Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8338 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8338 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
Oggetto
PROPRIETÀ
Prelazione e riscatto agrari –
Proprietario del fondo confinante –
Condizioni dell’azione ex art. 8
l. 590 del 1965 –
Necessità
R.G.N. 23395/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/10/2023
Adunanza camerale sul ricorso 23395-2020 proposto da:
NOME, NATALE DATA_NASCITA, domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
e contro
COGNOME NOME;
– intimato –
Avverso la sentenza n. 155/2022 della Corte d’appello di Perugia, depositata il 29/03/2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/10/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 155/22, del 29 marzo 2022, della Corte d’appello di Perugia, che accogliendone solo parzialmente il gravame esperito avverso la sentenza n. 313/19, del 2 maggio 2019, del Tribunale di Spoleto -ha confermato, per quanto qui ancora di interesse, la condanna degli stessi a risarcire il danno, ancorché in misura minore rispetto a quanto statuito dal primo giudice, patito da NOME COGNOME, in ragione dell ‘evizione parziale da essa subita ad opera di NOME COGNOME.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver acquistato nel 2008, da tale NOME COGNOME, la proprietà di un fondo agricolo sito in Norcia, in seguito da essi alienato -con rogito del 5 maggio 2014 -a NOME COGNOME.
In occasione dell’acquisto da i medesimi effettuato, la COGNOME attestava -al punto 9 del contratto di compravendita -l’inesistenza di ‘soggetti aventi diritto di prelazione’ sulla ‘ res empta ‘, avendo previamente provveduto alla ‘ denuntiatio ‘ nei confronti di quello che risultava essere l’unico proprietario del fondo agricolo finitimo a quello oggetto di compravendita (ovvero, tale NOME COGNOME), il quale aveva dichiarato di rinunciare al proprio diritto.
Alienato dal COGNOME e dal COGNOME l’immobile in questione, come detto, all’COGNOME, gli allora venditori procedevano, a propria volta, alla ‘ denuntiatio ‘ nei confronti dell’unico soggetto a loro
noto come proprietario del terreno confinante (il COGNOME), il quale dichiarava, nuovamente, di rinunciare alla prelazione.
Nondimeno, NOME COGNOME, deducendo di essere comproprietaria del fondo agricolo confinante con quello oggetto del (duplice) contratto di compravendita, agiva in giudizio nei confronti dell’COGNOME, affinché l’adito Tribunale spoletino riconoscesse il suo diritto di prelazione, e dunque di retratto, ‘ai sensi dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e successive modificazioni’.
Nel costituirsi in giudizio, il convenuto -oltre a resistere all’avversaria domanda chiedeva, e otteneva, di essere autorizzato a chiamare in causa gli odierni ricorrenti COGNOME e COGNOME, perché, in via riconvenzionale, fosse accertata la loro responsabilità per l’eventuale evizione ai sensi dell’art. 1483 cod. civ., nonché disposta la condanna degli stessi alla refusione delle spese sostenute e al risarcimento dei danni, equitativamente determinati.
A propria volta, gli odierni ricorrenti, costituitisi in giudizio, oltre a contestare la sussistenza della propria responsabilità nei confronti dell’COGNOME (essendosi comportati secondo buona fede e correttezza, avendo effettuato la ‘ denuntiatio ‘ nei confronti dell’unico soggetto che risultava, ad essi, possedere i requisiti per l’esercizio della prelazione), negavano che l’attrice potesse esercitare, in difetto dei presupposti soggettivi stabiliti dalla legge, il diritto di prelazione e retratto.
Il giudice di prime cure, accolta -seppur limitatamente ad una sola delle particelle catastali relative al terreno alienato -la domanda di retratto della COGNOME, riconosceva la responsabilità dei terzi chiamati nei riguardi del convenuto COGNOME, pertanto condannandoli in solido al pagamento, in suo favore, della somma di € 5.342,84 (ivi comprese le spese notarili per l’atto di vendita), oltre interessi da lla pronuncia al saldo,
nonché alla rifusione delle spese processuali nei confronti di ambedue le proprie controparti.
Esperito gravame dal COGNOME e dal COGNOME, il giudice di appello -nella contumacia dell’COGNOME lo accoglieva solo in relazione al motivo (il terzo) con il quale era stata lamentata la liquidazione delle spese notarili, in favore dell’COGNOME, in difett o di specifica domanda dello stesso, sicché la sola modifica della decisione adottata dal primo giudice si sostanziava in una riduzione del ‘ quantum debeatur ‘ in favore del soggetto evitto.
Avverso la sentenza della Corte umbra hanno proposto ricorso per cassazione il COGNOME e il COGNOME, sulla base -come detto -di sei motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza per violazione delle norme che regolano il procedimento, nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., oltre che per violazione degli artt. 99 e 101 cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 2, Cost., ‘per mancato pronunciamento della domanda di parte attrice’.
Lamentano i ricorrenti che è rimasta -anche in appello -senza alcuna pronuncia la domanda con cui parte attrice aveva chiesto dichiararsi l’inefficacia nei propri confronti, ‘ex art. 8 della legge n. 590 del 1965’, del contratto di compravendita concluso dal COGNOME e dal COGNOME, da un lato, e dall’COGNOME, dall’altro.
Peraltro, la disamina di tale domanda -come illustrato nel secondo motivo del presente ricorso -avrebbe condotto al rigetto della stessa, per carenza dei requisiti di cui alla norma invocata a sostegno della pretesa.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 e dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, per la mancata applicazione dei requisiti attinenti la qualifica di colt ivatore diretto e per l’assenza delle condizioni soggettive e oggettive in tema di prelazione, nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 cod. proc. civ.
È, altresì, denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -‘illogicità manifesta dell’iter interpretativo e motivazionale’, oltre a ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ.’
Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto non necessarie le condizioni richieste, in particolare, dall’art. 8, comma 1, della legge n. 590 del 1965 (norma, peraltro, ai cui sensi l’attrice aveva formulato la propria domanda), così contravvenendo, secondo i ricorrenti, alla normativa richiamata in rubrica, nonché al principio -enunciato da questa Corte -in forza del quale i diritti di prelazione e retratto agrari costituiscono ipotesi tassative. L’esercizio degli stessi, dunque, presuppone, innanzitutto, la prova -a carico del retraente, proprietario di fondo agricolo finitimo a quello compravenduto -di essere coltivatore diretto, nonché dedito in concreto all’attività agricola, ed ancora che la complessiva forza lavoro del nucleo familiare, impegnato in tale attività, non sia inferiore di un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo. Del pari, carico del retraente è la prova dell’utilità dell’unione dei due fondi, nonché del fatto di non aver venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille e, infine, che il fondo per il quale intende esercitare la prelazione, in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà o enfiteusi, non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità della sua famiglia, da intendersi come
costituita dai soli componenti del solo suo nucleo familiare (esclusi, dunque, quanti ne abbiano uno autonomo).
Orbene, posto che la mancanza di una soltanto di tali condizioni dell’azione ne determina il rigetto, la carenza nella specie -di quelli contemplati dall’art. 8, comma 1, della legge n. 590 del 1965 avrebbe dovuto determinare tale esito.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 e degli artt. 8 e 51 della legge n. 590 del 1965, n. 590, per l’assenza, in capo alla parte attrice, ‘della qualifica di coltivatore diretto e per l’assenza delle condizioni soggettive e oggettive’ in tema di prelazione, nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 cod. proc. civ.
È, inoltre, denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. cod. civ.
I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte perugina abbia ritenuto sussistente , in capo all’attrice, la qualifica di coltivatore diretto, sebbene nel proprio fondo costei non esercitasse attività di coltivazione, essendo dedita a quelle di apicultrice e coltivatrice di tartufi (in relazione alle quali, peraltro, non produceva in giudizio le relative autorizzazioni), la seconda di esse neppure indicata nell’atto di citazione e, dunque, estranea alla ‘ causa petendi ‘.
Del pari, lamentano che la sentenza impugnata abbia ravvisato l’esistenza della complessiva forza lavoro del nucleo familiare della COGNOME in misura non inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del proprio fondo, aggiungendo ad esso quello per il quale ella ha inteso esercitare la prelazione, quantunque, ancora una volta, non fosse stata data alcuna prova in tal senso, nonché avendo il
giudice d’appello esteso la nozione di ‘nucleo familiare’ a soggetti, in realtà, estranei allo stesso, in quanto dotati di un nucleo autonomo. Infine, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistere la formazione di un’impresa diretta coltivatrice di più ampie dimensioni (e più efficienti, sotto il profilo tecnico ed economico), ancorché non fosse stata data alcuna prova in tal senso, visto che sul fondo dell’attrice sono risultati presenti dei noccioli, assenti, invece, in quelli oggetto di compravendita, avendo essi destinazione a vigneto.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., collegato all’art. 7 della legge n. 817 del 1971, e agli artt. 8 e 31 della legge n. 590 del 1965, per ‘difetto di prova in merito alle condizioni soggettive e oggettive’ per l’esercizio del retratto.
Nel ribadire che, ai fini della prelazione e del riscatto agrario, sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi e all’allevamento e al governo del bestiame, sempre che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento, i ricorrenti osservano che ‘nel caso di specie non è stata fornita nessuna prova in tema di c oltivazione, di forza lavoro e di reddito agrario’.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., ‘essendoci soccombenza reciproca tra parte attrice e parte convenuta’, nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1483 cod. civ., ‘avendo tenuto i convenuti chiamati in causa un comportamento corretto, diligente ed in buona fede ai
sensi dell’art. 1175 e 1375 cod. civ.’, ed infine ‘violazione e/o falsa applicazione degli art. 1227 e 1337 cod. civ. ‘, stante il ‘comportamento tenuto da parte acquirente’.
Si contesta, innanzitutto, alla Corte umbra di aver legato la nozione di reciproca soccombenza ‘al valore dei terreni facenti parte della causa di riscatto e non al negozio giuridico oggetto di evizione’, senza, inoltre, tenere conto del fatto che l’eserci zio del diritto di retratto era stato riconosciuto non in relazione all’intero immobile compravenduto, ma solo ad uno dei due mappali di cui esso si compone. Di conseguenza, i ricorrenti assumono l’erroneità della condanna comminata nei loro confronti sia al risarcimento del danno, in quanto relativa pure a spese che l’COGNOME avrebbe dovuto, comunque, sostenere (ovvero, quelle riferibili all’acquisto sottratto all’accoglimento dell’azione di retratto), sia al pagamento delle spese di lite, in quanto l’acco glimento solo parziale della domanda è stato il risultato delle eccezioni sollevate tanto dalla parte convenuta che da essi chiamati in causa, ‘ciò che avrebbe dovuto comportare almeno la compensazione delle spese legali tra tutte le parti’.
Inoltre, nel pronunciarsi sulle spese di lite, il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare la correttezza del comportamento di essi NOME e NOME, per aver confidato nell’inesistenza del diritto di prelazione della COGNOME in forza di quanto attestato dalla loro dante causa, in occasione dell’acquisto del terreno poi alienato all’COGNOME, nonché la condotta processuale di quest’ultimo.
Infatti, essendo quello di riscatto un diritto potestativo, che si esercita tramite dichiarazione unilaterale recettizia di contenuto negoziale idonea a determinare ‘ ex lege ‘ l’acquisto della proprietà del bene, l’COGNOME non avrebbe dovuto opporsi all’iniziativa della COGNOME, così evitando il giudizio di primo grado, ragion per cui ‘non possono essere addossate al venditore le competenze legali
relative alla parte attrice’, giacché ‘di competenza esclusiva della parte convenuta’, anche perché (diversamente dagli odierni ricorrenti) esso era a conoscenza della qualifica di coltivatore diretto in capo alla COGNOME.
3.6. Infine, il sesto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o errata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché violazione e/o mancata applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965, per mancata esecuzione , nel termine di tre mesi, della sentenza del Tribunale di Spoleto n. 313/19, pubblicata il 2 maggio 2019, divenuta esecutiva per mancato appello alla data 2 dicembre 2019, oltre a violazione e/o mancata applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., in tema di formazione del giudicato nella causa principale di riscatto.
Assumono gli odierni ricorrenti di aver domandato alla Corte territoriale di dichiarare la sopravvenuta decadenza della COGNOME dal diritto di retratto, in difetto di pagamento del prezzo di acquisto nel termine di tre mesi, assegnatole dal Tribunale di Spoleto, decorrente dal passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado che riconosceva il suo diritto. Sostengono, infatti, il COGNOME e il COGNOME che -in difetto di appello, da parte dell’COGNOME, avverso la statuizione del primo giudice che riconosceva il diritto di retratto della COGNOME -si sarebbe formato un giudicato sul punto, in esecuzione del quale costei avrebbe dovuto provvedere, entro tre mesi, al pagamento del prezzo, pena altrimenti la decadenza dal suo diritto.
Non osterebbe, d’altra parte, a tale conclusione il ‘ simultaneus processus ‘ celebrato a carico degli odierni ricorrenti da parte del retrattato, per far valere, in via di garanzia impropria, l’evizione, giacché, ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, le due cause sono rimaste autonome.
Su tale domanda di declaratoria di decadenza la Corte perugina si assume abbia omesso di pronunciarsi, donde la contestata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e la nullità della sentenza.
Ha resistito all’avversaria impugnazione con controricorso, la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
È rimasto solo intimato l’COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di memoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto, quantunque nei limiti di seguito meglio precisati.
9.1. Nel procedere alla disamina dei suoi sei motivi, deve rilevarsi che è l’ultimo quello da scrutinare preliminarmente, presentando carattere pregiudiziale, dal momento che il suo eventuale accoglimento, comportando il riconoscimento della decadenza della COGNOME dal proprio diritto, escluderebbe l’esistenza dell’evizione, e dunque della responsabilità ex art. 1483 cod. civ. degli odierni ricorrenti verso il (non più) retrattato COGNOME.
9.1.1. Il motivo, tuttavia, non è fondato.
9.1.1.1. Nell’esaminarlo, occorre muovere dalla constatazione che, sebbene parte necessaria del giudizio di retratto sia il solo acquirente il bene in relazione al quale il diritto venga esercitato, ma non pure l’alienante (Cass. Sez. 3, sent. 4 giugno 2007, n. 12934, Rv. 597722-01; in senso analogo Cass. Sez. 3, sent. 24 luglio 2012, n. 12893, Rv. 623422-01 e Cass. Sez. 3, sent. 13 agosto 2015, n. 16824, Rv. 636205-01), nel caso di specie, la chiamata in causa dei venditori, da parte del retrattato, per far valere nei loro confronti la garanzia per evizione, ha determinato l’insorgenza di un litisconsorzio necessario processuale tra tutte le parti in causa.
Pertanto, l ‘iniziativa impugnatoria, assunta all’esito del giudizio di primo grado dai soli terzi chiamati in garanzia, ha precluso il formarsi del giudicato anche in relazione al capo della sentenza pronunciata dal Tribunale di Spoleto che aveva riconosciuto le condizioni per l’esercizio del retratto. Difatti, i motivi di gravame svolti dal COGNOME e dal COGNOME attingevano anche il rapporto tra retraente e retrattario, ponendo in discussione -sia pure nella prospettiva di escludere la responsabilità degli alienanti ex art. 1483 cod. civ. -la sussistenza dei presupposti necessari affinché la COGNOME potesse conseguire, attraverso il riscatto, la proprietà della ‘ res empta ‘. Ricorreva, dunque, una situazione affine a quella cui ha dato rilievo questa Corte, nella sua massima sede nomofilattica, allorché ha affermato che la ‘chiamata in garanzia determina un litisconsorzio necessario processuale tra il terzo chiamato e le parti originarie, con conseguente inscindibilità delle cause ex art. 331 cod. proc. civ. ‘ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 4 dicembre 2015, n. 24707, Rv. 638109-01).
Da quanto precede, pertanto, deriva che, sebbene la Corte perugina abbia sicuramente omesso di pronunciarsi sull’eccepita decadenza della COGNOME, per non avere essa effettuato il pagamento del prezzo d’acquisto del bene oggetto di retratto ai sensi del combinato disposto dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 1 della legge 8 gennaio 1979, n. 2 -nel termine di sei mesi dal (supposto) passaggio in giudicato della sentenza che accoglieva la domanda di retratto, la circostanza che nessun giudicato possa ritenersi, in realtà, formato sul punto, comporta l’irrilevanza della denunciata omissione, e dunque l’infondatezza del presente motivo di ricorso.
Deve, infatti, darsi ulteriore seguito al principio secondo cui la ‘censura concernente la violazione dei «principi regolatori del giusto processo» e cioè delle regole processuali ex art. 360, n. 4), cod. proc. civ., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia’ (Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2017, n. 22341, Rv. 646020-03; in senso conforme Cass. Sez. 6Lav., ord. 15 ottobre 2019, n. 26087, Rv. 655459-01).
Nella specie, per contro, l’omissione di pronuncia in cui è incorso il giudice di appello, con conseguente violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., è rimasta priva di conseguenze pregiudizievoli per gli odierni ricorrenti, stante -come detto -l’infondatezza della questione (la pretesa decadenza in cui sarebbe incorsa la COGNOME, per non aver provveduto al pagamento del prezzo di acquisto del bene oggetto del retratto) portata all’esame della Corte perugina e da essa lasciata priva di risposta.
9.2. Ciò premesso, passando all’esame dei restanti motivi, il primo e secondo -suscettibili di scrutinio unitario, data la loro connessione -sono, viceversa, fondati.
9.2.1. È, infatti, errata l’affermazione compiuta dalla Corte perugina -cfr. pag. 4 della sentenza impugnata -secondo cui l’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 ‘riconosce la prelazione in capo al coltivatore diretto del fondo per il sol fatto di essere proprietario dei terreni confinanti rispetto a quelli offerti in vendita, non rilevando invero le ulteriori condizioni di cui all’art. 8 della legge n. 590 del 196 5’.
Essa, difatti, confligge con quanto ritenuto, da tempo, da questa Corte, secondo cui, per il disposto ‘dell’art. 7 legge 14 agosto 1971, n. 817, al proprietario di un fondo agrario confinante con altro offerto in vendita compete il diritto di prelazione, ovvero il succedaneo diritto di riscatto, se ricorrono nei suoi confronti tutte le condizioni previste dall’art. 8 legge 26 maggio 1965 n. 590, cui il citato art. 7 rinvia e quindi, la qualifica di coltivatore diretto, la coltivazione biennale dei terreni agricoli confinanti di sua proprietà, il possesso della forza lavorativa adeguata ed il non avere effettuato vendite di fondi rustici nel biennio precedente l’esercizio dell’azione di riscatto’ ( così già Cass. Sez. 3, sent. 16 aprile 1996, n. 3561, Rv. 497057-01), e ciò perché il diritto del confinante non si configura come ‘un nuovo, distinto, diritto subordinato a altre condizioni’, essendo, invece, quello già previsto ‘con riguardo all’affittuario, al mezzadro al colono e al compartecipante’ (in tal senso Cass. Sez. 3, sent. 29 novembre 2005, n. 26046, Rv. 584836-01; in senso conforme, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 gennaio 2013, n. 2092, Rv. 625000-01).
Da un simile indirizzo non vi è ragione per discostarsi, perché aderente alla ‘ ratio ‘ della prelazione agraria e alla lettera della norma.
Se, infatti, finalità dell’istituto ‘è quella di promuovere la formazione di imprese agricole di proprietà di coltivatori diretti e l’accorpamento dei fondi per migliorare la redditività dei terreni’,
secondo, però, una prospettiva che operi un coretto ‘bilanciamento tra valori costituzionali’ in conflitto, e dunque ‘limitando i poteri di autonomina contrattuale dei proprietari di fondi agricoli oggetto di retratto, solo nella misura funzionalmente idon ea al perseguimento dell’obiettivo’ suddetto (così in motivazione, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 27 marzo 2015, n. 6247, Rv. 63555501), appare evidente che l’esercizio della prelazione debba essere subordinato, anche nel caso in cui spetti al proprietario del fondo confinante, alle medesime condizioni di rigore già previste per l’affittuario, il mezzadro, il colono e il compartecipante, perché, altrimenti, verrebbe compressa oltre misura l’altrui libertà contrattuale.
D’altra parte, anche la lettera dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 non lascia adito a dubbi sulla necessità della piena equiparazione, quanto alle condizioni oggettive per l’esercizio del diritto, del proprietario del fondo confinante agli altri soggetti già titolari della prelazione agraria. E ciò in ragione del ‘ruolo decisivo’ che per l’appunto nella formulazione della norma ‘ de qua ‘ -‘riveste il requisito della coltivazione diretta del fondo da parte di chi esercita la prelazione’, giacché ‘non è un caso’ che, in base ad essa, il diritto spetta ‘al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con i fondi posti in vendita’, così ‘posponendo la qualifica di proprietario a quella di coltivatore diretto e ponendo dunque l’accento proprio su questa seconda qualità’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2016, n. 22887, Rv. 642968-01), a conferma che anche tale coltivatore non potrà prescindere, per l’esercizio del suo diritto, dai requisiti già stabiliti, per tutti gli altri, dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965.
9.3. L’ accoglimento dei motivi primo e secondo, se comporta l’assorbimento del quinto, relativo alle spese di lite (dovendo le stesse essere nuovamente liquidate, per intero, all’esito del
giudizio di rinvio), non esime, invece, questa Corte dallo scrutinio dei motivi terzo e quarto, che contestano la qualifica di coltivatrice in capo alla COGNOME.
9.3.1. Entrambi tali motivi sono, però, inammissibili.
9.3.1.1. Essi, infatti, tendono a sollecitare un non consentito riesame delle risultanze probatorie, come emblematicamente attesta, in particolare, il contenuto del quarto motivo, con cui si lamenta che, nel caso di specie, ‘ non è stata fornita nessuna prova in tema di coltivazione, di forza lavoro e di reddito agrario’. Al riguardo, pertanto, è sufficiente rammentare che -essendo la suddetta censura posta con riferimento all’art. 2697 cod. civ. -la violazione di questa norma, ‘censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni’ (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-01), mentre ‘laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti’, ovvero quanto si lamenta nel caso di specie, una consimile doglianza ‘può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360’ (Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15107, Rv. 62690701), ovviamente ‘entro i limiti ristretti del «nuovo»’ suo testo (Cass. Sez. 3, ord. n. 13395 del 2018, cit .).
Né, d’altra parte, giova ai ricorrenti l’ipotizzata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 e degli artt. 8 e 51 della legge n. 590 del 1965, n. 590, giacché, come detto, formulata attraverso la contestazione dell’apprezza mento
delle risultanze istruttorie, e, dunque, nuovamente, in modo inammissibile, se è vero che il ‘discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa’ (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442).
Né, infine, a miglior sorte è destinata la censura veicolata con il terzo motivo, là dove si assume che la COGNOME non potrebbe essere considerata coltivatrice, avendo svolto sul fondo di sua proprietà solo attività di apicultura e di coltivazione di tartufi (quest’ultima, peraltro, si sostiene, neppure dedotta in citazione). Invero, sebbene la questione sia -in astratto -quella della non applicabilità della prelazione agraria a chi svolga, in prevalenza, attività di allevatore, la censura formulata non si confronta adeguatamente con l’affermazione con tenuta nella sentenza impugnata, che non ricollega alle sole attività di apicultrice e coltivatrice di tartufi la qualifica riconosciuta alla COGNOME. Ella, infatti, secondo la Corte territoriale, ‘si è occupata personalmente e per più di vent’anni’ fin quando il fondo di sua proprietà ha avuto destinazione a vigneto -‘dei filari d’uva e del loro prodotto’, mentre ‘ora, sostituiti i filari con le piante di nocciole, si occupa della raccolta di n occiole e tartufi’.
10. In conclusione, il presente ricorso va accolto quanto ai motivi primo e secondo, sicché la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese di
lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, alla stregua del seguente principio di diritto:
‘ al proprietario di un fondo agrario confinante con altro offerto in vendita compete il diritto di prelazione, ovvero il succedaneo diritto di riscatto, se ricorrono nei suoi confronti tutte le condizioni previste dall’art. 8 legge 26 maggio 1965 n. 590, cui l’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 integralmente rinvia ‘.
PQM
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il quinto e rigetta il ricorso per il resto, cassando in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della