SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ANCONA N. 1307 2025 – N. R.G. 00000353 2023 DEPOSITO MINUTA 31 10 2025 PUBBLICAZIONE 31 10 2025
CF:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA
Composta dai signori Magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
PIERGIORGIO COGNOME
Consigliere
COGNOME GIUNGI
NOME. Relatore
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. NUMERO_DOCUMENTO promossa
DA
, nato ad Offida (AP) il DATA_NASCITA;
C.F.
;
, nata a Force (AP) il giorno DATA_NASCITA;
CF:
; NOMECOGNOME.
entrambi residenti ad Offida in INDIRIZZO;
rapp.ti e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME del Foro di Ascoli Piceno ed elettivamente domiciliati presso il loro indirizzo pec;
(appellanti)
NEI CONFRONTI DI
nata ad Ascoli Piceno il DATA_NASCITA, e residente a Spinetoli
, (AP) alla INDIRIZZO;
rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO del Foro di Ascoli Piceno ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pagliare del Tronto alla INDIRIZZO;
(appellata)
NONCHE’ NEI CONFRONTI DI
, nata ad Offida il DATA_NASCITA ed ivi res.te alla INDIRIZZO;
rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO del Foro di Ascoli Piceno ed elettivamente domiciliata presso il suo studio alla INDIRIZZO;
(altra appellata)
AVVERSO la sentenza n. 140/2023 del 14.03.2023 del Tribunale di Ascoli Piceno, resa in procedimento n. 1370/2020 RGC.
OGGETTO: prelazione agraria.
CAUSA posta in decisione con provvedimento del giorno 25.03.2025.
CONCLUSIONI DELLE PARTI: I procuratori delle parti hanno concluso come da proprie note di trattazione scritta, autorizzate ex art. 83 D.L. 18/2020.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
I coniugi e hanno impugnato la decisione in epigrafe con la quale era stata rigettata la domanda di retratto agrario dagli stessi promossa contro quale acquirente dei fondi agricoli vendutile da , a sua volta chiamata in giudizio dalla Si sono costituite in appello entrambe le appellate, per resistere all’impugnazione e chiedere la conferma della decisione gravata.
La causa è stata trattenuta in decisione, con concessione dei termini di rito a difesa, a seguito di trattazione scritta con provvedimento del 25.03.2025.
La presente motivazione è redatta in maniera sintetica secondo quanto previsto dall’art. 132 cpc, dall’art. 118 disp. att. cpc e dall’ art. 19 del d.l. 83/2015 convertito con l. 132/2015 che modifica il d.l. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 17.12.2012 nonché in osservanza dei criteri di funzionalità, flessibilità, deformalizzazione dell’impianto decisorio della sentenza come delineati da Cass. SSUU n. 642/2015.
Gli appellanti muovono nei confronti della decisione gravata le censure che come di seguito possono essere brevemente compendiate.
Con i primi tre motivi di appello i signori e lamentano la violazione e/o falsa applicazione delle norme sulla prelazione agraria del confinante con riferimento alla nozione di coltivatore diretto, che nella specie sarebbe stata interpretata dalla sentenza impugnata (primo motivo) nel senso del necessario svolgimento di una attività di coltivazione volta almeno in parte alla commercializzazione dei prodotti agricoli e non invece all’autoconsumo; al contrario, evidenziano gli appellanti, nella nozione riportata dalle norme sulla prelazione agraria la figura del coltivatore diretto deve essere distinta da quella dell’imprenditore agricolo e deve essere attribuita pertanto anche a chi non produca per il mercato ma coltivi per se stesso. Neppure apparterrebbe alla nozione di coltivatore diretto (secondo motivo) il profilo -ritenuto, secondo la prospettazione degli appellanti, dalla sentenza impugnata -della necessaria produzione di reddito, elemento che sarebbe irrilevante e comunque estraneo alla previsione normativa. Allo stesso modo, sarebbe irrilevante per l’identificazione della figura del coltivatore diretto (terzo motivo) al contrario di quanto disposto dalla sentenza impugnata – la dimensione del fondo coltivato ovvero il mancato impiego, per la coltivazione dello stesso, di mezzi meccanici o attrezzi agricoli particolari. Con il quarto motivo, infine, gli appellanti lamentano una errata valutazione del costituto probatorio agli atti, che invero avrebbe ampiamente dimostrato l’avvenuta colt ivazione, nel biennio precedente all’alienazione, del fondo confinante da parte dei coniugi –
(anche mediante l’utilizzo di macchinari). Ferme le censure evidenziate, gli appellanti passano poi a riproporre tutte le considerazioni -già svolte in primo grado e non specificamente analizzate dalla decisione gravata -relative appunto alla sussistenza di tutte le condizioni per l’esercizio dell’azione di retratto agrario dagli stessi esercitata.
Costituendosi in appello, le parti appellate hanno evidenziato le ragioni di infondatezza della impugnazione proposta e della conseguente necessità di conferma della decisione gravata, per la quale hanno insistito. L’appellata ha altresì contestato l’inammissibilità dell’appello per la violazione del principio di necessaria sinteticità degli atti processuali.
In via preliminare va evidenziato che l’atto di appello che occupa, pur non dotato del dono della sinteticità, non può per ciò solo essere considerato inammissibile perché allo stato la violazione del principio di necessaria brevità degli atti -pur riconosciuto dall’ordinamento giuridico non è tuttavia presidiata da tale tipo di sanzione.
Ciò premesso, l’appello è tuttavia infondato nel merito per le ragioni che seguono.
Le argomentazioni svolte dagli appellanti nei primi tre motivi di appello -che possono essere congiuntamente trattati -circa l’interpretazione della qualifica di coltivatore diretto non possono, difatti, essere condivise. Occorre muovere
dalla considerazione per cui, pacificamente, ai fini dell’esercizio della prelazione agraria del confinante quest’ultimo non solo deve aver concretamente coltivato il fondo finitimo rispetto a quello venduto, ma deve altresì rivestire la qualifica di coltivatore diretto, come espressamente previsto dall’art. 7 co. II, n. 2) L. 817/1971 (cfr. sul punto Cass., 28374/2023; Cass., 34516/2022; Cass., 20070/2021; Cass., 16651/2016). Ora, sebbene -come ampiamente argomentato dagli appellanti -la qualifica di coltivatore diretto non coincida con quella di imprenditore agricolo, tantomeno a titolo principale e/o professionale, è necessario nondimeno riconoscere la stessa solo nei riguardi di chi eserciti tale attività in maniera stabile e continua. In altri termini, non può essere considerato coltivatore diretto, neppure ai fini previsti dalla normativa sulla prelazione agraria del confinante, chi eserciti l’attività di coltivazione solo saltuariamente, occasionalmente, e con finalità meramente amatoriali. Al fine allora della corretta attribuzione di tale qualifica, non può prescindersi dalle acquisizioni raggiunte al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla disciplina dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e superstiti in favore dei coltivatori diretti (cfr. Cass., SS.UU., 616/1999). In tale occasione difatti la Suprema Corte ha ritenuto ricorrere la qualifica di coltivatore diretto oltrechè -ovviamente -in coloro che si dedichino all’attività della coltivazione in modo esclusivo o almeno prevalente (quando cioè, in tale ultimo caso, detta attività li impegni per la maggior parte
dell’anno e costituisca la maggior fonte di reddito), anche in coloro che esercitino comunque la coltivazione impegnando un fabbisogno di manodopera pari ad almeno n. 104 giornate lavorative annue. Posto dunque che la qualifica di coltivatore diretto è comunque espressamente richiesta dalla legge quale requisito necessario per l’esercizio della prelazione, e dovendosi per conseguenza distinguere necessariamente tra chi debba essere considerato coltivatore diretto e chi invece no (implicando necessariamente tale nozione elementi di stabilità e continuità), il criterio delineato dalla Suprema Corte al fine di fondare il diritto -o meno -del coltivatore diretto al trattamento pensionistico, può ben essere utilizzato anche al fine di identificare la figura del coltivatore diretto nell’ambito della prelazione agraria. In tal senso, appaiono corrette le considerazioni della sentenza impugnata relative alla necessità di dover individuare, nella coltivazione del terreno confinante da parte del coltivatore diretto, se non la consistenza di una impresa agricola, almeno però le caratteristiche di una attività economica volta alla produzione di un reddito, seppur non prevalente e magari esiguo; considerazioni che appaiono del resto in linea con diversi arresti di legittimità (cfr. Cass., 1107/2006; Cass., 2019/2011) e che trovano riscontro nell’esigenza, pure ripetutamente affermata dalla Suprema Corte (cfr. Cass., 4671/1984; Cass., 913/2010), che il fondo coltivato dal confinante, sebbene non vincolato da limiti di estensione, sia però almeno in grado di garantire un effettivo sfruttamento economico. La ricostruzione
interpretativa che precede, del resto, interpreta pienamente le finalità dell’istituto della prelazione agraria che, come già correttamente osservato dal Tribunale di Ascoli Piceno, non sono quelle di favorire l’ampliamento tout court della proprietà fondiaria, bensì quelle di far coincidere la titolarità del fondo e quella dell’azienda agraria che sullo stesso viene esercitata (cfr. Cass., 5766/1987).
Analizzando dunque il caso di specie alla luce dei principi richiamati, si deve osservare che le testimonianze escusse consentono sì di ritenere che il (modesto, in quanto esteso complessivamente circa 7.500 mq.) fondo di proprietà degli appellanti fosse dai medesimi coltivato -almeno nella sua estensione principale e caratterizzante – ad erba medica, ma anche che tale coltivazione fosse esclusivamente destinata alla produzione di foraggio per i (pochi) animali da cortile e i due cavalli dagli stessi allevati. Ciò si ricava agevolmente non solo dal fatto che non vi è prova agli atti di alcuna utilizzazione diversa (ad es. vendita a terzi) dell’erba medica prodotta dal fondo, ma anche da quanto dichiarato dai testi (udita all’udienza del 27.05.2022 che ha precisato come il foraggio fosse riservato al sostentamento degli animali) e mediatore immobiliare che si era occupato della compravendita del fondo della
(udito alla stessa udienza del 27.05.2022, il quale ha riferito come uno dei figli degli appellanti, sapendo della vendita del fondo limitrofo, si era recato da lui per chiedere se i nuovi acquirenti fossero disposti a consentire loro
di utilizzare una parte dello stesso per il foraggio per i cavalli). Circa la testimonianza di si sottolinea che la stessa, al contrario di quanto dedotto sul punto dagli appellanti, risulta pienamente valida e utilizzabile non solo perché comunque lo stesso non riveste un interesse concreto ed attuale al giudizio, ma anche perché -da quanto riferito dagli stessi appellanti (secondo cui la venditrice si era preventivamente recata da loro per ottenere la rinuncia alla prelazione) -appare evidente che la venditrice ben conoscesse la possibilità che vi fossero confinanti in ipotesi titolari della prelazione, di modo che il mediatore non potrebbe comunque mai essere ritenuto responsabile della mancata denuntiatio. Dai dati che precedono dunque si ricava, innanzitutto, come l’attività principale della coltivazione del fondo, ovvero quella appunto di erba medica per animali, fosse esercitata dagli appellanti esclusivamente in via strumentale rispetto a quella di allevamento dei propri animali (peraltro anch’essa, come osservato dalla sentenza impugnata, ugualmente destinata all’autoconsumo). Se, allora, l’attività prevalente degli appellanti era quella dell’allevamento, mentre la coltivazione della terra si poneva solo come strumentale alla stessa, va senz’altro escluso il diritto alla prelazione agraria dei medesimi, posto che lo stesso presuppone, da parte del confinante, la coltivazione della terra come tale in via principale e non invece l’esercizio dell’attività di allevatore (cfr. in tal senso C ass., 4501/2010; Cass., 28237/2005). Fermo il carattere comunque discretivo del dato che precede, per completezza
di analisi va aggiunto che in ogni caso -anche volendo per mera ipotesi di ragionamento concentrarsi sull’attività di coltivazione della terra come tale il punto è che quest’ultima, in quanto consistente nella mera coltivazione di erba medica su di un fondo di ben limitata estensione, non può comunque essere considerata come caratterizzata da quei requisiti di stabilità e continuità che soli fondano il diritto alla prelazione. Non solo infatti -come si ricava dalla relazione tecnica di parte prodotta dagli appellanti -il numero di giornate lavorative necessario alla coltivazione del piccolo fondo è comunque ben lontano dal numero minimo di giornate di lavoro (104) previsto dalla legge come dato da cui ricavare la stabilità e la continuità dell’attività di coltivatore diretto, ma quel che si ricava complessivamente dai dati probatori agli atti è che appunto la famiglia degli appellanti (oggi pensionati dopo aver svolto svariate attività ulteriori rispetto all’agricoltura), dedita quantomeno anche ad attiv ità lavorative diverse dall’agricoltura (i due figli risultano pacificamente lavoratori dipendenti impegnati in altro), abbia mantenuto nella propria proprietà rurale un piccolo allevamento di animali destinato all’autoconsumo, utilizzando a questo esclusivo fine la coltivazione del fondo di sua proprietà. In questo quadro, pertanto, se da un lato manca, come s’è detto, quella stabilità e continuità della coltivazione della terra che risulta comunque necessaria per il riconoscimento della qualifica di colti vatore diretto, dall’altro fa anche difetto come già sottolineato dalla sentenza impugnata -una apprezzabile rilevanza
economica dell’attività di coltivazione della terra come tale che giustifichi e fondi, pertanto, il reclamato diritto alla prelazione (e oggi al riscatto).
Quanto al quarto motivo di appello, esso è privo del carattere di decisorietà perché l’effettiva coltivazione del terreno da parte degli appellanti, nei limiti sopra chiariti, non è stata negata dalla sentenza impugnata (né invero in questa sede).
Le considerazioni che precedono, sulla base delle quali l’appello va dunque rigettato, esimono dall’analisi di ulteriori aspetti della vicenda -pur indubbiamente delicati e meritevoli di attenzione -quali la solo parziale destinazione urbanistica agricola dei terreni compravenduti, la solo parziale contiguità fisica degli stessi, il carattere pertinenziale (o meno) rispetto all’attività agricola dei fabbricati insistenti sul fondo e oggetto anch’essi di compravendita.
La sentenza gravata merita dunque integrale conferma.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Ancona, definitivamente pronunciando, così provvede:
Rigetta l’appello;
Condanna
e
e
in solido tra loro a rifondere a
le spese del grado che liquida per
pag. 11/12
ciascuna in complessivi € 6.000,00= (di cui € 1.750,00= per fase di studio; € 1.250,00= per fase introduttiva; € 3.000,00= per fase decisoria). Il tutto oltre al 15% LP, CAP e IVA come per legge;
Dichiara la sussistenza delle condizioni per il pagamento, da parte dell’appellante, di ulteriore importo a titolo di CU.
Così deciso in Ancona nella Camera di Consiglio del giorno 16/09/2025.
Il Giudice Ausiliario Relatore
Il Presidente
AVV_NOTAIO
Dott. NOME COGNOME