Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18912 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18912 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17301/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende con gli avvocati COGNOME e COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso la sede legale dell’Istituto in ROMA INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOMEcontroricorrente- nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’avvocatura centrale dell’istituto, in ROMA INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME NOME COGNOME
-intimato – avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 72/2021 pubblicata il 03/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE nella controversia con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
La controversia, per la materia ancora viva nel giudizio di legittimità, ha per oggetto l’azione di accertamento negativo del debito contributivo e l’opposizione ad avvisi di addebito e cartelle esattoriali con riferimento: a) all’abuso nella applicazio ne nelle buste paga della voce «trasferta Italia»; b) l’inquadramento dei lavoratori COGNOME, COGNOME e COGNOME come lavoratori subordinati, nonostante il formale ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Il Tribunale di Ferrara rigettava in parte qua le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE
Per la cassazione della sentenza ricorre RAGIONE_SOCIALE con ricorso affidato a tre motivi, e illustrato da memoria. I.N.A.I.L. resiste con controricorso, I.RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato e ha conferito solo procura in calce alla copia notificata del ricorso. Al termine della camera di consiglio il collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine previsto dall’art.380 bis.1 ultimo comma cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e errata applicazione dell’art.420 , commi da quinto a settimo e 421 cod. proc.
civ., la violazione del diritto di difesa e dell’art.24 Cost., con riferimento all’art.360 , primo comma, n.3 cod. proc. civ.
La ricorrente deduce che il giudice di primo grado, all’esito dell’escussione testimoniale, ha ordinato a IRAGIONE_SOCIALE di esibire in giudizio – ex art.421 comma secondo cod. proc. civ. – i fogli presenza visionati dagli ispettori e, contestualmente, ha fissato udienza per la discussione per la causa, con la concessione di un termine per note difensive, senza però concedere alle parti il termine perentorio per dedurre i mezzi di prova necessari in ragione di quelli ammessi d’ufficio.
Secondo l’orientamento di questa Corte, al quale s’ intende dare continuità, «non vi è dubbio che la esigenza da parte del Giudice di merito di estendere all’accertamento di ulteriori fatti – sia pure desunti dal materiale istruttorio già acquisito -il “thema probandum”, comporta la esigenza di garantire alle parti la possibilità di controdedurre sui capitoli di prova formulati “ex officio”, e di indicare altri testi in prova contraria, è altrettanto vero che tale esigenza, assicurata dall’esplicito rinvio all’art. 420, comma 6, c.p.c., contenuto nel comma 2 dell’art. 421 c.p.c. (così rettificato il rinvio all’articolo precedente” reso non più attuale dalla introduzione dell’art.420 bis c.p.c.: la rettifica è stata formalmente disposta dal d.l. 25.6.2008 n.112 conv. in legge 6.8.2008 n. 133, non essendo tuttavia dubbio, anche prima della rettifica, che il rinvio dovesse riferirsi all’art. 420 c.p.c.), si estrinseca nella facoltà processuale di (contro)deduzione probatoria riservata alla parte, quale espressione del principio dispositivo (le parti, infatti, qualora il Giudice disponga di ufficio nuove prove, “possono” dedurre i mezzi di prova “che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi, con assegnazione di un termine perentorio di cinque giorni”), con la conseguenza che il ricorso per cassazione con il quale si denuncia il vizio di nullità processuale in cui sarebbe incorso il Giudice, per violazione della prescrizione dell’art. 420, comma 6, c.p.c., implica,
ai fini della completezza espositiva del “fatto processuale” cui è subordinata ex art. 366, co.1 n. 3 c.p.c. la ammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, la allegazione e dimostrazione che la parte interessata aveva inteso avvalersi del diritto di controdedurre, richiedendo al Giudice l’assegnazione del termine perentorio per la formulazione della prova contraria. Alcuna violazione del contraddittorio risulta, pertanto, imputabile al Giudice di merito, per mancata assegnazione del termine indicato dall’art. 420, comma 6, c.p.c., atteso che, in difetto di richiesta del termine a difesa o di formulazione di prova contraria, o di istanza di revoca – depositata fuori udienza – della ordinanza ammissiva della prova “ex officio”, per omessa assegnazione del termine perentorio, deve ritenersi che la parte non abbia inteso avvalersi della facoltà ad essa riservata (si veda, analogamente, Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 16781 del 29/07/2011;id. Sez. L, Sentenza n. 10102 del 18/05/2015, secondo cui, qualora il Giudice disponga di ufficio la acquisizione di documenti, la produzione dei quali rimane preclusa alla parte incorsa in decadenza, deve ritenersi che il silenzio della controparte – a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie – comporti l’accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione)» (Cass. 25/8/2020 n.17683).
Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che «all’udienza del 24/10/2019 le parti concludevano riportandosi semplicemente e pacificamente ai rispettivi atti e note conclusive. Né a quella udienza né a quella precedente dell’11/3/2019 l’azienda RAGIONE_SOCIALE ha contestato alcunché né si è opposta all’acquisizione dei predetti, e nemmeno nelle note conclusive autorizzate v’è un cenno ad un abuso dei poteri del Giudice ovvero all’illegittimità o intempestività dell’acquisizione d’ufficio» (pag.6).
In applicazione del principio sopra richiamato risulta l’in fondatezza del motivo perché la parte ricorrente, dopo l’ordine di esibizione dei
«registri presenza» non ha mai chiesto l’ammissione della prova contraria, né in quella sede, né nelle difese svolte sino alla decisione della causa nel merito.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art.421 cod. proc. civ. in ordine alle modalità di acquisizione d’ufficio degli statini di presenza al lavoro dei dipendenti Diamante avvenuta esclusivamente in formato elettronico, la violazione dell’art.24 Cost. e l’omessa valutazione circa le modalità di esibizione della documentazione e delle condizioni della stessa, con riferimento all’art.360 , primo comma, nn.3 e 5 cod. proc. civ.
Il motivo è inammissibile perché il giudice di merito, nell’ordinare l’esibizione dei «registri presenza», non ha dettato specifiche prescrizioni con riferimento alle modalità dell’esibizione, ed in particolare non ha affatto stabilito che l’esibizione doveva essere compiuta per mezzo della produzione degli originali cartacei. La censura, a ben vedere, afferisce alla valutazione dei documenti esibiti da parte dei giudici del merito, in questa sede insindacabile in quanto riservata al prudente apprezzamento del giudice del merito. Il motivo è poi inammissibile con riferimento al parametro di cui all’art.360 , primo comma, n.5 cod. proc. civ., perché non ha per oggetto l’omesso esame di un fatto, ma una valutazione giuridica relativa al procedimento di esibizione.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la «erronea valutazione del teste COGNOME» con riferimento all’art.360 , primo comma, n.5 cod. proc. civ.
Il motivo è inammissibile perché ha per oggetto la valutazione prudente
delle dichiarazioni rese dal testimone, riservate al apprezzamento del giudice del merito dall’art.116 cod. proc. civ..
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute da I.N.A.I.L., liquidate in euro 6.000,00 per
compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di I.N.A.I.L., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo u nificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2025.