Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12344 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12344 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11333/2023 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in MESSINA, INDIRIZZO. V, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in BRESCIA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI MESSINA n. 247/2023, depositata il 21/03/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano innanzi al Tribunale di Barcellona Porto di Gotto -Sez. distaccata di Lipari, NOME COGNOME esponendo di essere rispettivamente proprietari (NOME COGNOME e NOME COGNOME) ed usufruttuario (NOME COGNOME) di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Lipari, isola di Filicudi, per averlo acquistato da NOME COGNOME.
Deducevano che il convenuto, proprietario di un fabbricato con annessa corte limitrofo al fondo di loro la proprietà, ampliando il proprio immobile (realizzando una tettoia sull’esistente veranda, adibendo una parte del terreno di proprietà De COGNOME a piazzale per la manovra/sosta di automobili e innalzando una baracca precaria ad uso deposito) aveva invaso un tratto del loro terreno, impedendo altresì l’accesso alla restante parte di fondo degli attori.
Chiedevano, quindi, la rimozione delle opere realizzate illegittimamente, la riduzione in pristino dell’originario stato dei luoghi ed il risarcimento dei danni subìti.
Costituitosi, NOME COGNOME chiedeva in via riconvenzionale di essere dichiarato proprietario per intervenuta usucapione della parte di fondo oggetto di causa.
In corso di giudizio, i COGNOME instauravano giudizio cautelare contro Bonica innanzi al medesimo Tribunale per denuncia di nuova opera (un muretto di recinzione ed una buca), conclusosi con la dichiarazione di decadenza dall’azione dei ricorrenti in merito alle opere edili realizzate dal resistente nel 201 1, nonché con l’ordine di sospensione dei lavori di realizzazione della buca e la messa in sicurezza.
Il Tribunale adìto, all’esito dell’istruzione probatoria svolta nel giudizio di merito, con sentenza n. 1292 del 2019 accoglieva
parzialmente la domanda attorea e, per l’effetto, ordinava al convenuto lo sgombero del predetto terreno e la riduzione in pristino stato del medesimo; rigettava le altre domande attoree e la domanda riconvenzionale di NOME COGNOME
Quest’ultimo impugnava la pronuncia innanzi alla Corte d’Appello di Messina, che rigettava integralmente il gravame così argomentando:
l’uso della porzione di terreno come parcheggio e spazio di manovra, nonché la realizzazione della tettoia e della baracca, non può essere considerato come possesso utile ad usucapionem: onde provare il possesso pacifico e ininterrotto ai fini dell’usucapione, è necessario dimostrare di averlo utilizzato proprio come proprietario, per esempio, delimitando l’area in questione con sbarramenti, catene, cancelli o altre opere di perimetrazione o recinzione idonee ad impedire l’uso al proprietario del fondo;
-l’incertezza sulla data di realizzazione della tettoia e della baracca non consente di ritenere provata la permanenza della situazione possessoria per venti anni, atteso anche il riconoscimento della proprietà altrui da parte dello stesso COGNOME che aveva richiesto ai COGNOME di poter acquistare mediante permuta quanto da lui già occupato.
La pronuncia in epigrafe è impugnata per la cassazione da NOME COGNOME e il ricorso affidato a tre motivi.
Resistono NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando controricorso illustrato da memoria.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis, comma 2, cod. proc. civ.
E’ utile precisare che, alla luce della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione in qualità di componente del Collegio che
definisce il giudizio del Consigliere Delegato proponente, ex art. 380bis cod. proc. civ., non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve rilevarsi che tutti i motivi del ricorso contengono anche il riferimento al n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. che, anche nella formulazione vigente, considera inammissibile la sua applicazione nell’ipotesi di «doppia conforme» (comma 4), come nel caso di specie.
Né il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5), cod. proc. civ. per difetto di specificità, ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex plurimis : Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Sez. L, 06.08.2019, n. 20994).
Tanto premesso, con il primo motivo si deduce violazione e mancata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In particolare, evidenzia che i giudici di merito lo hanno condannato al rilascio del fondo posseduto illegittimamente pur in assenza di una domanda a riguardo, avendo gli attori chiesto la demolizione dei manufatti, il ripristino dell’acces so al residuo terreno e la condanna al risarcimento dei danni.
2.1. Il motivo è infondato.
La censura non considera che nella domanda di rimozione delle opere eseguite con invasione del terreno altrui è implicitamente
contenuta anche la richiesta di rilascio dell’area occupata, posto che lo sconfinamento costituisce il comune presupposto di ambedue le statuizioni (rimozione e rilascio), non potendosi, peraltro, giustificare una ipotetica pronuncia di rimozione non correlata ad un ordine di rilascio del suolo abusivamente occupato.
2.2. L a censura attinge l’interpretazione della domanda fatta propria dalla Corte distrettuale, onde va ribadito, al riguardo, che «L’interpretazione della domanda deve essere diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria». (Sez. U, n. 3041 del 13/02/2007, Rv. 594291).
Tale operazione ermeneutica è riservata al giudice di merito ed è sindacabile in Cassazione soltanto: « … a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum , potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando , in base all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.,
o al vizio di error facti , nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.» (Sez. 3, n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078).
Tutte ipotesi non rilevabili nel caso che ci occupa.
3. Con il secondo motivo si deduce violazione e mancata applicazione dell’art. 115 e dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – Errore di fatto sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 5) cod. proc. civ. Il ricorso evidenzia: l’errata interpretazione delle risultanze della CTU da parte della Corte di Appello, in particolare in ordine alla distinzione tra detenzione e possesso; l’errata lettura delle dichiarazioni della sorella del l’odierno ricorrente , che avrebbe riferito problemi insorti tra quest’ultimo e la proprietaria delle particelle occupate, dando così conto dell’avvenuta interversione del possesso, ritenuta necessaria ai fini del compimento dell’usucapione; l’errata valutazione delle altre testimonianze, ritenute dalla Corte d’Appello irrilevanti ai fini dell’accertamento della domanda di usucapione, quando invece tutti i testi avevano confermato che COGNOME possedeva i beni oggetto di causa dal 1972; l’errata affermazione riguardo l’incertezza dell a data dalla quale far decorrere il tempo dell’usucapione, risultante invece dalle relazione del CTU e dalle rappresentazioni fotografiche dei luoghi in essa contenute; l’infondatezza della domanda degli attori, posto che il loro fondo godeva di diversi accessi alla via pubblica. Infine, il ricorrente si duole della violazione, da parte della Corte di Appello, dell’art. 2697 cod. civ. per aver ritenuto non provate circostanze che invece erano provate documentalmente e per testimoni; nonché per la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per aver ritenuto contestate circostanze che invece le controparti avevano ammesso
esplicitamente e per iscritto. Il Tribunale, come La Corte d’Appello, avevano percepito in modo del tutto errato le prove espletate, ed avevano elaborato contenuti informativi non riconducibili in alcun modo alle fonti di prova espletate, decisive per il giudizio posto che la domanda di usucapione si fondava solo sulla prova per testi e sui documenti allegati.
3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto contesta la statuizione con la quale il giudice di merito ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’usucapione delle porzioni di terreno occupate.
La parte ricorrente passa nuovamente in rassegna le dichiarazioni dei testi, contrapponendo, alla ricostruzione delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio volta a dimostrare essenzialmente la certezza della data di inizio della situazione possessoria, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019; Sez. U, n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
3.2. Quanto all’asserito travisamento della prova , nel caso che ci occupa tale ipotesi non ricorre: i fatti (processuali e sostanziali) discussi nel procedimento sono i medesimi esaminati dal giudice (prove testimoniali, particelle di terreno e modalità di occupazione). Quella che propone il ricorrente, dunque, altro non è se non la revisione della portata valutativa, non percettiva, sulla quale si è formato il convincimento del giudice, come tale inammissibile per le ragioni sopra ricordate.
Con il terzo motivo si deduce violazione e mancata applicazione degli artt. 1141, 1158 e 2697 cod. civ. – Violazione e mancata
applicazione dell’art. 115 e dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – Errore di fatto sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 5) cod. proc. civ. Il ricorrente si duole della infondatezza e della illogicità del ragionamento della Corte territoriale. In particolare, la Corte avrebbe erroneamente rigettato la richiesta del l’allora appellante per mancanza di prova del possesso utile a dimostrare l’usucapione, per la mancata sussistenza del corpus possessionis e dell’ animus possidendi che, di contro, appaiono dimostrati dalla costruzione di un deposito, di un cortile, di un patio e di un parcheggio, mentre l’ animus possidendi deve presumersi dalla presenza del corpus possessionis. A giudizio del ricorrente, pertanto, la motivazione contiene argomentazioni insufficienti, illogiche e contraddittorie.
4.1. Anche il terzo motivo è inammissibile, poiché contrappone la propria interpretazione del compendio probatorio a quella cui è pervenuta la Corte territoriale.
Come correttamente precisato dal giudice d’appello , questa Corte ha avuto modo di affermare il principio per cui ai fini del possesso ad usucapionem occorrono comportamenti che siano chiara espressione di un’attività materiale incompatibile con l’altrui diritto di proprietà, dovendo avere la relativa esteriorizzazione la valenza inequivoca di una signoria di fatto sul bene idonea a precludere la potestà dominicale del proprietario (Sez. 2, n. 10894 del 08/05/2013, Rv. 625982 -01; Sez. 2, n. 25498 del 02/12/2014, Rv. 633678 – 01). Tale orientamento è completato dalla sussistenza dell’ animus possidendi , necessario all’acquisto della proprietà per usucapione: esso non consiste nella convinzione di essere proprietario, ma nell’intenzione di comportarsi come tale,
esercitando corrispondenti facoltà ( ex multis : Sez. 2, n. 9671 del 06/05/2014, Rv. 630427 -01; Cass. n. 21470/2012).
In applicazione dei suddetti principi, i comportamenti tenuti dal Bonica e riaffermati in ricorso (soggetto, possesso e tempo) non sono stati ritenuti sufficienti dalla Corte territoriale ai fini del possesso ad usucapionem , mancando – ad insindacabile giudizio del giudice del merito l’impedimento all’uso del proprietario.
Inoltre, anche sull’elemento «tempo» la Corte territoriale nutre incertezze: dopo aver ripercorso analiticamente i contenuti delle testimonianze (richiamate nell’atto di appello), giunge alla conclusione che l’incertezza sulla data di realizzazione della tettoia e della baracca non consente di ritenere provata la permanenza della situazione possessoria per venti anni (v. sentenza, pp. 13-14).
4 .2. Né ha pregio l’argomento per cui la sentenza impugnata difetti di motivazione, ovvero che quest’ultima sia resa in modo insufficiente, illogico e contraddittorio.
Innanzitutto, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (per tutte: Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Sez. 3, n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01; Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Sez. 6 -1, n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Sez. 6 – 5, n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Sez. U, n. 16599 del 2016).
La pronuncia impugnata riporta con chiarezza l’orientamento di questa Corte sopra richiamato in tema di possesso ad usucapionem (v. sentenza p. 11, ultimo capoverso; p. 12, 1° par.), facendone applicazione al caso di specie con argomentazione scevra da illogicità e incongruenze.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre,
condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in €. 2.500,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di € . 2.500,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. – al pagamento della somma di € . 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME