Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7504 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7504 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31922/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrente – contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
TAREI NOME, TAREI NOME, TAREI NOME, TAREI EVA.
–
intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n. 1851/2020 depositata il 22/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
Con atto di citazione introduttivo COGNOME NOME proponeva appello avverso la sentenza del 19 gennaio 2015 con cui il Tribunale di Avezzano, dopo aver autorizzato la chiamata in giudizio del venditore COGNOME NOME, costituitosi, respingeva la domanda del COGNOME proposta nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME e volta all’accertamento e declaratoria del suo diritto di prelazione quale coltivatore diretto ed affittuario di fondi di cui convenuti erano divenuti proprietari.
Si costituivano resistendo COGNOME NOME e COGNOME NOME; il COGNOME restava intimato.
1.2 Con sentenza n. 1851/2020 pubblicata il 22 dicembre 2020 la Corte d’Appello di L’Aquila accoglieva l’appello, ed in riforma della sentenza di primo grado dichiarava l’acquisto in capo all’appellante COGNOME della proprietà piena ed esclusiva sui fondi oggetto di causa con rifusione ai convenuti COGNOME e
COGNOME dell’importo da costoro rispettivamente versato per l’acquisto dei terreni medesimi.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
Sono stati intimati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in qualità di eredi di COGNOME NOME e della di lui erede COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
I ricorrenti ed il resistente hanno depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti deducono <>.
Lamentano che nel corso del giudizio di prime cure il terzo chiamato COGNOME NOME decedeva, ma il decesso non era stato dichiarato dal difensore, per cui la sentenza di prime cure era stata emessa nei confronti del COGNOME NOME e non nei confronti dei suoi eredi; del pari, l’atto di citazione in appello era stato notificato sempre al COGNOME NOME al domicilio eletto presso i difensori e non ai suoi eredi.
Deducono quindi che sia il giudizio di prime cure sia il giudizio di appello sono proseguiti e si sono conclusi con sentenze emesse in violazione del litisconsorzio necessario.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono <>.
Lamentano che la corte di merito non risulta aver esaminato due fatti decisivi per la controversia che hanno formato oggetto di discussione tra le parti, ovvero l’essere il COGNOME NOME un commercialista abitualmente dedito alla relativa attività, nonché l’essere mancata la prova della prestazione diretta della forza lavoro necessaria alla coltivazione del fondo nella misura richiesta dalla legge.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono <>
Deducono che le suddette norme risultano violate ed applicate al di fuori dell’ambito di operatività loro proprio, stante la totale assenza, financo dell’allegazione, dell’essere la forza lavoro direttamente prestata dal retraente non inferiore ad 1/3 di quello occorrente alla coltivazione del fondo, elemento questo connotante il coltivatore diretto ai sensi dell’art. 31 della legge 590/196.
Lamentano che la corte di merito avrebbe dunque riconosciuto il retratto in assenza dell’indicato requisito di proporzione della forza lavoro, così incorrendo nel vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. nonché nel vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., per aver omesso di considerare tale fatto, decisivo per il giudizio.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono <>
Lamentano che la corte di merito ha violato e falsamente applicato il citato articolo della legge 590/1965, là dove, ignorandone del tutto il tenore testuale, ne ha fatta applicazione a contratto diverso da quelli dalla stessa norma espressamente contemplati, come si evincerebbe dall’art. 6 del contratto stipulato tra le parti che espressamente fa riferimento all’utilizzo del fondo per l’allevamento degli animali, oltre che per il magazzinaggio del fieno e dei mangimi.
5. Il primo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in ipotesi di decesso ovvero di perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione dell’evento ad opera di quest’ultimo comporta, per la regola dell’ultrattività del mandato, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, risultando in tal modo stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione (Cass., 26/05/2021, n. 14465).
6. Il secondo motivo è inammissibile, là dove evoca il vecchio disposto del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. e non tiene in adeguato conto l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 8053 e n. 8054 del 2014, i cui principi sono stati costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) che rispetto a tale norma hanno affermato che il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza per cui la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
6.1. Il motivo deduce anche la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. non solo infondatamente quando ragiona della motivazione, ma soprattutto inammissibilmente, là dove evoca elementi aliunde .
Il vizio viene infatti dedotto senza tener conto del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui al fine di poter dedurre il vizio di motivazione apparente, anche come irriducibile contraddittorietà della stessa, occorre che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata”: Cass., 19/05/2022, n. 16170; Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali”: così, tra le molte, Cass., 20/06/2018, n. 20955, non massimata)
6.2. Anche la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è, inammissibilmente, dedotta in maniera non conforme agli insegnamenti di questa Corte.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, per dedurre la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al
notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’articolo 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto).
Il presupposto della violazione dell’articolo 116 cod. proc. civ. è invece che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle stesse Sezioni unite (Cass., Sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34474; Cass., Sez. Un. n. 20867/20, cit.).
Del pari, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. è dedotta altrettanto inammissibilmente, in quanto non si individua l’oggetto della pretesa omessa pronuncia; secondo consolidato orientamento di questa Corte, la parte che deduce il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere di specificare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e
tempestività e quindi la decisività della questione (Cass., 13/05/2022, n. 15367; Cass., 17/01/2007, n. 978).
Tutto il motivo finisce dunque per risolversi in una manifestazione di dissenso dalla ricostruzione e dall’apprezzamento della quaestio facti effettuata dalla sentenza impugnata, la cui motivazione non viene nemmeno considerata in punti importanti del suo procedere, e non è, pertanto, inquadrabile ne’ nel paradigma dell’articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’articolo 132 cod. proc. civ., n. 4da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., 26/09/2018, n. 23153; Cass., 10/06/2016, n. 11892); e ciò sia perché’ la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia perché’ con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., 15/05/2018, n. 11863; Cass., 17/12/2017, n. 29404; Cass., 02/08/2016, n. 16056).
Il terzo motivo, posto che esordisce con <>, segue la sorte dello stesso, contenuto nel secondo motivo, ed è -parimentiinammissibile.
Il quarto motivo è inammissibile, perché -nuovamentenon ha dignità di motivo in iure , ma in fatto.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.800,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza