Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8342 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8342 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23601-2022 proposto da:
NOME, NOME, COGNOME NOME, domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME, domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
AMORT NOME;
Oggetto
PROPRIETÀ
Prelazione e retratto agrari Fondo destinato parzialmente ad attività di silvicoltura
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/10/2023
Adunanza camerale
– intimata –
Avverso la sentenza n. 108/2022 della Corte d’appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, depositata il 24/06/2022; udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/10/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 108/22, del 24 giugno 2022, della Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 45/19, del 16 gennaio 2019, del Tribunale di Bolzano -ha confermato la spettanza a NOME COGNOME, in qualità di coltivatore diretto e proprietario di fondi confinanti, del diritto di prelazione e riscatto agrari sugli immobili acquistati dagli odierni ricorrenti, in virtù di contratto di compravendita concluso con NOME il 14 gennaio 2015.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di essere stati convenuti in giudizio dal l’COGNOME, unitamente alla venditrice NOME, sul presupposto di essere coltivatore diretto e di gestire, insieme ai suoi familiari, il maso chiuso ‘Priller’, di sua proprietà, e con esso pure altri terreni a lui appartenenti, con destinazione a prato e bosco. Lamentava l’allora attore che, sebbene avesse esercitato sull’intero fondo confinante di proprietà della NOME, all’esito di ‘ denuntiatio ‘ della stessa, il diritto di prelazione agraria, costei lo aveva informato che la prelazione doveva intendersi circoscritta alle sole particelle con destinazione boschiva dell’immobile proposto in vendita ai COGNOME e al COGNOME. In seguito, ella lo aveva dispensato dal pagamento
del prezzo di acquisto, pur a fronte della ribadita volontà di esercitare il proprio diritto sull’intero immobile, ivi comprese le particelle formate da prato ed edifici rurali e costituenti un alpeggio, trattandosi, a dire dell’COGNOME, di un unico complesso.
Perfezionata, dunque, la vendita nei confronti degli odierni ricorrenti, l’COGNOME adiva il Tribunale bolzanino, innanzi al quale costoro si costituivano per resistere alla domanda, assumendo che l’attore non possed esse i requisiti per l’esercizio del diritto di prelazione e retratto, non avendo espletato alcuna attività abituale e continuativa di coltivazione del terreno, bensì solo di allevamento e commercio di bestiame. Evidenziavano, in subordine, che solo due delle particelle del fondo appartenente a ll’COGNOME, entrambe boschive, confinavano con quella parte dei terreni oggetto della compravendita aventi analoga destinazione, sicché l’eventuale diritto di prelazione dell’attore doveva intendersi limitato al terreno forestale confinante con la sua proprietà.
Accolta, invece, integralmente la domanda dal primo giudice, tale decisione veniva confermata in appello.
Avverso la sentenza della Corte sudtirolese hanno proposto ricorso per cassazione i NOME e il COGNOME, sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, assumendo i ricorrenti sussistere carenza di legittimazione dell’COGNOME in ordine al diritto di prelazione.
In particolare, si censura la sentenza impugnata per aver fondato il riconoscimento del diritto di prelazione/riscatto
dell’attore su un’interpretazione delle disposizioni suddette che si assume errata, sostanziatasi nella ‘erronea conclusione che detto diritto spetti senz’altro a tutti i soggetti qualificati come coltivatori diretti dall’art. 31 della l. n. 590/1965, e quindi non solo a chi si dedica alla coltivazione dei fondi, bensì anche a chi svolge attività di allevamento e di governo del bestiame, come nella fattispecie di causa ‘ .
Si contesta alla sentenza impugnata di aver condiviso la conclusione del Tribunale (riportata a pag. 12 della pronuncia qui in esame), secondo cui ‘l’esercizio dell’allevamento di bestiame, quale attività aggiuntiva, non agricola, ancorché in via principale, non è in alcun modo rilevante ai fini dell’esclusione del diritto di prelazione agraria’. Gli odierni ricorrenti, nel ribadire che l’COGNOME ‘svolgeva, in forma assolutamente prevalente, l’attività di allevamento del bestiame (nonché di commercio del medesimo), restando quelle di coltivazione e di selvicoltura meramente complementari’, evidenziano come la sentenza impugnata abbia disatteso il principio, enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ‘la qualità di coltivatore diretto, legittimante la prelazione ed il riscatto agrari, ex artt. 8 e 31 della l. n. 590 del 1965, va intesa in senso restrittivo, propriamente funzionale alla coltivazione della terra e, perciò, non sussiste in capo a chi si dedica esclusivamente, ovvero in forma assolutamente prevalente, al governo ed all ‘ allevamento del bestiame’ (è citata Cass. Sez. 6 -3, ord. 7 gennaio 2021, n. 42).
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, nonché dell’art. 2135 cod. civ.
Si censura, in questo caso, la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’attività di ‘coltivazione’ (nella fattispecie, del bosco), che il comma 1 dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 -unitamente al l’art. 7 della legge n. 817 del 1971 pone come specifico requisito della prelazione, possa essere costituita dalla sola attività di taglio della legna, e ciò con violazione, altresì, dell’art. 2135 cod. civ., trattandosi di mera attività di raccolta di frutti spontanei.
Il presente motivo, infatti, investe l’affermazione del giudice di appello secondo cui -sul presupposto che ‘il convenuto nell’arco temporale degli ultimi 20 anni ha prelevato legna sia da ardere, che da costruzioni’ reputa tanto ‘sufficiente per config urare una coltivazione, ovvero una cura del bosco’.
Tale esito, tuttavia, sarebbe ‘palesemente erroneo dal profilo giuridico (nonché agronomico), richiedendo l’art. 2135 cod. civ. anche per la selvicoltura’ un’attività diretta ‘alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso’, essendo ‘inerente al concetto stesso di silvicoltura la considerazione che essa richiede un ‘ attività imprenditoriale organica e funzionale al ciclo naturale del bosco’ (viene richiamata Cass. Sez. Un., sent. 14 aprile 2011, n. 8486), ciò che ‘incontestabilmente non può dirsi per il mero taglio degli alberi’.
3.3. Infine, il terzo motivo denuncia -sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971.
Il presente motivo, che è proposto subordinatamente agli altri, evidenzia che il diritto di prelazione/riscatto ‘avrebbe eventualmente potuto riconoscersi solo limitatamente a quei fondi limitrofi acquistati dal riscattato che sono a loro volta a bosco’, non potendo estendersi -come, invece, erroneamente ritenuto
dalla Corte d’appello ‘agli ulteriori terreni compravenduti, che sono invece a prato (con insistenti fabbricati rurali, il tutto formante un alpeggio)’, essendo irrilevante l’assunto della sentenza impugnata circa la sussistenza, nella specie di ‘un comp lesso unitario’.
Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che la finalità della prelazione, accordata al proprietario confinante silvicoltore, è -secondo regola generale dell’istituto ‘quella di consentire l’espandersi dell’azienda già costituita sul fondo a confine in propr ietà al nuovo fondo acquisibile con la prelazione’. Tale finalità, dunque, può conseguirsi ‘unicamente quando i fondi oggetto di preferenza siano omogenei, e quindi, se quelli già in proprietà a confine sono boschivi (sui medesimi esercitandosi attività di selvicoltura)’, al pari di ‘quelli oggetto di prelazione’, che ‘devono appunto essere, a loro volta, costituiti da bosco, così che il diritto non può estendersi anche a terreni non boscati che quell’attività non consentono e che dovrebbero invece essere necessariamente oggetto di attività agricola diversa, cioè di coltivazione di terreno’ (è citata, nuovamente, sul punto Cass. Sez. Un., sent. 14 aprile 2011, n. 8486).
A tale censura, infine, i ricorrenti ne fanno seguire altra, per così dire, simmetrica , ovvero ‘che il riscontro di un complesso fondiario in thesi indivisibile, per solo parte del quale competa la prelazione’, necessariamente avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale ‘a negare in toto il diritto del confinante, non certo ad espanderlo a terreni di per sé non assoggettati al vincolo preferenziale’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione , con controricorso, l’COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
È rimasta solo intimata la NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di memoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
9.1. Il primo motivo è inammissibile.
9.1.1. Nella sentenza impugnata, infatti, è assente l’affermazione censurata con il presente motivo -secondo cui la prelazione agraria spetta, non esclusivamente ‘a chi si dedica alla coltivazione dei fondi, bensì anche a chi svolge attività di allevamento e di governo del bestiame’.
Invero, dal testo della sentenza -persino come riportato nel ricorso (si vedano la nota 7 alle pagg. 10 e 11, nonché le pagg. 13 e 14) -emerge un contenuto decisorio del tutto diverso da quello attribuitole dai ricorrenti, come evidenzia anche il controricorrente nel proprio scritto defensionale.
Infatti, la Corte territoriale, nel pronunciarsi sul primo motivo di gravame (con il quale si addebitava al Tribunale di non avere ‘tenuto conto del fatto che l’esercizio del diritto di prelazione non avrebbe comportato nel caso di specie un miglioramento della gest ione razionale dell’azienda agricola del signor COGNOME‘), ha ritenuto ‘privo di fondamento giuridico e di una critica specifica
ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ.’ il riferimento degli allora appellanti ‘al contestato beneficio economico per l’azienda agricola di proprietà’ dell’attore, derivante, in ipotesi, ‘dall’accorpamento con le particelle in contestazione’, così come ‘irrilevante dal punto di vista giuridico’ ha ritenuto pure il fatto che costui risultasse ‘proprietario di altri alpeggi, tutti in condizioni medioprecarie, motivo per cui’ sempre nella prospettiva degli allora appellanti -‘l’acquisizione di un altro alp eggio non avrebbe alcun senso’. Conclusioni, queste, raggiunte dalla sentenza impugnata sul rilievo che il diritto di prelazione è ‘concesso per effetto della qualità di proprietario confinante’, ovvero ipotizzando ‘ iuris et de iure la sussistenza di un concreto miglioramento dei processi di gestione aziendale’, sicché al giudice ‘è vietata qualsiasi valutazione in merito ad una positiva e sensata possibilità di successo derivante dall’accorpamento dei fondi confinanti’.
Non vi è, pertanto, alcuna affermazione nella sentenza impugnata circa il riconoscimento della prelazione in favore di chi svolga, con prevalenza, l’attività di allevatore di bestiame, donde l’inammissibilità del presente motivo di ricorso, giacché esso non coglie -né si confronta -con l’effettiva ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata (cfr. Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01).
9.2. Il secondo motivo non è fondato.
9.2.1. Non può, infatti, accogliersi la tesi dei ricorrenti secondo cui la raccolta di legname -attività alla quale, invece, ha dato rilievo la sentenza impugnata -non rientrerebbe nella silvicoltura, ciò che, a loro dire, impedirebbe di ritenere integrata la c ondizione dell’azione, esercitata dall’COGNOME, della
coltivazione del proprio fondo nei due anni precedenti la compravendita.
Invero, proprio l’arresto delle Sezioni Unite citato dai ricorrenti giustifica -come anche evidenziato, correttamente, dal controricorrente -la conclusione diametralmente opposta.
Se è vero, infatti, che l’equiparazione, alla coltivazione, della si lvicoltura è basata sul rilevo che quest’ultima ‘richiede un’attività imprenditoriale organica e funzionale al ciclo naturale del bosco’, ciò non legittima la conclusione che il taglio degli alberi resti ad essa estranea, giacché -come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte -‘il bosco altro non è che un fondo di terra, sicuramente suscettibile, se non trattato come bene intangibile, di una forma di coltivazione intesa come cura del «bene» bosco in quanto destinato a produrre frutti e servizi di natura agricola (quali legname, castagne, olii, resine, estratti naturali come il tannino, ecc.)’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 14 aprile 2011, n. 8486, Rv. 616792-01).
9.3. Infine, anche il terzo motivo risulta non fondato.
9.3.1. La Corte territoriale ha ritenuto che all’COGNOME spettasse il diritto di prelazione (e, dunque, di retratto) in relazione a tutti i fondi oggetto di compravendita, e non ai soli con destinazione boschiva, in quanto essi costituivano un complesso fondiario oggettivamente unitario, tipico degli alpeggi in zone montane ‘aventi lo scopo di gestire ed amministrare in modo uniforme l’intero complesso nell’ambito di una gestione agricola dell’alpeggio tipica per la Regione’.
Essa, pertanto, ha fatto applicazione -come osserva, ancora una volta correttamente il controricorrente -del principio secondo cui la prelazione agraria ‘è esercitabile anche quando il fondo su cui si appunta è parte di una più vasta estensione, purché presenti
un’autonomia colturale e produttiva’, restando inteso che, in questo caso, ‘l’accertamento delle condizioni che consentono l’esercizio del suddetto diritto deve essere compiuto non con riguardo alla configurazione data dalle parti al contratto di vendita, ma considerando la situazione oggettiva, in modo tale da verificare, da un lato, se il terreno trasferito si presenti frazionato in appezzamenti aventi caratteristiche diverse e differenti colture e, dall’altro lato, se il fondo trasferito non debba, ciò m algrado, essere ritenuto un fondo oggettivamente unitario, per essere le attività svolte sui diversi appezzamenti coordinate fra loro, sì da costituire aspetti complementari di un’unica gestione’ (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 16 novembre 2005, n. 23222, Rv. 584837-01).
Questo rilievo, pertanto, supera la seconda censura oggetto del presente motivo, giacché dimostra come l’esercizio della prelazione solo per le porzioni boschive, e non per l’intero, di un ‘fondo oggettivamente unitario’ per dirla con l’arresto testé menzionato -si porrebbe in contrasto con quella esigenza di ‘accorpamento dei fondi per migliorare la redditività dei terreni’ che costituisce la ‘ ratio ‘ dell’istituto della prelazione agraria, giacché determinerebbe uno smembramento di quel complesso unitario.
Non fondato è, poi, il rilievo, oggetto della prima censura proposta con il presente motivo, secondo cui la natura boschiva dei terreni di proprietà del retraente si porrebbe -in base a indicazioni che si pretendono ricavabili dal citato arresto delle Sezioni Unite in tema di selvicoltura -come un ‘limite intrinseco’ all’esercizio del diritto, in grado, dunque, di superare il dato stesso dell’unitarietà del complesso fondiario oggetto di compravendita.
Invero, poiché è lo stesso ricorso -cfr. pag. 15 -a dare atto che l’RAGIONE_SOCIALE svolge anche attività di ‘cura dei terreni d’alpeggio’, oltre che ‘di taglio del bosco’ (ancorché reputi
entrambe come ‘attività meramente complementari’ rispetto a quelle di allevamento del bestiame), coglie nel segno il rilievo svolto, al riguardo, da l controricorrente. Ovvero, che l’attività di selvicoltura non possa ritenersi, nel caso di specie, né esclusiva né principale, con la conseguenza, pertanto, di rendere non operativo il limite all’esercizio del diritto di prelazione, individuato dal già citato arresto delle Sezioni Unite e secondo cui per il solo ‘silvicoltore esercente, esclusivamente o princip almente, attività di silvicoltura’, la prelazione del confinante esige ‘che i terreni da vendere e quello del prelazionario, siano entrambi boschivi’ (cfr. § 14 di Cass. Sez. Un., sent. n. 8486 del 2011, cit .)
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, sussistendo ‘giusti motivi’ di seguito meglio illustrati.
9.1. Invero, essendo stato il primo grado di giudizio instaurato con citazione notificata in data 4 gennaio 2016, alle spese di lite si applica la disciplina di cui all’art. 92 cod. proc. civ., nel testo novellato dall’art. 13, comma 1, del decreto -legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, come, però, r isultante all’esito dell’intervento ‘additivo’, operato dalla Corte costituzionale con la sentenza del 19 aprile 2018, n. 77.
Orbene, il carattere parzialmente inedito della questione oggetto, in particolare, del terzo motivo di ricorso -la cui decisione ha, infatti, richiesto un’opera di ‘raccordo’ tra diversi ‘ dicta ‘ di questa Corte integra taluna di quelle ‘altre’ gravi ed eccezionali ragioni, oltre quelle indicate ‘ nominatim ‘ dal vigente testo dell’art. 92 cod. proc. civ. (vale a dire, l’assoluta novità della questione trattata o il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti del giudizio), che sono idonee a giustificare
la compensazione, presentando ‘la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste’ dalla norma suddetta (cfr. Cass. Sez. 6-2, ord. 18 febbraio 2019, n. 4696, Rv. 652795-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-5, ord. 18 febbraio 2020, n. 3977, Rv. 656993-01).
10. A carico dei ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della