Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12614 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12614 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20499/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME difeso dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2683/2023 depositata il 12/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietario di un immobile , conveniva in giudizio NOME COGNOME proprietario di un altro immobile nel medesimo complesso immobiliare, lamentando che quest’ultimo aveva realizzato opere abusive nel cortile comune e utilizzato in modo esclusivo un contributo pubblico per il terremoto, assegnato ai condomini . L’attore domandava la demolizione delle opere ritenute abusive e il ripristino di alcune strutture comuni, oltre al rendiconto della quota di contributo spettantegli. Il convenuto si costituiva eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’attore, contestando la comunione del cortile e delle pertinenze indicate in citazione. Proponeva domanda riconvenzionale per ottenere la demolizione di strutture realizzate dall’attore in violazi one delle norme sulle distanze.
Il Tribunale rigettava le domande dell’attore e accoglieva in parte la domanda riconvenzionale del convenuto, condannando l’attore alla demolizione di un muro costruito sul terrazzo comune. Le spese venivano compensate per due terzi e il residuo veniva posto a carico dell’attore.
L’attore proponeva appello lamentando errori processuali e contestando il rigetto della domanda di accertamento della comunione del cortile, della prova testimoniale e della richiesta di rendiconto. Gli appellati chiedevano la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte di appello respingeva tutti i motivi di gravame, ritenendo tardiva la produzione documentale con cui l’appellante intendeva dimostrare la comproprietà del cortile e la sua domanda di usucapione del terrazzo comune, sollevata solo in comparsa conclusionale. Confermava la decisione del Tribunale in merito al mancato accoglimento della prova testimoniale, non ritenendo sussistente alcuna violazione del diritto di difesa dell’appellante. Riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riconoscendo il diritto dell’appellante alla restituzione della somma di € 3.994,21,
corrispondente alla quota di contributo edilizio spettantegli. Le spese venivano compensate per due terzi, con condanna dell’appellante a rifondere il residuo terzo agli appellati. La Corte fondava la propria decisione sull’assenza di documentazione idonea a dimostrare la comunione del cortile e sulla tardività delle relative produzioni, confermando che il titolo di proprietà dell’appellante non conteneva riferimenti specifici al cortile come bene comune. Sottolineava che il ricorso alle preclusioni probatorie era conforme alle norme processuali e non pregiudicava il diritto di difesa dell’appellante.
Ricorre in cassazione l’attore con quattro motivi. Resiste la parte convenuta con controricorso e memoria. Il consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. La parte ricorrente ne ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 183 co. 6 e 345 co. 3 c.p.c., nella formulazione anteriore alla l. n. 134 del 2012. Si censura la statuizione con cui il Tribunale e la Corte di appello hanno dichiarato inammissibile la produzione documentale effettuata nella memoria istruttoria del 16/04/2010, ritenendola tardiva. Si afferma che con l’ordinanza del 17/11/2010 il Tribunale avrebbe rimesso le parti nei termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., consentendo la nuova articolazione dei mezzi istruttori e la produzione di documenti, e che anche la controparte ha integrato la propria istruttoria in tale sede. Si aggiunge che i documenti erano stati prodotti in replica alla seconda memoria avversaria e che, comunque, si trattava di prove indispensabili, la cui produzione è ammessa anche in appello ai sensi dell’art. 345 co. 3 c.p.c.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 183 co. 6 c.p.c. per non avere il Tribunale e la Corte di appello ammesso la prova testimoniale articolata nella memoria del 16/04/2010, ritenendola tardiva. Si afferma che la prova era volta a contraddire quanto sostenuto dalla controparte nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c.
e che l’ordinanza del 17/11/2010 aveva rimesso le parti nei termini per l’articolazione dei mezzi istruttori. Si sostiene inoltre che l’istruttoria negata avrebbe consentito di provare l’epoca e la natura dell’occupazione del terrazzo e delle pertinenze ri vendicate dall’attore.
1.2. – I primi due motivi sono da esaminare congiuntamente.
Essi non sono fondati.
L a sentenza impugnata ha chiarito che l’integrazione documentale e l’articolazione della prova testimoniale sono avvenute oltre il termine previsto per la seconda memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. La memoria del 16/04/2010, come si evince dallo stesso ricorso, costituisce la terza memoria prevista dal medesimo articolo ed è deputata soltanto alla formulazione della prova contraria e delle sole repliche difensive. La produzione documentale, a pena di decadenza, deve avvenire entro il deposito della seconda memoria di cui all’art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. (Cass. 15780/2018, in motivazione).
Quanto all’ordinanza del 17/11/2010, richiamata dal ricorrente come fonte della pretesa rimessione in termini, emerge dagli atti che il giudice si è limitato a rinviare la causa, senza adottare alcun provvedimento che autorizzasse la riapertura dei termini istruttori. La Corte di appello ha correttamente rilevato che il provvedimento non aveva effetti di rimessione in termini (in disparte che il ricorrente non ha indicato specificamente in quale atto di appello la questione sarebbe stata tempestivamente dedotta e riproposta in modo rituale).
Quanto alla pretesa indispensabilità delle prove ai fini della loro ammissibilità in appello, essa non è più rilevante con riferimento ai giudizi in cui la sentenza di primo grado è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012.
Il primo e il secondo motivo sono rigettati.
– Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto
corretta la mancata escussione del teste indicato dall’attore su una circostanza oggetto di prova ammessa, corrispondente alla lettera B dell’atto di citazione. Si afferma che il Tribunale aveva ammesso detta prova, ma il giudice dell’udienza non ha assunt o la testimonianza sul rilievo che il teste non era stato indicato su quel capo, nonostante fossero stati regolarmente citati altri testimoni a conferma della stessa circostanza. Si contesta la mancata escussione della prova regolarmente articolata e già ammessa, avente ad oggetto la comunione del lastrico solare.
Il terzo motivo è inammissibile.
Il giudice di appello ha esaminato correttamente la questione del presunto travisamento dei capitoli di prova e ha ritenuto che il Tribunale non avesse commesso alcun errore nel limitare l’ammissione della prova al solo capo «B». Il ricorrente, in appello, aveva sostenuto che il capo «B» era stato erroneamente inteso dal Tribunale, ma ora censura la mancata escussione dei testimoni su tale circostanza, con modifica della propria linea difensiva che in questi termini non è ammissibile.
Quanto al merito, la Corte territoriale ha escluso la comunione sulla base di un’analisi dei documenti tempestivamente prodotti , mentre il ricorrente tenta di ottenere una nuova valutazione probatoria, che non è ammissibile in sede di legittimità.
– Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., travisamento del fatto e omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Si contesta che il Tribunale e la Corte di appello abbiano del tutto omesso l’esame dei titoli di propri età tempestivamente prodotti (atto di donazione per notar NOME del 1965, atto di transazione per notar COGNOME del 1943 con allegata planimetria, verbale di pubblicazione del testamento di NOME NOME), da cui emergerebbe la comproprietà del cortile. Si assume che la Corte abbia affermato la mancanza di titolo sulla base di una lettura parziale e infondata degli atti prodotti e che abbia
omesso ogni valutazione della planimetria allegata all’atto Bianchi, decisiva per accertare la comunione.
Il quarto motivo è rigettato.
Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, emerge che il titolo di donazione del 31/05/1965 (atto COGNOME) menziona esclusivamente il fabbricato, il vano e la cisterna, ma non il cortile, che è l’oggetto della pretesa attorea. Quanto alla censura di omesso esami di fatti decisivi, trattandosi di doppia pronuncia conforme, essa è inammissibile ex art. 348-ter co. 5 c.p.c. Nel complesso, il ricorrente tenta anche con questo motivo di ottenere una nuova valutazione probatoria, che non è ammissibile in sede di legittimità.
-La memoria depositata dal nuovo difensore del ricorrente articola in circa 46 pagine una sorta di nuovo ricorso in cassazione inammissibile.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge, da corrispondere all’avv. NOME COGNOME, antistataria . Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 3. 500 in favore della parte controricorrente, da corrispondere all’avv. NOME COGNOME, antistataria , nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 3. 000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/04/2025.