Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21836 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21836 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10562-2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 137/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 16/02/2021 R.G.N. 665/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Oggetto
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/06/2024
CC
La Corte di appello di Firenze aveva rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso la decisione con cui il tribunale, in sede di giudizio ex art. 1 co.51 l.n. 92/2012, aveva confermato l’ordinanza della fase sommaria, rigettando la domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente da RAGIONE_SOCIALE.
La corte d’appello, anche svolgendo nuova attività istruttoria e consulenza tecnica d’ufficio (ctu), aveva ritenuto che il COGNOME nella sua qualità di capo negozio ed addetto alla custodia e conservazione del denaro presente nel punto vendita, fosse responsabile dell’ammanco di complessivi E. 38.490,50. La corte di merito aveva accertato che la contestazione fosse sufficientemente specifica e tale da rendere edotto il dipendente degli addebiti contestati e che, inoltre, questi ultimi, consistenti nella mancata osservanza delle procedure di cambio moneta ed in particolare sul mancato ‘riversamento’ delle somme oggetto di cambio nelle casse del negozio con conseguenti ammanchi nella contabilità complessiva, fossero da considerarsi un inadempimento tale da pregiudicare definitivamente il vincolo fiduciario.
Avverso detta decisione il COGNOME proponeva ricorso cui resisteva la società. All’adunanza camerale la Corte si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge.
RAGIONE DELLA DECISIONE
1)Con primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 18 co.4, l.n. 300/70, per insussistenza del carattere antigiuridico della condotta contestata (art. 360 co.1 n.3 c.p.c.). Il ricorrente si duole in sostanza della mancata considerazione che le direttive aziendali sul cambio moneta fossero state superate da una prassi aziendale differente, tollerata, in virtù della quale le ricevute dell’avvenuto cambio a volte si tenevano in negozio a volte si inviavano in sede e che, comunque, il detto cambio dell o ‘ sp icciolame’ non veniva effettuato contestualmente ma appena possibile.
Parte ricorrente denuncia la mancata osservanza dei principi enunciati dal Giudice di legittimità in tema di prassi tollerate.
Questa Corte ha da tempo chiarito che ‘al fine della formazione degli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali o di fatto – che, in quanto tali, si distinguono dagli usi normativi, caratterizzati dai requisiti della generalità nonché dell'”opinio iuris ac necessitatis”, e sono suscettibili di inserzione automatica, come clausola d’uso, nel contratto individuale di lavoro, con idoneità a derogare soltanto in “melius” alla disciplina collettiva – rileva il mero fatto giuridico della reiterazione, nei confronti di una collettività più o meno ampia di destinatari, del comportamento considerato purché caratterizzato dal requisito della spontaneità. Detta reiterazione deve risultare ” a posteriori” dalla verifica di una prassi già consolidata senza che possa aversi riguardo all’atteggiamento psicologico proprio di ciascuno degli atti che di cui si compone tale prassi, atteso che, in ogni caso, il consolidamento di una prassi manifesta di per sè, sia pure implicitamente, l’intento negoziale di regolare anche per il prosieguo gli aspetti del rapporto di lavoro cui attiene’ (Cass. n. 7200/2002; Cass. n. 15489/2007).
Di recente si è ulteriormente precisato che ‘nell’ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell’uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale'( Cass n. 31204/2021) .
Il consolidato orientamento del Giudice di legittimità individua nella condizione di reiterazione costante e generalizzata le caratteristiche necessarie perché possa individuarsi la esistenza di un uso aziendale, anche assegnando a tale reiterazione la dimostrazione della volontà di regolazione di quella fattispecie anche per il futuro.
Si è peraltro soggiunto che nella individuazione di tale intento negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell’assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se non per
violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione (Cass.n. 15489/2007).
L’esistenza di un uso deve quindi essere oggetto di una prova positiva, anche valutata nel contesto dell’assetto regolatorio della fattispecie ed è comunque espressione di una valutazione rimessa al giudice del merito con i limiti indicati rispetto al sindacato di legittimità.
Nel caso in esame la corte territoriale, dopo aver dato atto della esistenza di disposizioni aziendali che assegnavano al responsabile del negozio (nella specie il COGNOME) il compito di riversare in azienda una somma corrispondente agli spiccioli ricevuti unitamente all’incasso del punto vendita, rilevava che dalle testimonianze raccolte era emersa una maggiore elasticità temporale nella consegna, tollerata dalla società. Tale riscontro, se pur qualificabile quale prassi e dunque quale uso aziendale con le caratteristiche sopra indicate (reiterazione quale espressa volontà di regolazione anche per il futuro), comunque non assume particolare rilievo nel decisum della corte di merito che, contestualmente a tale accertamento, ha anche evidenziato che dalle testimonianze raccolte e dalla ctu espletata era emerso che, nonostante la possibile ‘elasticità’ nel riversamento delle somme in questione, era risultato un ammanco finale nelle casse della società riferito a 19 operazioni di cambio moneta non registrate. Con tale conclusione la corte di merito ha ritenuto che l’ammanco in questione, comunque addebitabile alla responsabilità del COGNOME quale capo negozio tenuto a rispettare le disposizioni di regolarità contabile e tenuta delle scritture relative, fosse la ragione della perdita del rapporto fiduciario e la ragione del legittimo recesso datoriale. Il motivo di censura deve essere, per quanto detto, disatteso.
2)Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 18 co.5 per difetto di proporzionalità e mancanza di giustificazione del licenziamento (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.).
La censura mira a dimostrare che la presenza di un uso aziendale, tollerato nel tempo, possa costituire ragione di temperamento della negligente condotta e della conseguente valutazione circa la
proporzionalità della sanzione espulsiva. A riguardo deve richiamarsi il consolidato principio espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui ‘In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo’ (Cass 2013/2012 ; Cass.n. 13411/2020).
Nel caso in esame la corte territoriale, conformemente ai principi sopra richiamati, ha valutato i comportamenti ed espresso un giudizio coerente con gli stessi, ampiamente motivato. Si tratta di una valutazione di merito non ri-valutabile in sede di legittimità. Il motivo è pertanto inammissibile.
Complessivamente, per quanto detto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono il principio di soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 5.000,00 per compensi ed E. 200,00
per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Cosi’ deciso in Roma il 4 giugno 2024.
La Presidente NOME COGNOME