Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 22864 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 22864 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19095/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
REGIONE CAMPANIA (GIUNTA RAGIONE_SOCIALE DELLA CAMPANIA), elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME -controricorrenti-
COMMISSARIO AD ACTA UTILIZZO IN GESTIONE COMPL. RAGIONE_SOCIALEIVO A RAGIONE_SOCIALE, ARCHITETO PASQUALE MANDUCA COMITATO “RAGIONE_SOCIALE” IN PERSONA DEL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA del CONSIGLIO DI STATO n. 7491/2023 depositata il 03/08/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale conclude chiedendo che la Corte voglia dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. -In data 23 luglio 2018 è stata stipulata tra la Regione RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) «Convenzione per l’affidamento in gestione e l’utilizzo del RAGIONE_SOCIALE con sede in Napoli alla INDIRIZZO», per «la gestione, l’utilizzo, la custodia, la conservazione ed il miglioramento RAGIONE_SOCIALE strutture e degli impianti sportivi indicati, per finalità RAGIONE_SOCIALE e di aggregazione sociale».
La convenzione, intervenuta in esito a un complesso contenzioso definito con sentenza del Consiglio di Stato n. 596 del 2017, prevedeva la realizzazione, da parte del concessionario, di opere di risanamento e ristrutturazione del complesso RAGIONE_SOCIALE.
In data 11 gennaio 2019 è stato sottoscritto un atto aggiuntivo che modificava ed integrava la convenzione del 23 luglio 2018; con tale atto aggiuntivo sono stati rideterminati gli interventi di riqualificazione a carico della NOME e il costo complessivo massimo degli stessi interventi. Tale rideterminazione si era resa necessaria perché, nelle more del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, la Regione RAGIONE_SOCIALE aveva conferito all’RAGIONE_SOCIALE l’incarico di ristrutturare lo stadio RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE al fine di consentire alla struttura di partecipare alle RAGIONE_SOCIALE del 2019. In conseguenza degli interventi attuati dall’ARU, essendo mutato lo stato dei luoghi rispetto a quello esistente alla data di pubblicazione del bando, è stato necessario
rivisitare l’originaria progettazione e procedere al conseguente riequilibrio del PEF.
Sopraggiungeva la nomina, da parte Presidente della Giunta RAGIONE_SOCIALE, di un commissario ad acta , il quale, con decreto del 14 maggio 2021, dichiarava la RAGIONE_SOCIALE decaduta dalla concessione.
Per quanto interessa in questa il commissario contestava alla NOME le violazioni di seguito riportate:
mutamento della compagine societaria, in violazione dell’avviso di gara e della convenzione, oltre che del principio di obbligatoria conservazione dei requisiti di partecipazione per tutta la durata del rapporto concessorio;
violazione dell’obbligo di indizione di procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori di rifunzionalizzazione del complesso RAGIONE_SOCIALE;
affidamento dei lavori ad operatore economico sprovvisto RAGIONE_SOCIALE certificazioni SOA e dei prescritti requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari.
Tali contestazioni erano integralmente confermate dal successivo decreto del 13 agosto 2021, con il quale il commissario ad acta nuovamente dichiarava «la decadenza della COGNOME dalla concessione per la gestione e l’utilizzo del RAGIONE_SOCIALE e la conseguente risoluzione legale della convenzione sottoscritta in data 23 luglio 2018 come modificata e integrata con il successivo atto aggiuntivo sottoscritto in data 11 gennaio 2019». Il medesimo provvedimento intimava alla stessa COGNOME il rilascio della struttura sportiva.
In particolare, con tale atto il commissario ad acta osservava che in data 25 settembre 2018 (a distanza quindi di due mesi dalla sottoscrizione del contratto di concessione) la componente sportiva della società concessionaria passava dall’80% (40% in quota allo RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME; 40 % in quota allo RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME) al 5% (in quota COGNOME), quella di COGNOME NOME dal 20% al
90% e il restante 5% in capo al subentrante COGNOME NOME. Ancora in punto di fatto, il commissario ad acta metteva in luce che il concessionario aveva affidato l’esecuzione dei lavori relativi al complesso RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, società costituita in data 14 febbraio 2019, un mese dopo la sottoscrizione dell’atto aggiuntivo del 11 gennaio 2019, il cui socio unico era il medesimo COGNOME NOME, divenuto titolare, a seguito della cessione RAGIONE_SOCIALE quote, del 90% della partecipazione sociale. Si rimarcava ancora come l’affidamento dei lavori fosse avvenuto in via diretta, senza seguire la procedura di evidenza pubblica, necessaria per legge.
Secondo il provvedimento di decadenza, il radicale mutamento dell’originaria composizione societaria, seguito dalla conclusione del contratto per l’esecuzione dei lavori previsti dalla convenzione con la società RAGIONE_SOCIALE, rilevava che gli scopi del concessionario erano divenuti essenzialmente di tipo lucrativo e pertanto incompatibili con il profilo soggettivo richiesto in sede di gara, come espressamente richiamato all’art. 4 dell’avviso pubblico.
2. -La COGNOME impugnava innanzi al TAR RAGIONE_SOCIALE – Napoli il provvedimento del 14 maggio 2021 e con motivi aggiunti impugnava il successivo decreto del 13 agosto 2021, il quale aveva assorbito e superato expressis verbis il precedente decreto commissariale del 14 maggio 2021.
Con sentenza n. 3477 del 2022, il Tribunale Amministrativo RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE dichiarava improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il ricorso introduttivo e respingeva i motivi aggiunti.
Il TAR, in primo luogo, evidenziava la natura di atto plurimotivato del decreto che aveva disposto la decadenza dalla concessione, il che giustificava l’applicabilità del principio secondo cui «quando un provvedimento amministrativo si fonda su una pluralità di motivazioni autonome (c.d. atto plurimotivato), per giurisprudenza
pacifica è sufficiente a sostenere la legittimità dell’atto stesso la conformità a legge anche di una sola RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte, con la conseguenza che nel giudizio promosso contro un siffatto provvedimento, il giudice, ove ritenga infondate le censure dedotte avverso una RAGIONE_SOCIALE autonome ragioni poste alla base dell’atto impugnato, idonea, di per sé, a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato, ha la potestà di respingere il ricorso su tale base, con declaratoria di assorbimento RAGIONE_SOCIALE censure dedotte contro altro capo del provvedimento, indipendentemente dall’ordine in cui le censure sono articolate dall’interessato nel ricorso, in quanto la conservazione dell’atto (indipendentemente dalla eventuale invalidità di taluna RAGIONE_SOCIALE autonome argomentazioni che lo sorreggono) fa venir meno l’interesse del ricorrente all’esame dei motivi dedotti contro tali ulteriori argomentazioni» (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 3 del 2018).
Ciò posto il TAR, in via prioritaria rispetto all’esame dei motivi, richiamava ancora il principio, consolidato nella giurisprudenza amministrativa, secondo il quale l’affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici -appartenenti al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826 del c.c., e destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento RAGIONE_SOCIALE attività RAGIONE_SOCIALE -costituisce una concessione di servizi e non concessione di beni (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 858 del 2021).
Passando all’esame dei motivi dell’impugnazione, il TAR ricordava che nella fattispecie in esame trovavano applicazione le norme del codice dei contratti pubblici, con il conseguente obbligo d’indizione di procedura a evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori di rifunzionalizzazione del complesso RAGIONE_SOCIALE. Il TAR evidenziava che tale obbligo era stato disatteso dalla RAGIONE_SOCIALE, essendo stato accertato che, attraverso una pluralità di commesse comunque riconducibili alla complessiva opera di rifunzionalizzazione dell’impianto
RAGIONE_SOCIALE, il concessionario aveva affidato alla RAGIONE_SOCIALE, impresa sprovvista RAGIONE_SOCIALE certificazioni SOA, lavori per l’importo di euro 6 milioni «senza alcuna gara e senza neppure l’esperimento di un procedimento ispirato ai meri principi euro unitari».
In aggiunta a questi rilievi, il collegio giudicante riteneva di dover evidenziare ancora che la convenzione prevedeva la decadenza «qualora venisse sciolta la natura giuridica del concessionario o venisse modificato l’atto costitutivo, mutandone i principi a cui oggi è ispirato». In questa prospettiva, il TAR RAGIONE_SOCIALE, dopo aver sottolineato che le RAGIONE_SOCIALE, quale ne sia la forma giuridica, si caratterizzano (tra l’altro) per l’assenza di scopo di lucro, riconosceva che l’operazione di acquisizione della maggioranza assoluta RAGIONE_SOCIALE quote della società da parte di NOME COGNOME, seguita dall’affidamento diretto dei lavori all’impresa del socio di maggioranza, avesse sostanzialmente modificato la natura della concessionaria, per essere la stessa venuta meno ai principi che la connotavano.
3. -Con sentenza n. 3635 del 2023 il Consiglio di Stato respingeva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del TAR RAGIONE_SOCIALE.
Il Consiglio di Stato riconosceva che, tramite la cessione di quote da parte RAGIONE_SOCIALE due persone fisiche (sportivi) che detenevano il pacchetto di maggioranza in favore di una società di costruzioni, si fosse realizzato un mutamento della natura della società, che si era trasformata da società ‘senza fini di lucro’ in società ‘con fini di lucro’. Al fine di suffragare tale affermazione, la sentenza richiamava i passaggi salienti della sentenza di primo grado, laddove, in particolare, si poneva l’accento sul fatto che il medesimo socio di maggioranza era stato poi prescelto -in via diretta e senza gara -al fine di realizzare i lavori di rifunzionalizzazione dell’impianto RAGIONE_SOCIALE e per una cifra pari a sei
milioni di euro, dunque «per svolgere un’attività senz’altro di matrice lucrativa».
Il Consiglio di Stato condivideva e faceva proprie le considerazioni della sentenza di primo grado anche nella parte in cui questa riconosceva: a) che, nella specie, trattandosi di concessione di servizi (gestione di pubblico impianto), la società concessionaria avrebbe dovuto ricorrere, per i suddetti lavori di ristrutturazione, al moRAGIONE_SOCIALE della pubblica gara ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera d), del codice dei contratti; b) che c’era stata nella specie un’artificiosa frammentazione della commessa, testimoniata dal fatto che i singoli ordini rivolti alla RAGIONE_SOCIALE costituivano lavorazioni e prestazioni inscindibilmente connesse tra loro in termini funzionali e organizzativi; c) che la SOA era necessaria in quanto l’importo della commessa risultava complessivamente superiore rispetto alla soglia a tal fine prescritta dal codice dei contratti (150 mila euro).
4. -La RAGIONE_SOCIALE ha agito per la revocazione della sentenza n. 3635 del 2023, denunziando, in primo luogo, l’errore di fatto in cui la sentenza sarebbe incorsa nel ritenere che le quote della società RAGIONE_SOCIALE fossero state cedute da persone fisiche a una società di costruzioni, anziché – come pacificamente avvenuto, in forza di circostanza non contestata – ad altre persone fisiche. Il rilievo di tale errore, nella prospettiva della RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dovuto indurre il Consiglio di Stato ad escludere la causa di decadenza ravvisata con la sentenza revocanda, in quanto incentrata proprio sulla presunta trasformazione della società da società senza scopo di lucro a società lucrativa, tenuto conto che la finalità lucrativa non risultava altrimenti provata.
In relazione a tale censura, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nel caso di specie, non ricorressero gli elementi necessari ai fini della revocazione, in difetto del nesso causale tra l’errore invocato dalla ricorrente e il contenuto della decisione gravata, la cui ratio riposava piuttosto su una valutazione sostanziale e non formale
della ‘natura dei soci’, nell’ottica della verifica del persistente perseguimento ‘in termini anche sostanziali e non soltanto meramente formali’ di finalità non lucrative da parte della società concessionaria.
In secondo luogo, la ricorrente in revocazione aveva denunziato che la sentenza era inficiata da ulteriori errori di fatto, sia per avere qualificato i lavori di rifunzionalizzazione dell’impianto alla stregua di ‘opere pubbliche’, sia in relazione all’affermata necessità che essi dovessero essere affidati a mezzo di procedura ad evidenza pubblica. In particolare, nell’istanza di revocazione, si rimproverava al Consiglio di Stato di avere trascurato che, nella specie, con atto aggiuntivo dell’11 gennaio 2019, erano stati sospesi alcuni obblighi della concessione.
Anche con riguardo a tali ulteriori profili di censura, il Consiglio di Stato, adito in sede di revocazione, ha ritenuto che non ci fossero i presupposti dell’errore revocatorio, per le seguenti ragioni: a) la qualificazione degli interventi quali ‘opere pubbliche’ costituiva un apprezzamento in diritto, svolto nella specie sulla base dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 (e i cui eventuali errori non potrebbero che qualificarsi come errori di giudizio, non già sensopercettivi; b) la decisione assunta dal giudice d’appello in ordine alla necessaria effettuazione della gara non era tratta dall’atto aggiuntivo dell’11 gennaio 2019, ma direttamente dal ‘codice dei contratti’ (e non da specifici elementi della convenzione) e sulla base della sola circostanza che la RAGIONE_SOCIALE fosse la concessionaria dell’impianto; c) a prescindere da ogni altra considerazione, l’atto aggiuntivo si limitava a prevedere all’art. 8 che a far data dalla consegna di tutte le aree oggetto di interventi a cura della regione RAGIONE_SOCIALE e/o dell’ARU sarebbero decorsi tutti gli obblighi e gli oneri del contratto di convenzione del 23.07.2018 a carico di RAGIONE_SOCIALE, ma così facendo non metteva in discussione la natura di concessionaria della RAGIONE_SOCIALE: conseguentemente il supposto
mancato esame dell’atto aggiuntivo non aveva avuto alcuna inferenza causale sulla decisione, basata su (distinti) elementi non incisi da tale contestato omesso esame; d) in ogni caso, l’eventuale errore invocato non avrebbe natura meramente senso-percettiva, ma atterrebbe piuttosto alla complessiva analisi e interpretazione degli accordi inter partes ed enucleazione dei relativi effetti, così sfuggendo al perimetro dell’errore revocatorio di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c.
Quanto all’ultimo profilo di revocazione, dedotto dalla ricorrente, relativo al supposto contrasto di giudicati ai sensi dell’art. 395, n. 5, c.p.c. rispetto alla sentenza del Consiglio di Stato n. 596 del 2017, che avrebbe già sancito la non necessità di gara nei sub affidamenti da parte di NOME, il Consiglio di Stato evidenziava che la suddetta sentenza, come le successive di attuazione della medesima, avevano ad oggetto la (ben diversa) procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dell’impianto. «Stante il diverso oggetto (relativo, peraltro, a tutt’altro segmento rispetto all’affidamento dei lavori qui in rilievo), nessuna RAGIONE_SOCIALE suddette sentenze può valere quale giudicato esterno ai fini della sentenza revocanda, oltretutto in un contesto – qual è quello del giudizio amministrativo – in cui, in generale, il perimetro del giudicato e i relativi effetti vanno individuati sulla base del petitum oggetto della controversia di cognizione (e, dunque, del provvedimento ivi impugnato), e dei vizi in quella sede fatti valere . In tale prospettiva, anche le affermazioni circa il non assoggettamento della procedura per l’affidamento dell’impianto al regime di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 espresse dalla sentenza n. 596 del 2017 non hanno rilevanza rispetto all’oggetto del giudizio qui in rilievo, né riguardano del resto – con effetto di statuizioni formanti giudicato -gli affidamenti, a valle, dei lavori da parte del concessionario».
In forza di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione con sentenza n. 7491 del 2023.
-Contro tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La Regione RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
Proposta dalla Prima Presidente la definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., in ragione della manifesta infondatezza dell’impugnazione per cassazione, la causa, su tempestiva istanza dei ricorrenti, è stata fissata per la decisione in camera di consiglio.
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Il primo motivo denunzia «violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 8, cost., artt. 7, 110, 133, 134 del d. lgs. n. 104/2010, art. 90 della legge n. 289/2002, del libro V del Codice civile e dell’art. 29 RAGIONE_SOCIALE statuto del C.O.N.I. vigente, in relazione al comma 1, n. 1, 3 e 5, dell’art. 360 c.p.c. . Con la sentenza quivi impugnata, pur avendo riconosciuto l’errore di fatto revocatorio denunziato dalla RAGIONE_SOCIALE, il G.A. si è spinto al di là della modifica formale della compagine della ricorrente, ponendo in essere un accertamento formale mai compiuto e che era certamente precluso all’organo amministrativo di controllo, in quanto di competenza esclusiva dell’RAGIONE_SOCIALE, del RAGIONE_SOCIALE. e del RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, le cui valutazioni avrebbero potuto essere contestate innanzi al giudice ordinario, essendo il giudice amministrativo di potere decisorio».
La ricorrente, con il motivo in esame, sostiene ancora che, nella specie, non ci fossero i presupposti per l’applicabilità del codice dei contratti pubblici, non essendo la RAGIONE_SOCIALE riconducibile ad un
organismo di diritto pubblico o ad una stazione appaltante. Inoltre, la stessa COGNOME, in quanto non aveva partecipato ad una gara a base d’asta per l’affidamento dei lavori pubblici, non avrebbe potuto indire un procedimento di evidenza pubblica in mancanza dei requisiti di legge. Si rimprovera ancora al collegio giudicante di non avere considerato che l’atto aggiuntivo dell’11 gennaio 2019 consentiva alla COGNOME di effettuare i lavori di rifunzionalizzazione dell’impianto al di fuori del perimetro degli obblighi della concessione. Si richiama a questo riguardo, la sentenza del Consiglio di Stato n. 596/2017, passata in giudicato, che avrebbe eliminato l’obbligo per l’aggiudicatario oggi ricorrente di assoggettare il suo progetto alla ‘ibrida’ procedura per l’affidamento dei lavori di cui alla procedura prevista dalla Legge n. 147/2013.
Il secondo motivo denunzia «violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 8, cost. in relazione al comma 1, n. 1 dell’art. 360 c.p.c., e, segnatamente, difetto relativo di giurisdizione».
Si sostiene che la controversia riguardasse oramai la fase esecutiva del rapporto contrattuale, intercorso con la P.A. I giudici amministrativi, pertanto, avrebbero dovuto rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario. La ricorrente precisa che il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione è ammissibile, sebbene i ricorrenti avessero essi stessi proposto il ricorso introduttivo innanzi al T.A.R. In particolare, secondo la ricorrente, l’ammissibilità del motivo si giustificherebbe perché, per la prima volta, la sentenza impugnata avrebbe affrontato questioni al di fuori del perimetro segnato dal provvedimento impugnato e dalla sentenza del T.A.R. RAGIONE_SOCIALE – Napoli.
2. -Il ricorso è inammissibile. Secondo un principio, consolidato nella giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ha pronunciato sull’impugnazione per revocazione, può insorgere
questione di giurisdizione soltanto con riguardo al potere giurisdizionale esercitato mediante la statuizione adottata sulla revocazione stessa. Ciò significa che, qualora la decisione si sia esaurita nella valutazione RAGIONE_SOCIALE condizioni di ammissibilità dell’istanza di revocazione da parte del Consiglio di Stato, deve escludersi già in linea di principio l’ammissibilità del ricorso per cassazione, giacché con esso non potrebbe venire in discussione la sussistenza o meno del potere giurisdizionale di operare detta valutazione, e dunque una violazione di quei limiti esterni alla giurisdizione del Giudice amministrativo rispetto alla quale soltanto è ammesso il ricorso in sede di legittimità (cfr. Cass., S.U., n. 23101 del 2019; Cass., S.U., n. 28214 del 2019; Cass., S.U., n. 9150 del 2008).
Tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, trova certamente applicazione nel coso in esame, tenuto conto che l’eccesso di potere giurisdizionale denunziato con i motivi di ricorso riguarda la decisione impugnata solo in apparenza, in via mediata e indiretta. Si vuole in altre parole rimarcare che il supposto eccesso di potere è pur sempre identificato in quello commesso dal giudice della sentenza di cui si chiedeva la revocazione, al quale il Consiglio di Stato avrebbe dovuto porre rimedio accogliendo l’istanza di revocazione. Il Consiglio di Stato è stato invece di contrario avviso; esso ha escluso in primo luogo la decisività dell’errore di fatto relativo alla identificazione del soggetto cessionario RAGIONE_SOCIALE quote; ha poi proseguito l’analisi chiarendo che gli altri profili di censura riguardavano, in ipotesi, errori di giudizio e non di fatto; ha infine escluso, con ampia e chiara argomentazione, anche la configurabilità della contraddittorietà della decisione rispetto al precedente giudicato. Occorre tenere nella debita considerazione che non è impugnata una sentenza del Consiglio di Stato resa come giudice ultimo della giurisdizione amministrativa, sempre sindacabile seppur entro i
ristretti limiti posti dall’art. 362 c.p.c., ma una pronuncia resa dal Consiglio di Stato in sede di impugnazione per revocazione, in cui, all’esito della preliminare fase rescindente, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile la stessa impugnazione. Quindi, già c’è stata la decisione del Consiglio di Stato come giudice di ultima istanza della giurisdizione amministrativa, e c’è anche stata la decisione del Consiglio di Stato come giudice della revocazione, definita con una valutazione preliminare di inammissibilità della impugnazione proposta. In questa tipologia di situazioni, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con il ricorso per cassazione, potrebbe essersi verificato solo nell’ambito dell’esercizio del potere giurisdizionale esplicato con la statuizione avente ad oggetto la configurabilità o meno dell’ipotesi denunciata di revocazione. Consegue da tali principi che, qualora, come è avvenuto certamente nel caso in esame, la decisione del Consiglio di Stato si sia fermata a valutare le condizioni di ammissibilità della istanza di revocazione (escludendole, a conclusione della fase rescindente), non è neppure astrattamente prospettabile la possibilità che il giudice sia incorso nella violazione dei limiti esterni della giurisdizione, rispetto ai quali soltanto è ammesso il ricorso in sede di legittimità, proprio per l’oggetto circoscritto del giudizio rescindente, nel corso del quale il giudice incaricato è tenuto a valutare, preliminarmente, se l’ipotesi revocatoria denunciata è rientrante nella categoria tassative RAGIONE_SOCIALE ipotesi descritte dall’art. 395 c.p.c.
Trattandosi di un giudizio sul giudizio, anche laddove fosse ipotizzabile una violazione di legge, essa ricadrebbe sull’applicazione di quella regola del processo, e quindi si collocherebbe comunque fuori dai limiti di una censura attinente all’esercizio della giurisdizione.
3. -Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
L’art. 380 -bis, comma terzo, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, infatti, un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., S.U., n. 27195/2023; Cass., S.U., n. 28540/2023). La ricorrente, dunque, va, altresì, condannata al pagamento della somma, equitativamente determinata, di euro 5.000,00 in favore di ciascuno RAGIONE_SOCIALE controricorrenti e di una ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ammende.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale RAGIONE_SOCIALE Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna RAGIONE_SOCIALE controricorrenti, in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; condanna , altresì, la ricorrente al pagamento della somma di euro 5.000,00 in favore di ciascuna RAGIONE_SOCIALE parti controricorrenti e al pagamento dell’ulteriore importo di euro 2.500,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ammende; ai sensi
dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite