Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32529 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32529 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22954-2021 proposto da:
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 86/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 01/03/2021 R.G.N. 376/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
Lavoro – trasferimento determinazione ferie e orario
R.G.N. 22954/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
CC
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 1° marzo 2021, ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME e ha parzialmente accolto l’appello incidentale presentato da RAGIONE_SOCIALE respingendo l’appello principale della lavoratrice contro la sentenza di primo grado, in sostanza confermando la legittimità delle decisioni assunte dal datore di lavoro, sia in merito al trasferimento che alla gestione delle ferie e dell’orario lavorativo.
Il Tribunale aveva condannato la società datrice di lavoro al pagamento in favore della ricorrente di una somma di € 106,60 mensili, liquidata in via equitativa, quale risarcimento per la maggiore onerosità della prestazione lavorativa dovuta alla mancanza di clausole di flessibilità nella trasformazione consensuale del contratto part-time, che prevedeva la riduzione dell’orario settimanale da 30 a 24 ore a partire dal 1° dicembre 2017. Le altre domande della lavoratrice erano state rigettate, tra cui:
l’impugnazione del trasferimento dal supermercato RAGIONE_SOCIALE di Sarre a quello di Chatillon, disposto con lettera del 1° ottobre 2018 e integrato con lettera del 26 ottobre 2018, per presunta illegittimità;
-l’impugnazione dell’assegnazione delle ferie e delle modalità di determinazione dell’orario lavorativo settimanale;
la domanda di risarcimento per il presunto danno morale subito a causa di una condotta vessatoria da parte della società datrice di lavoro, a partire da maggio 2017.
La Corte d’Appello ha ritenuto legittimo il trasferimento della lavoratrice, motivato dalla effettiva esistenza di esigenze organizzative, collegate peraltro anche a segnalazioni della stessa lavoratrice, in precedenza assegnata al reparto fresco del supermercato di Sarre, che si era lamentata del freddo eccessivo. Pertanto, la società aveva deciso di trasferirla al
reparto secco del supermercato di Chatillon, dove era necessario sostituire un dipendente part-time assente per infortunio.
Anche l’assegnazione delle ferie è stata considerata legittima. Il sistema prevedeva che i dipendenti potessero scegliere un periodo di due settimane consecutive in estate, mentre per il resto, il periodo di ferie veniva stabilito d’ufficio dal datore d i lavoro, con comunicazione dei giorni con un preavviso ritenuto congruo.
In merito alla determinazione dell’orario di lavoro, la Corte ha confermato che la riduzione dell’orario part-time settimanale da 30 a 24 ore, avvenuta consensualmente il 1° dicembre 2017, aveva determinato una novazione parziale del contratto, senza tuttavia incidere sulle clausole di flessibilità precedentemente pattuite, che sono rimaste in vigore.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso NOME con quattro motivi, cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE e memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’assenza di una reale giustificazione tecnico-organizzativa al trasferimento della lavoratrice. La Corte d’Appello, limitandosi a un controllo formale delle motivazioni addotte dall’azienda, avrebbe omesso di considerare alcuni aspetti rilevanti come la tempistica incoerente ( il lavoratore sostituito era stato licenziato otto mesi prima del trasferimento), le contraddizioni documentali (la lettera di trasferimento richiamerebbe inesistenti accordi
verbali, secondo la ricorrente poi smentiti dalle prove) e non avrebbe considerato l’assenza di prova circa la necessità organizzativa; inoltre il trasferimento si sarebbe accompagnato ad una serie di provvedimenti unilaterali e penalizzanti sottovalutati dai giudici di merito.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 2103 c.c. e al CCNL Commercio che prevedono la fungibilità delle mansioni.
La Corte avrebbe perpetuato l’errore del giudice di primo grado relativamente alla necessità di coprire un posto nel reparto “secco” del supermercato di Chatillon, in assenza di riscontro probatorio (le deposizioni testimoniali dimostrerebbero che le mansioni interscambiabili riguardano unicamente la cassa e la corsia) ed in contrasto con l’art. 2103 c.c., che prevede che la fungibilità sia limitata alle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria contrattuale.
C on il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 36 Cost., dell’art. 2109 c.c. e degli artt. 147-148 del CCNL Commercio, i quali regolamentano il diritto al riposo e alle ferie del lavoratore.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto legittima la prassi aziendale di comunicare il periodo di ferie con un preavviso di 72 ore per due settimane, discostandosi dal CCNL, che prevede il frazionamento in massimo due periodi mediante programmazio ne, e dall’art. 2109 c.c., che impone una preventiva comunicazione dei periodi di ferie, compromettendo il diritto del lavoratore a pianificare il proprio riposo in modo coerente con le esigenze familiari e sociali e ostacolando il recupero delle energie psico-fisiche.
La Corte, considerando legittima tale prassi, avrebbe trascurato il consolidato principio secondo cui il potere discrezionale del datore di lavoro nella fissazione delle ferie non è arbitrario, ma deve rispettare l’equilibrio tra esigenze organizzative azi endali e diritti del lavoratore (Cass. S.U. n. 1947/1998).
Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 4, 5, 6 e 10 del D.Lgs. 81/2015 e degli artt. 72 e 85 del CCNL Commercio inerenti al rapporto di lavoro a tempo parziale.
La modifica del rapporto lavorativo, intervenuta con la riduzione dell’orario settimanale a 24 ore, comporterebbe una novazione oggettiva dell’accordo iniziale e richiederebbe l’applicazione delle previsioni normative dettate dall’art. 5 del D.Lgs. 81/2015, che impone una puntuale indicazione della durata e della collocazione temporale dell’orario, e dall’art. 6 dello stesso decreto, che regolamenta le clausole elastiche, prevedendone la necessaria pattuizione scritta e specificamente motivata. Inoltre, tali modifiche contrattuali dovrebbero essere giustificate in modo circoscritto, come richiesto dall’art. 85 del CCNL Commercio, che disciplina espressamente la materia.
La Corte avrebbe erroneamente qualificato la modifica contrattuale come una semplice trasformazione consensuale del contratto part-time, senza considerare che tale variazione sostituirebbe il precedente accordo e richiederebbe l’esplicita rinnovazione delle pattuizioni precedenti. Non avrebbe inoltre rilevato che la mancanza di clausole elastiche formalmente valide comporterebbe la nullità delle variazioni imposte unilateralmente dal datore di lavoro.
Si evidenzia, inoltre, che l’indennità forfettaria riconosciuta dall’azienda per la flessibilità oraria, pari a soli 120 euro annui, risulterebbe in contrasto con quanto previsto dall’art. 6, comma
6, del D.Lgs. 81/2015, che stabilisce una maggiorazione minima del 15% della retribuzione oraria. Anche tale profilo avrebbe dovuto essere correttamente considerato dalla Corte, che invece avrebbe avallato la legittimità di una prassi contraria alla legge e alle disposizioni contrattuali applicabili.
Il ricorso è inammissibile.
9.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, identificato nell’irragionevolezza della giustificazione aziendale posta a base del trasferimento della lavoratrice. Tuttavia deduc e il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
9.2.Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1203 c.c. e del CCNL Commercio, contestando la fungibilità delle mansioni riconducibili allo stesso livello contrattuale e la presunta necessità di coprire un posto vacante nel reparto “secco” del supermercato di Chatillon. Tuttavia, il ricorso non specifica quali norme del CCNL sarebbero state violate, e non configura la specifica violazione dell’art. 2103 c.c., risultando il motivo viziato da genericità, in quanto non espone in maniera adeguata le argomentazioni giuridiche a sostegno della cassazione della sentenza, come richiesto dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. (Cass. 18202/08; Cass. 18421/09; Cass. 19959/14; Cass. 1845/19), sollecitando una rivisitazione nel merito, che non è
ammissibile in sede di legittimità (Cass. 10320/18; Cass. 23851/19) senza confrontarsi con la ratio decidendi della Corte d’Appello
9.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente lamenta la violazione degli artt. 36 Cost., 2109 c.c., e 147-148 del CCNL Commercio, contestando la legittimità del preavviso di 72 ore per la comunicazione delle ferie. Tuttavia, la Corte di appello, con adeguata motivazione, ha correttamente ritenuto che la determinazione del periodo feriale rientri nel potere organizzativo del datore di lavoro, il quale deve conciliare le esigenze aziendali con le richieste dei lavoratori, ma non è vincolato a soddisfare queste ultime (Cass. 18166/13). Inoltre, la Corte ha accertato che la prassi aziendale prevedeva la comunicazione delle ferie con 72 ore di preavviso per il secondo periodo feriale, che è stato ritenuto congruo, anche in assenza di una specifica previsione normativa che imponga tempi più lunghi. Anche il motivo in esame, peraltro, è viziato da genericità (Cass. 18202/08; Cass. 18421/09; Cass. 19959/14; Cass. 1845/19), sollecitando una rivisitazione delle risultanze di merito inammissibile in questa sede (Cass. 24977/22).
9.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente denuncia la violazione degli artt. 4, 5, 6 e 10 del D.Lgs. 81/2015 e degli artt. 72 e 85 del CCNL Commercio, contestando l’interpretazione data dalla Corte alla riduzione dell’orario di lavoro da 30 a 24 ore settimanali, ritenendo che tale riduzione costituisca una novazione del rapporto. Tuttavia, anche questo motivo è generico (Cass. 18202/08; Cass. 18421/09; Cass. 19959/14; Cass. 1845/19), perché non confuta la decisione della Corte d’Appell o, che ha correttamente qualificato la riduzione come una novazione oggettiva del rapporto obbligatorio. La giurisprudenza (Cass. 5665/10; Cass. 27390/18) stabilisce che la novazione richiede un mutamento
dell’oggetto o del titolo della prestazione, accompagnato dall’animus novandi e dalla causa novandi, elementi accertati dal giudice di merito e non censurabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, come nel caso di specie.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2024