Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11353 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11353 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17356-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 348/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/01/2020 R.G.N. 426/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto
Incarichi di posizione organizzativa
R.G.N.17356/2020
COGNOME
Rep.
Ud.08/01/2025
CC
Con ricorso in riassunzione dinanzi al Tribunale di Belluno a seguito di sentenza della Corte d’appello che aveva affermato la giurisdizione del giudice ordinario, negata dal primo giudice, COGNOME chiedeva l’accertamento del diritto alla posizione organizzativa dal 2/8/07 al 31/10/07, con riconoscimento a percepire le differenze retributive maturate, nonché la indennità di posizione.
Il Tribunale di Belluno rigettava la domanda rilevando l’insussistenza del diritto al conferimento dell’incarico di posizione organizzativa, l’inesistenza della domanda per l’eventuale accertamento del diritto all’indizione di una procedura selettiva, l’in ammissibilità della domanda di accertamento del diritto alle differenze retributive in quanto non oggetto di rimessione al giudice di primo grado.
Con sentenza di appello le domande del signor COGNOME venivano integralmente respinte con conferma della insussistenza del diritto al conferimento dell’incarico di P.O..
La Corte distrettuale, viceversa, accoglieva l’appello incidentale del Comune riformando la sentenza di primo grado in ordine alla compensazione delle spese, disponendo la condanna del Roncen alle spese di primo e secondo grado di giudizio.
In ordine alla domanda volta a far accertare l’illegittimità del decreto sindacale n. 9/2007 con il quale il neoeletto sindaco, da un lato, non avrebbe rinnovato la preesistente P.O. e, dall’altro , non avrebbe riconosciuto al Roncen alcun diritto alla P.O. stessa, la Corte distrettuale confermava le motivazioni rese in primo grado. Al riguardo, rilevava che nel sistema delineato dalla contrattazione collettiva i dipendenti non hanno alcun diritto ad essere preposti ad una posizione organizzativa, neanche qualora la abbiano già ricoperta in virtù di precedente incarico, avendo diritto a che il datore di lavoro eserciti il potere di istituire e conferire le P.O. nelle forme e con i limiti previsti dal contratto e nel rispetto dei principi generali di buona fede e correttezza.
In particolare, ad avviso della Corte alla cessazione dell’incarico non sussiste alcun diritto del dipendente al conferimento che corrisponde sempre ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione volta a contemperare le esigenze di efficienza, econo micità ed organizzazione interna degli uffici nel rispetto delle procedure stabilite dalla legge.
La violazione di tali procedure potrebbe comportare soltanto l’obbligo datoriale di rinnovare, se ancora possibile, la scelta eliminando l’atto non conforme a legge o contratto oppure a risarcire il dipendente per la perdita della chance di essere scelto.
La Corte, al riguardo, rilevava come tale domanda non fosse stata introdotta e l’atto amministrativo contestato non era assimilabile ad una indizione da parte della amministrazione di una procedura di selezione, non avendo conferito o rinnovato alcuna P.O., ma essendosi limitato a prorogare in via provvisoria e per un breve arco temporale le posizioni già esistenti per alcuni settori e conferendo temporaneamente le funzioni residue al Segretario Generale in attesa dell’imminente riorganizzazione.
Il signor COGNOME proponeva ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria, cui il Comune resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 9 CCNL 31/3/1999 del comparto autonomie locali e art 11 CCNL Regioni-autonomie locali.
L’art. 9 CCNL 31/3/1999 prevede che ‘…gli incarichi relativi all’area delle posizioni organizzative sono conferiti dai dirigenti per un periodo massimo non superiore a 5 anni, previa determinazione di criteri generali da parte degli enti con atto scritto e motivato e possono essere rinnovati con le medesime formalità’. Il comma successivo precisa che ‘per il conferimento degli incarichi gli enti tengono conto rispetto alle funzioni ed attività da svolgere della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisiti dal personale della categoria D’.
Anche il CCNL Comparto del personale delle Regioni e delle autonomie locali mette in rilevo la valorizzazione delle professionalità delle aree D per il conferimento degli incarichi a termine.
In altri termini, il conferimento degli incarichi deve essere assistito da una motivazione e procedimentalizzazione che tenga conto della scelta operata, laddove il provvedimento
sindacale di conferimento degli incarichi in sede di proroga dei medesimi non è stato minimamente motivato, soprattutto in un’ottica comparativa.
Il motivo è infondato.
Su una questione analoga si è pronunciata questa Corte con sentenza n. 14472/2015 che il Collegio condivide.
L’allegato al CCNL 1998-2001 – Comparto del personale delle regioni e delle autonomie locali, CCNL per la revisione del sistema di classificazione del personale, prevede, per quanto qui rileva, che: “Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: (…) b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o all’iscrizione ad albi professionali;
(…)” (art. 8, comma 1);
“Tali posizioni (…) possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto d’un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9” (art. 8, comma 2);
“Gli incarichi relativi all’area delle posizioni organizzative sono conferiti dai dirigenti per un periodo massimo non superiore a 5 anni, previa determinazione di criteri generali da parte degli enti, con atto scritto e motivato e possono essere rinnovati con le medesime formalità” (art. 9, comma 1);
“Per il conferimento degli incarichi gli enti tengono conto – rispetto alle funzioni e attività da svolgere – della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisiti dal personale della categoria D” (art. 9, comma 2);
“Gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di specifico accertamento di risultati negativi (art. 9, comma 3);
“La revoca dell’incarico comporta la perdita della retribuzione di cui all’art. 10 da parte del dipendente titolare. In tal caso il dipendente resta inquadrato nella categoria di
appartenenza e viene restituito alle funzioni del profilo di appartenenza” (art. 9, comma 5);
“il trattamento economico accessorio del personale della categoria D titolare delle posizioni di cui all’art. 8 è composto dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato. (…)” (art. 10, comma 1).
Il CCNL Comparto del personale delle regioni e delle autonomie locali, quadriennio normativo 2002-2005, prevede che: “Gli enti valorizzano le alte professionalità del personale della categoria “D” mediante il conferimento di incarichi a termine nell’ambito della disciplina dell’art. 8, comma 1, leti, b) e c), CCNL 31.3.99 e nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 9, 10 e 11 del medesimo CCNL” (art. 10, comma 1);
“Gli incarichi del comma 1 sono conferiti dai soggetti competenti secondo gli ordinamenti vigenti: (a) ipotesi comma 1, lett. b) dell’art. 8 citato: per valorizzare specialisti portatori di competenze elevate e innovative, acquisite, anche nell’ente, attraverso la maturazione di esperienze di lavoro in enti pubblici e in enti e aziende private, nel mondo della ricerca o universitario rilevabili dal curriculum professionale e con preparazione culturale correlata a titoli accademici (lauree specialistiche, master, dottorati di ricerca e altri titoli equivalenti) anche, per alcune delle suddette alte professionalità, da individuare da parte dei singoli enti, con abilitazioni o iscrizioni ad albi; (…)” (art. 10, comma 2);
“Gli enti adottano atti organizzativi di diritto comune, nel rispetto del sistema di relazioni sindacali vigente:
(a) per la preventiva disciplina dei criteri e delle condizioni per la individuazione delle competenze e responsabilità di cui al precedente comma 2, leti, a) e b) e per il relativo affidamento; (…)” (art. 10, comma 3).
Ciò posto, deve pertanto convenirsi che:
l’istituzione delle posizioni organizzative in parola costituisce una facoltà e non un obbligo del datore di lavoro pubblico;
il conferimento di tali posizioni organizzative è a tempo determinato e va disposto con atto scritto e motivato;
il rinnovo delle posizioni organizzative costituisce una facoltà del datore di lavoro pubblico, che, se ritiene di provvedere in tal senso, deve parimenti disporlo con atto scritto e motivato;
al titolare della posizione organizzativa competono la retribuzione di posizione e quella di risultato;
l’eventuale revoca dell’incarico prima della scadenza richiede anch’essa un atto scritto e motivato e può essere disposta soltanto in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di uno specifico accertamento di risultati negativi;
la revoca comporta la perdita delle retribuzioni di posizione e di risultato e la restituzione del dipendente alle funzioni del profilo di appartenenza;
la valorizzazione delle alte professionalità di cui all’art. 10 CCNL 2002-2005 avviene nell’ambito della disciplina dell’art. 8, comma 1, lett. b) e c), CCNL 31.3.99 e nel rispetto delle disposizioni dell’art. 9 del medesimo CCNL e, quindi, contempla comunque, per la parte datoriale pubblica, la facoltà e non l’obbligo del rinnovo degli incarichi già conferiti.
Da quanto sopra discende che:
l’incarico conferito al Roncen è cessato alla sua naturale scadenza con l’insediamento del nuovo Sindaco del Comune di Cortina d’Ampezzo, senza che ciò dovesse comportare una qualsivoglia motivata determinazione da parte dell’Amministrazione, necessaria invece qualora l’incarico stesso fosse stato revocato prima della scadenza;
l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di prorogare l’incarico, indipendentemente dai risultati positivi dal medesimo conseguiti e dal fatto che avesse ritenuto di prorogare le altre posizioni organizzative istituite;
la cessazione dell’incarico ha comportato il venir meno del diritto alle connesse retribuzioni di posizione e di risultato.
Con il secondo motivo si contesta la violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame della domanda di accertamento del diritto del ricorrente alla posizione organizzativa, previo accertamento della nullità e/o inefficacia degli atti presupposti con particolare riferimento al decreto sindacale n. 9 del 2007.
In particolare, censura l’affermazione della Corte, secondo cui posto che la violazione delle procedure ad avviso della Corte potrebbe al più comportare l’obbligo datoriale di rinnovare la scelta eliminando l’atto non conforme oppure risarcire il danno – tali domande non sarebbero state introdotte, atteso che il decreto sindacale in questione non sarebbe assimilabile ad una indizione di una procedura di selezione avendo ad oggetto esclusivamente la proroga in via provvisoria della P.O. senza conferimento o rinnovo della stessa.
In realtà, esso ricorrente aveva chiesto la rimozione dell’atto illegittimo e l’esatto adempimento al fine di ottenere la ripetizione delle operazioni concorsuali, e su tale domanda la corte distrettuale non ha statuito.
In subordine rispetto al motivo precedente il ricorrente censura con un terzo motivo la sentenza per violazione degli artt. 100 c.p.c. e 1175, 1375, 1218 e 1453 c.c..
In particolare, deduce la violazione delle suddette norme ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. nella misura in cui la corte di appello ha erroneamente ritenuto non introdotta la domanda di eliminazione dell’atto illegittimo e, quindi, dell’accertamen to del diritto alla posizione organizzativa; al riguardo il ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel caso di aspirante alla promozione il dipendente ha una posizione di diritto soggettivo di credito tutelabile con l’azione di esa tto adempimento e risarcitoria, anche nell’ipotesi di procedure selettive nel campo pubblico.
Il secondo motivo di censura è inammissibile.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della motivazione della sentenza che non avrebbe statuito in ordine alla domanda di rimozione dell’atto illegittimo e di esatto adempimento al fine di riottenere la ripetizione delle operazioni concorsuali.
Va premesso che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nell’attuale testo modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo.
Orbene, la censura denuncia l’omesso esame e pronuncia di una domanda che non può ricondursi al vizio denunciato, rientrando piuttosto nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c.: ne consegue che la sua deduzione in sede di legittimità, da un lato, postula che la parte abbia formulato l’eccezione e/o la domanda in modo autonomamente apprezzabile ed inequivoco e che la stessa sia stata puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta (Cass., n. 16899/23 ), dall’altro, che, in mancanza dell’esatta indicazione delle norme violate e del corretto vizio denunciato, il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., 10862/2018; Cass., sez.un., 17931/2013).
Anche il terzo motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi.
Il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha affermato che l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di prorogare l’incarico, indipendentemente dai risultati positivi dal medesimo conseguiti e dal fatto che aveva ritenuto di prorogare le altre posizioni organizzative istituite, con conseguente negazione della sussistenza di un diritto alla posizione organizzativa.
Con il quarto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 CCNL 31/3/1999 del comparto delle autonomie locali e art. 11 CCNL Regioni-autonomie locali (confermato dall’art. 15 del CCNL Regioni -autonomie locali 22/1/2004); degli artt. 91, 92, 99 e 112 c.p.c. nonchè degli artt. 1175, 1362 e 1375 c.c..
Si contesta la sentenza della Corte per avere la stessa qualificato il provvedimento del sindaco, quale proroga piuttosto che come provvedimento di assegnazione di incarichi di posizione organizzativa, con contestuale revoca/mancato rinnovo degli incarichi conferiti in precedenza.
In particolare, si evidenzia che la revoca degli incarichi di posizioni organizzative viene ricollegata esclusivamente alla presenza di determinati presupposti correlati alla modifica della struttura organizzativa dell’ente ovvero ad una valutazione negati va del risultato raggiunto e non può essere disposta a seguito del mero rinnovo delle cariche politiche.
Il ricorrente richiama al riguardo la Cassazione (Cass. 9728/2017), che ha affermato che la revoca degli incarichi di posizioni organizzative nell’ambito degli enti locali può essere disposta sulla base degli specifici presupposti indicati dall’art. 9 comma 3 del CCNL 31/3/1999 ed è illegittima se comunicata in considerazione del mero mutamento dell’organo investito del potere di nomina. Nel caso di specie, il decreto sindacale n. 9/2007 è carente in termini di mancata comparazione e motivato esclusivamente per ‘dare un segnale di discontinuità con il passato’ ossia per motivi di natura segnatamente politica.
Anche tale motivo è inammissibile.
Va premesso che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte è da ritenere “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019). (Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 19/02/2021), n.4627).
Nel caso di specie la censura è finalizzata a far riesaminare a questa Corte l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla qualificazione della condotta sindacale quale proroga dell’incarico piuttosto che come assegnazione di posizio ne organizzativa: tale accertamento è insindacabile in sede di legittimità. Comunque, la questione non assume alcun rilievo pratico atteso che l’odierno ricorrente non risulta titolare di un diritto alla posizione organizzativa alla scadenza naturale dell’ incarico.
Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per asserita motivazione apparente con riferimento alla domanda di accertamento del diritto del ricorrente a ricoprire la PO. La motivazione della corte di merito non avrebbe messo in evidenzia gli elementi fondanti il proprio convincimento impedendo il controllo sul suo percorso logico-argomentativo.
Tale censura è infondata avendo la Corte distrettuale ampiamente motivato in ordine alla insussistenza del diritto alla posizione organizzativa.
In conclusione, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente costituita delle spese di lite che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema