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Prelazione agraria: quando l’appello è inammissibile

Un coltivatore diretto esercita il suo diritto di prelazione agraria ma, per sospendere il termine di pagamento, richiede un mutuo per il quale non ha i requisiti. La Corte d’Appello dichiara la decadenza dal diritto per tardivo pagamento. Gli eredi del coltivatore ricorrono in Cassazione, ma il ricorso viene dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato per vizi procedurali, tra cui la mancata specifica indicazione dei documenti a fondamento dei motivi. La Suprema Corte conferma così la decisione di merito, sottolineando il rigore formale richiesto per l’impugnazione.

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Prelazione Agraria: I Rigidi Paletti della Cassazione sull’Ammissibilità del Ricorso

Il diritto di prelazione agraria è uno strumento fondamentale per favorire l’accorpamento dei fondi agricoli e promuovere la continuità dell’impresa coltivatrice. Tuttavia, l’esercizio di tale diritto e la sua tutela in giudizio sono subordinati al rispetto di precise regole, non solo sostanziali ma anche procedurali. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sull’onere di specificità che grava sulla parte che impugna una decisione, pena l’inammissibilità del ricorso.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla stipula di un contratto preliminare di vendita di un terreno agricolo. Il proprietario del fondo confinante, un coltivatore diretto, riceve la comunicazione (la cosiddetta denuntiatio) e decide di esercitare il proprio diritto di prelazione. Per ottenere la sospensione del termine di tre mesi previsto per il pagamento del prezzo, presenta una domanda di mutuo a un istituto di credito specializzato.

Tuttavia, la proprietaria originaria del terreno contesta la validità di tale richiesta, sostenendo che il coltivatore l’avesse presentata pur essendo consapevole di non possedere un requisito anagrafico fondamentale previsto dal bando per l’erogazione del finanziamento. La questione finisce in tribunale e, dopo un lungo iter processuale, la Corte d’Appello dà ragione alla venditrice (nel frattempo rappresentata dal suo erede), dichiarando il coltivatore decaduto dal diritto di prelazione per non aver versato il prezzo nel termine stabilito. Secondo i giudici di merito, la richiesta di mutuo, fatta in malafede, non poteva produrre l’effetto sospensivo del termine di pagamento.

I Motivi del Ricorso e le Sfide sulla Prelazione Agraria

Gli eredi del coltivatore, soccombenti in appello, decidono di ricorrere alla Corte di Cassazione, basando la loro impugnazione su quattro principali motivi:

1. Violazione del giudicato interno: Sostenevano che i documenti comprovanti l’impossibilità per il loro dante causa di ottenere il mutuo fossero già stati dichiarati inammissibili in una precedente fase del giudizio d’appello e che tale decisione, non impugnata, fosse diventata definitiva.
2. Errata applicazione della legge processuale: Contestavano l’applicazione della vecchia versione dell’art. 345 c.p.c., che permetteva la produzione di nuovi documenti in appello se ritenuti ‘indispensabili’, sostenendo che dovesse applicarsi la normativa più recente e restrittiva.
3. Vizio di ultrapetizione: Lamentavano che la controparte avesse modificato le proprie conclusioni nel giudizio di rinvio.
4. Errata condanna alle spese: Ritenevano ingiusto essere condannati a pagare le spese legali di una fase del processo in cui erano risultati vincitori.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, giungendo a una decisione di inammissibilità e rigetto. L’analisi dei giudici offre spunti fondamentali sulla tecnica redazionale dei ricorsi per cassazione.

Inammissibilità per Genericità del Motivo

Il primo motivo, relativo al presunto giudicato interno, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ribadito un principio consolidato: quando un ricorso si fonda su specifici documenti, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità, non solo di indicare quando li ha prodotti, ma anche di trascriverne il contenuto rilevante o di riassumerlo in modo esaustivo, e di specificare dove tali documenti siano reperibili all’interno dei fascicoli processuali. Nel caso di specie, i ricorrenti avevano omesso di fornire queste indicazioni essenziali, rendendo impossibile per la Corte verificare la fondatezza della loro censura. Questo dimostra che non è sufficiente lamentare un errore, ma è necessario fornire alla Corte tutti gli strumenti per valutarlo concretamente.

L’Applicazione della Legge nel Tempo (Ratione Temporis)

Il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Cassazione ha chiarito che le modifiche all’art. 345 c.p.c., che hanno ristretto la possibilità di produrre nuovi documenti in appello, si applicano secondo il principio tempus regit actum. La nuova e più severa disciplina vale solo per i giudizi di primo grado la cui sentenza sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012. Poiché il giudizio in questione era iniziato nel 2004, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato la normativa all’epoca vigente, che le consentiva di ammettere documenti nuovi se ritenuti indispensabili ai fini della decisione.

Insussistenza del Vizio di Ultrapetizione e Regolazione delle Spese

Anche il terzo e il quarto motivo sono stati respinti. La Corte ha ritenuto infondato il vizio di ultrapetizione, poiché la richiesta di accertare la decadenza dal diritto di prelazione era sempre stata al centro delle domande della controparte. Infine, ha ribadito che la regolazione delle spese legali deve tenere conto dell’esito complessivo della lite e non delle singole fasi. La parte che alla fine risulta soccombente deve farsi carico di tutte le spese, anche di quelle relative a fasi processuali in cui aveva ottenuto una decisione favorevole.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame è un monito sull’importanza del rigore formale e della specificità nella redazione degli atti processuali, in particolare del ricorso per cassazione. La decisione evidenzia come il successo di un’impugnazione non dipenda solo dalla fondatezza delle ragioni di merito, ma anche dalla capacità di esporle in modo chiaro e completo, rispettando gli oneri imposti dal codice di procedura. Per gli avvocati, ciò significa un’attenzione meticolosa all’indicazione delle prove e dei documenti, mentre per le parti rappresenta la consapevolezza che un diritto, anche se astrattamente fondato, può essere perso a causa di errori procedurali.

Quando un motivo di ricorso in Cassazione basato su documenti è inammissibile?
Un motivo di ricorso è inammissibile se il ricorrente non adempie al triplice onere previsto dall’art. 366, n. 6, c.p.c.: (a) trascrivere o riassumere in modo esaustivo il contenuto del documento, (b) indicare in quale fase processuale sia stato prodotto, e (c) indicare la sua esatta collocazione nel fascicolo processuale per consentirne il reperimento.

Quale versione dell’art. 345 c.p.c. sulla produzione di nuovi documenti in appello si applica ai giudizi iniziati prima del 2012?
Per i giudizi la cui sentenza di primo grado è stata pubblicata prima dell’11 settembre 2012, si applica la versione dell’art. 345 c.p.c. antecedente alla riforma del 2012. Tale versione consentiva al collegio di ammettere nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti qualora li ritenesse ‘indispensabili’ ai fini della decisione della causa.

Come vengono regolate le spese legali se una parte vince una fase del processo ma perde la causa nel suo complesso?
La regolazione delle spese legali avviene in base all’esito complessivo della lite. La parte che risulta soccombente alla fine del giudizio è tenuta a rimborsare le spese alla parte vittoriosa, comprese quelle relative a fasi o gradi di giudizio in cui aveva ottenuto una decisione favorevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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