Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2079 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2079 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17211/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , domiciliato in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5855/2017 de lla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 22.12.2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’attuale controricorrente, dipendente del Consiglio RAGIONE_SOCIALE Lazio, si rivolse al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento del proprio diritto alla conservazione della posizione organizzativa che gli era stata revocata (con il relativo trattamento economico) in occasione di un temporaneo co mando a svolgere l’attività lavorativa presso RAGIONE_SOCIALE
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale rigettò le domande del lavoratore, che propose appello davanti alla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE. Questa, in accoglimento dell’impugnazione , riformò la sentenza di primo grado, accertando l’illegittimità della revoca della posizione organizzativa e il diritto del lavoratore «alla corresponsione RAGIONE_SOCIALE relative somme a decorrere dal giorno 16.9.2013 sino alla scadenza dell’incarico biennale, oltre agli accessori di legge».
Contro la sentenza della Corte territoriale la Regione Lazio ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il lavoratore si è difeso con controricorso. La causa è trattata in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione della norma di cui all ‘art. 9 dell’Accordo di Concertazione del 23.2.2010».
Si contesta alla Corte d’Appello di essersi attenuta a una interpretazione meramente letterale del citato art. 9 dell’Accordo di Concertazione «relativo ai criteri per l’attribuzione al RAGIONE_SOCIALE del Consiglio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE posizioni organizzative e di alta professionalità», il quale così dispone: «Le posizioni organizzative e di alta professionalità sono
collegate alle funzioni e alle strutture presso le quali sono istituite e pertanto i dipendenti incaricati, in caso di trasferimento ad altra struttura, ne perdono automaticamente l’attribuzione e la relativa retribuzione , pur conservando, a parità di requisiti, un diritto di precedenza nell’assegnazione di nuovi incarichi e fatto salvo il caso che siano contestualmente trasferite anche le funzioni senza alcuna variazione se non quella della denominazione della nuova struttura».
La Corte d’Appello ha interpretato la disposizione nel senso che per «trasferimento ad altra struttura», che determina la perdita automatica della posizione organizzativa, debba intendersi un trasferimento definitivo e non un temporaneo comando, come quello che ha interessato l’attuale controricorrente.
Il secondo motivo censura la «violazione della norma di cui all’art. 185 del Regolamento di organizzazione del Consiglio RAGIONE_SOCIALE, approvato con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del 29.1.2003».
La ricorrente osserva che tale articolo del Regolamento di organizzazione del Consiglio RAGIONE_SOCIALE prevede, per il dipendente collocato in posizione di comando, il «diritto alla conversazione del posto, agli aumenti economici previsti dalla RAGIONE_SOCIALE, alla partecipazione alle selezioni per il passaggio alla categoria superiore» (comma 10), senza menzionare il diritto alla conservazione della posizione organizzativa, mentre al rientro dal comando non viene garantita nemmeno la ricollocazione presso la medesima struttura cui il lavoratore era in precedenza assegnato (comma 12).
I due motivi sono inammissibili, perché denunciano entrambi la violazione di disposizioni che non possono essere considerate «norme di diritto» ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e dell’art. 63, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001.
3.1. L ‘ «Accordo di Concertazione relativo ai criteri per l’attribuzione al RAGIONE_SOCIALE del Consiglio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE posizioni organizzative e di altra professionalità», stipulato il 23.2.2010 tra il Presidente del Consiglio RAGIONE_SOCIALE del Lazio e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, non è inquadrabile nei «contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro», perché non ha un ambito di efficacia nazionale, ma soltanto RAGIONE_SOCIALE.
Questa Corte ha già più volte affermato che « la norma, di cui all’art. 63, comma 5, d.lgs, n. 165/2001, là dove prevede, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze RAGIONE_SOCIALE pubbliche amministrazioni, che il ricorso per cassazione possa essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 40, è di stretta interpretazione … e, pertanto, non trova applicazione ai contratti collettivi regionali » (Cass. n. 7671/2016; conf., fra le altre, Cass. 16876/2006).
L’interpretazione di tali contratti collettivi di rilevanza locale può essere veicolata in un ricorso per cassazione solo denunciando la violazione, da parte del giudice del merito, dei canoni legali posti dagli artt. 1362 e ss. c.c. e, quindi, non la scelta di una tra più interpretazioni possibili della disposizione contrattuale, ma solo la scelta di un’interpretazione incompatibile con l’uso corretto di quei canoni.
In effetti, nell’illustrazione del motivo, la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello si s ia «limitata ad interpretare la norma solo in senso letterale, trascurando del tutto di indagare la volontà RAGIONE_SOCIALE parti, così violando l’art. 1362 c.c.». Ma poi non spiega perché l’interpretazione letterale preferita dal giudice del merito sarebbe fallace rispetto all’obiettivo di indagare la «comune intenzione RAGIONE_SOCIALE parti», né quali siano i diversi canoni legali che in concreto assuma violati (v. , ex multis , Cass. nn. 9461/2021, 28319/2017, 25728/2013, 15798/2005).
3.2. Per quanto riguarda, poi, l’asserita «violazione dell’art. 185 del Regolamento di organizzazione del Consiglio RAGIONE_SOCIALE», deve essere ribadito che le disposizioni dei regolamenti interni e degli statuti degli enti pubblici non hanno valore normativo, sicché anche la loro violazione è denunciabile in sede di legittimità -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – soltanto per violazione o falsa applicazione dei criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dei contratti ed estensibili all’interpretazione di tutti gli atti giuridici privi del rango di «norme di diritto» (Cass. nn. 27456/2017; 12202/2020; 40408/2021; 29620/2023, 30682/2023).
Ebbene, la ricorrente denuncia la violazione del regolamento del consiglio RAGIONE_SOCIALE senza prospettare in alcun modo la violazione dei canoni legali di interpretazione da parte della Corte territoriale.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali al 15% dei compensi e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, il 7.11.2023.