LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Prelazione agraria: onere della prova e requisiti

Una recente ordinanza della Cassazione affronta il tema della prelazione agraria, stabilendo che spetta a chi la esercita l’onere di provare in modo rigoroso tutti i requisiti soggettivi richiesti dalla legge, come la coltivazione del fondo da almeno due anni. La Corte ha chiarito che la semplice comunicazione di vendita (denuntiatio) da parte del proprietario non costituisce un’ammissione del diritto del richiedente e non lo esonera dal fornire le prove necessarie.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Prelazione agraria: L’Onere della Prova Ricade su chi la Esercita

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di prelazione agraria: spetta a chi intende esercitare tale diritto dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge. La semplice comunicazione di vendita da parte del proprietario del fondo, la cosiddetta denuntiatio, non è sufficiente a provare il diritto e non esonera il richiedente dal rigoroso onere probatorio. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una coltivatrice diretta, dopo aver ricevuto la comunicazione di vendita di un terreno confinante, esercitava il proprio diritto di prelazione. In primo grado, il Tribunale accoglieva la sua domanda, riconoscendole il diritto di acquistare il terreno. Tuttavia, i proprietari del fondo proponevano appello, contestando la decisione. Essi sostenevano che la richiedente non avesse adeguatamente provato di possedere i requisiti necessari, in particolare quello di essere coltivatrice diretta e di aver coltivato il fondo per almeno due anni.

La Decisione della Corte d’Appello e la Prova Mancata

La Corte d’appello ribaltava la sentenza di primo grado. I giudici di secondo grado, dopo un’attenta analisi delle prove, in particolare delle testimonianze, concludevano che la richiedente non era riuscita a dimostrare in modo inequivocabile la sua qualità di coltivatrice diretta e la continuità della coltivazione. Le testimonianze raccolte erano state giudicate contraddittorie, generiche e perplesse. Inoltre, non era stata fornita prova della capacità lavorativa della famiglia, tenuto conto che il coniuge svolgeva la professione di marittimo e la figlia era una studentessa universitaria, né della disponibilità di macchinari agricoli.

L’Onere della Prova nella Prelazione Agraria secondo la Cassazione

La coltivatrice proponeva quindi ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione d’appello e cogliendo l’occasione per ribadire principi cardine in materia di prelazione agraria.

Il punto centrale della decisione è l’onere della prova. La Corte ha sottolineato che, secondo il principio generale sancito dall’art. 2697 del codice civile, chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso della prelazione agraria, questo significa che il richiedente deve dimostrare concretamente:

* La propria qualità di coltivatore diretto.
* La coltivazione del fondo per almeno un biennio.
* Che la superficie del fondo per cui si esercita la prelazione, unita a quella già posseduta, non superi il triplo della capacità lavorativa della sua famiglia.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su tre pilastri argomentativi.

In primo luogo, ha chiarito che il giudizio di legittimità non consente un riesame del merito della causa. La valutazione delle prove, come l’attendibilità dei testimoni, è un compito riservato al giudice di merito (in questo caso, la Corte d’Appello) e non può essere messa in discussione in Cassazione se la motivazione è logicamente coerente e non viziata.

In secondo luogo, ha specificato che la denuntiatio non costituisce un riconoscimento del diritto di prelazione. Si tratta di un adempimento formale imposto dalla legge al venditore, che non esonera il prelazionante dal dovere di provare i propri requisiti. Anzi, nel caso di specie, la comunicazione stessa esprimeva dubbi sulla sussistenza di tali requisiti.

Infine, la Corte ha ribadito che una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) non può essere utilizzata per sopperire alla carenza probatoria della parte. La CTU è uno strumento di ausilio per il giudice su questioni tecniche, ma non può sostituirsi all’onere della parte di allegare e provare i fatti costitutivi della propria domanda.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante per tutti coloro che intendono esercitare il diritto di prelazione agraria. Non è sufficiente affermare di possedere i requisiti, ma è necessario essere pronti a dimostrarli in modo solido e inconfutabile in un eventuale giudizio. La comunicazione di vendita da parte del proprietario non è una garanzia di successo; la vera chiave per vedersi riconosciuto il diritto risiede nella capacità di fornire prove concrete e convincenti della propria posizione, come richiesto dalla legge.

Chi ha l’onere di provare i requisiti per esercitare la prelazione agraria?
L’onere di provare la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi (come la qualità di coltivatore diretto e la coltivazione del fondo per almeno due anni) e oggettivi spetta interamente alla parte che intende esercitare il diritto di prelazione, secondo il principio generale dell’onere della prova (art. 2697 c.c.).

La comunicazione di vendita (denuntiatio) da parte del proprietario del fondo costituisce un’ammissione del diritto di prelazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la denuntiatio è un adempimento formale richiesto dalla legge al venditore e non implica alcun riconoscimento, né esplicito né implicito, della sussistenza dei requisiti in capo al destinatario. Pertanto, non esonera quest’ultimo dal dover provare il proprio diritto.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come le testimonianze, che sono state valutate nei gradi di merito?
No, non è compito della Corte di Cassazione riesaminare e valutare nuovamente le prove. Il suo ruolo è quello di controllare la corretta applicazione della legge e la coerenza logico-formale della motivazione della sentenza impugnata. La valutazione dell’attendibilità delle prove è un’attività riservata al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati