravvisare in qualsiasi forma di comunicazione, anche verbale, che tale coerede riceva dell’indicata proposta (comprensiva del prezzo), in modo da poter concretamente valutare il suo interesse a sostituirsi al terzo nell’acquisto, a nulla rilevando che siffatta “notificazione” sia effettuata da altro coerede o da terzi, incluso il propostosi acquirente, in quanto, in ogni caso, il coerede cui spetta la prelazione viene messo in condizione di evitare, ove lo voglia, che estranei entrino nella comunione ereditaria alla quale egli partecipa (Cass. n. 4537 dell’11/08/ 1982), ma nella fattispecie la stessa Corte distrettuale appare ben consapevole dell’impossibilità di annettere alla comunicazione del preliminare gli effetti di una completa ed esaustiva denuntiatio . Rileva a tal fine, anche a voler reputare ammissibile che la comunicazione provenga dal soggetto acquirente, la circostanza che non si tratta di una proposta di vendita effettuata dagli altri coeredi al terzo, per quanto concerne il diritto di loro spettanza, ma di uno schema di preliminare che includeva tra i promittenti venditori anche colui che ha agito in retratto. Inoltre, ad escludere che potesse ravvisarsi una omessa reazione del ricorrente ad una valida denuntiatio rileva altresì l’evidente differen za di oggetto e di prezzo tra quanto rappresentato nella comunicazione del NOME al COGNOME e quanto invece aveva costituito il contenuto del contratto di vendita che vedeva come parti venditrici solo i coeredi convenuti in giudizio, i quali avevano alienato solo le loro quote e per un
prezzo notevolmente inferiore a quello invece riportato nello schema di preliminare.
La Corte d’Appello, evidentemente avvertita dell’impossibilità di ritenere precluso il diritto di riscatto per il mancato esercizio del diritto di prelazione nei due mesi dalla originaria comunicazione, ha però ravvisato del pari estinto il diritto di riscatto sul presupposto che la risposta data da COGNOME NOME NOME NOME dopo la prima comunicazione equivalesse ad una rinuncia tacita.
E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il coerede può rinunciare alla prelazione ex art. 732 c.c. non solo dopo la denuntiatio , che si traduce, più propriamente, nel mancato esercizio del diritto rispetto ad una specifica proposta notificatagli, ma anche preventivamente e, dunque, in epoca precedente rispetto ad un’alienazione solo genericamente progettata, giacché egli acquisisce il diritto di retratto unitamente alla qualità di erede (Cass. n. 16314 del 4/08/2016), ma è stato anche specificato che la vera rinunzia è in realtà quella concernente un generico progetto di alienazione, mentre quella successiva alla notifica costituisce mancato esercizio del diritto di prelazione (Cass. n. 310 del 14/01/1999).
In assenza di valida denuntiatio (attese le evidenti lacune che connotano la prima comunicazione del preliminare), ritiene il Collegio che non è possibile -nella vicenda in esame – inferire alcuna rinuncia da parte del ricorrente al diritto nascente dall’art. 732 c.c., per effetto della risposta inviata con la raccomandata del 9/02/2004.
Anche a voler reputare che il testo del preliminare potesse rendere edotto il ricorrente dell’intento degli altri coeredi di addivenire alla vendita, la disponibilità dell’attore a procedere a sua volta all’alienazione della propria quota a favore del NOME ad un prezzo non inferiore ad € 8.000,00 non consente di affermare che vi fosse anche una volontà di rinunciare al diritto di prelazione in maniera ampia ed assoluta, senza quindi che potessero assumere rilievo le diverse condizioni economiche che avrebbero caratterizzato la vendita definitiva.
Al più potrebbe reputarsi, ove anche in ipotesi si volesse intravedere una rinuncia, che la stessa fosse stata condizionata al fatto che la vendita, peraltro della propria quota e non di quella degli altri coeredi, avvenisse ad un prezzo non inferiore ad € 8.000,00, di guisa che, ove avuto riguardo al prezzo offerto per le altre quote, il corrispettivo in proporzione spettante al COGNOME fosse risultato inferiore all’importo condizionante, non si sarebbe potuto ritenere che vi fosse stata una preventiva rinuncia ad avvalersi del diritto di riscatto nei confronti del successivo acquirente.
In assenza di una completa e puntuale denuntiatio , se non può esigersi un’accettazione da parte del ricorrente, in realtà nella successiva missiva da questi inviata risulta più correttamente individuabile una controproposta, in replica a quella che era la proposta del NOME (che aveva preconcordato con gli altri coeredi la vendita dell’intero ad un prezzo di € 18.000,00), con la quale si dichiarava disposto ad alienare la propria quota ad un prezzo non inferiore di € 8.000,00, ma senza però poter anche ravv isare l’esistenza di una rinuncia, che implica come
già rimarcato – una manifestazione di volontà abdicativa del diritto riconosciuto dall’art. 732 c.c. per ogni eventuale ipotesi di vendita posta in essere dagli altri coeredi, denotando quindi un palese disinteresse per le sorti delle quote degli altri comunisti (cfr., sul punto, Cass. n. 5731 del 20/05/1993 che, sebbene in relazione alla diversa ipotesi della prelazione agraria di cui all’art. 8 legge n. 590/65, ha affermato che la dichiarazione dell’affittuario coltivatore diretto di voler esercitare il diritto di prelazione agraria a condizione che il prezzo richiesto fosse diminuito, costituisce accettazione condizionata della proposta del proprietario e così configura una controproposta che deve essere accettata dal concedente per il perfezionamento del sinallagma contrattuale).
Il motivo esaminato denunciante la violazione dell’art. 732 c.c. – è, pertanto, fondato.
L’accoglimento del secondo motivo comporta, poi, evidentemente l’assorbimento del terzo motivo di ricorso che sollecita la decisione sui motivi di appello, relativi alla determinazione della somma da versare al NOME per effetto dell’accoglimento del diritto di riscatto, motivi che la sentenza impugnata aveva invece ritenuto assorbiti per effetto del rigetto della domanda attorea.
Sugli stessi, attesa la cassazione della sentenza impugnata, sarà però chiamato a pronunciarsi il giudice del rinvio, ove, all’esito del nuovo giudizio, risulti confermata la fondatezza della domanda avanzata dal ricorrente.
Il giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione,
si uniformerà ai principi di diritto enunciati nello svolgimento della seconda censura (in relazione all’individuazione dei requisiti necessari e non equivoci per la configurazione di una valida denuntiatio ai sensi dell’art. 732 c.c.) e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce -Sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda