Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25527 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25527 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25913/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, con domicilio ex art.366 comma secondo cod. proc. civ. presso il domicilio digitale dell’avvocato COGNOME NOME, che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
DELLE DONNE NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-controricorrente-
nonché
contro
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 86/2019 depositata il 01/03/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza n.86/2019 pubblicata il 01/03/2019, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con la Regione Puglia e NOME COGNOME.
La controversia ha per oggetto l’accertamento del diritto – previo annullamento delle determine dirigenziali nn.429/2010 e 993/2010 limitatamente alla posizione organizzativa di sviluppo agricolo per la sede di Lecce -alla rinnovazione della procedura per il conferimento della predetta posizione organizzativa, o comunque alla attribuzione di tale incarico al COGNOME; l’inadempimento della Regione Puglia nella procedura di conferimento della posizione organizzativa, non avendo espletato alcuna procedura di valutazione dei candidati; il risarcimento del danno da perdita di chances e del danno non patrimoniale conseguente all’omesso conferimento della posizione organizzativa; la dequalificazione e/o demansionamento del COGNOME, per mezzo dell’ordine di servizio del dirigente di settore del 13/03/2011 e la condanna al ripristino delle mansioni di inquadramento (categoria D3, posizione economica
D6s); la condanna al risarcimento del danno da dequalificazione e/o demansionamento.
Il Tribunale di Lecce rigettava tutte le domande proposte dal COGNOME.
La Corte d’appello di Lecce ha ritenuto che il conferimento di una posizione organizzativa non determini un mutamento di profilo professionale o di area, ma solo un mutamento temporaneo di funzioni che cessano al cessare dell’incarico; e che nel conferimento della posizione organizzativa l’amministrazione è soggetta ai criteri di massima stabiliti dalla contrattazione collettiva, oltre che al rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede. Sulla base di queste premesse la Corte territoriale ha ritenuto che la Regione Puglia, nel conferire la posizione organizzativa oggetto di causa, abbia rispettato i criteri di massima dettati dalla contrattazione collettiva (artt.8 e 9 CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 31/03/1999), recepiti nella deliberazione della Giunta regionale n.1427 del 04/10/2005 e nella determinazione dirigenziale n.39/2010, valutando la «posizione professionale e culturale di tutti gli eventuali aspiranti comunque collocati nella categoria D».
In particolare, la Corte territoriale ha escluso la violazione dei criteri di correttezza e buona fede per la pregressa titolarità -da parte dell’appellante – di posizione organizzativa identica a quella oggetto di causa nel periodo 2006/2010, «non costituendo tale circostanza titolo di preferenza rispetto ad altri candidati della categoria D», e ciò anche in considerazione della natura temporanea del conferimento della posizione organizzativa.
La Corte territoriale ha infine ritenuto che il mancato conferimento di una posizione organizzativa fosse una fattispecie del tutto estranea all’art.52 d.lgs. n.165 del 30 marzo 2001, trattandosi della attribuzione di una posizione di responsabilità senza mutamento di posizione funzionale.
Per la cassazione della sentenza d’appello ricorre il COGNOME, con ricorso affidato a tre motivi. Resistono con controricorso la Regione Puglia e RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente e la Regione hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.1173 e 1375 cod. civ., degli artt.8 e 9 del CCNL 31/03/1999 relativo alla revisione del sistema di classificazione del personale del RAGIONE_SOCIALE; la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma primo numm. 3) e 5) cod. proc. civ.. Lamenta che La Corte territoriale ha omesso qualsiasi sindacato e verifica con riferimento alla valutazione comparativa tra i due candidati ha il conferimento della posizione organizzativa oggetto di causa. Che nella fattispecie concreta è del tutto mancata qualsiasi attività istruttoria e comparativa in violazione delle disposizioni di legge e della contrattazione collettiva. Sostiene che la Corte territoriale ha altresì errato nel recepire in modo acritico la motivazione del provvedimento della regione Puglia, senza aver compiuto alcun accertamento istruttorio in concreto, non aver preso in considerazione la copiosa documentazione attestante l’esperienza professionale e le alte competenze della parte ricorrente.
Con il secondo motivo deduce la violazione ed errata applicazione degli artt.2103 cod. civ. e 52 d.lgs. 30 marzo 2001, n.165, oltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art.360 comma primo numm.3) e 5) cod. proc. civ. Lamenta che la Corte territoriale ha omesso di compiere qualsiasi verifica e sindacato con riferimento alla illegittima condotta tenuta dal datore di lavoro, caratterizzata dal totale svuotamento di mansioni. Sostiene che il demansionamento sarebbe integrato dalla mancata assegnazione della posizione organizzativa e dall’ordine di servizio del dirigente di settore del 15/03/2011, con il quale gli erano state revocate le responsabilità di taluni procedimenti conferiti con precedente ordine di servizio.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.115 e 116 cod. proc. civ., per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa i punti decisivi della controversia in ordine alla non decisività dei mezzi istruttori richiesti e alla loro mancata ammissione, in relazione all’art.360 comma primo numm. 3) e 5) cod. proc. civ.
Il primo motivo è inammissibile sotto diversi profili. In tema di conferimento delle posizioni organizzative si intende dare continuità, in questa sede, al consolidato orientamento della Corte, secondo il quale «il conferimento delle posizioni organizzative al personale non dirigente delle Pubbliche Amministrazioni inquadrato nelle aree, la cui definizione è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva, esula dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi e si iscrive nella categoria degli atti negoziali, assunti dall’Amministrazione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, a norma dell’art. 5, comma secondo, del d.lgs. n. 165 del 2001 (S.U. n. 16540 del 2008 e n. 8836 del 2010 e, più di recente,
Cass. n. 2836 del 2014) ). Invero, l’art. 40, comma 2, del d. Igs. n. 165 del 2001 prevede la definizione, ad opera dei contratti di comparto, di un’apposita disciplina applicabile alle figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgano compiti di direzione, tecnico – scientifici e di ricerca, ovvero che comportino l’iscrizione ad albi professionali. Si tratta, appunto, delle c.d. posizioni organizzative, che si concretano nel conferimento al personale inquadrato nelle aree di incarichi relativi allo svolgimento di compiti che comportano elevate capacità professionali e culturali corrispondenti alla direzione di unità organizzative complesse e all’espletamento di attività professionali e nell’attribuzione della relativa posizione funzionale. (…) 5.6. La posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico. Si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione – nell’ambito della classificazione del personale di ciascun comparto – è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva (SS.UU. n. 16540 del 2008 e n. 8836 del 2010, nonché da ultimo, Cass. nn 6367 e . 20855 del 2015). 5.7. Anche per quanto attiene al conferimento di tali posizioni organizzative, l’Amministrazione è tenuta al rispetto dei criteri di massima indicati dalle fonti contrattuali e all’osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., senza tuttavia che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, la quale resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro. 5.8. Ora, per la copertura dell’incarico, anche laddove la scelta sia confinabile nell’ambito di una lista di soggetti idonei in quanto dotati dei requisiti necessari, la selezione è il frutto di una scelta comparativa di carattere non
concorsuale, in quanto non caratterizzata dallo svolgimento di prove o selezioni sulla base di una lex specialis, né dalla compilazione di una graduatoria finale.» (Cass. Sez. Lav. 27/01/2017, n.2141). In particolare, si è ritenuto anche che la motivazione del provvedimento di una posizione organizzativa «non può prescindere da una valutazione comparativa degli aspiranti, ed al conseguente esame dei loro curricula ricavabili dai rispettivi fascicoli. L’obbligo di motivazione, in altri termini, non può prescindere dalla scelta di un aspirante anziché di un altro, anche in mancanza di una formale procedura concorsuale. In tal senso la sentenza impugnata è errata nell’escludere tale necessità di valutazione comparativa» (Cass. Sez. Lav. 16/07/2014, n.16.247).
5. Contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente risulta che la Corte territoriale, e già prima il giudice di prime cure, abbia compiuto un sindacato di merito sullo svolgimento della procedura di valutazione comparativa tra i due aspiranti al conferimento della posizione organizzativa, in conformità con le disposizioni dettate dall’art.9 comma 2 del CCNL 31/03/1999, come specificate dalla delibera della Giunta regionale n.1427 del 04/10/2005 e dalla determinazione dirigenziale n.39/2010. Risulta inoltre che nel procedere a tale sindacato la Corte territoriale abbia deciso le questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, richiamandone espressamente i precedenti. Ciò determina l’infondatezza del motivo di ricorso ex art.360 bis num. 1) cod. proc. civ., in quanto l’esame dei motivi di ricorso non offre alcun elemento per mutare tale orientamento. A ben vedere la asserita «violazione di legge» altro non costituisce che il mero strumento per riproporre il sindacato nel merito circa la valutazione comparativa dei curricula, dei percorsi professionali e dei titoli culturali posseduti dai due candidati. Valutazione già compiuta per due volte, e con esito conforme, dai giudici del merito e che non è
in questa sede riproponibile in quanto questione di fatto che nulla ha a che fare con il motivo a critica vincolata previsto dall’art.360 comma primo num.3) cod. proc. civ.
Quanto alla pretesa mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, proposto in modo indistinto e confuso nello stesso motivo di ricorso, e appena il caso di ricordare che la riformulazione dell’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., disposta con l’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n.8.053).
Nel caso in esame la motivazione della Corte territoriale appare più che sufficiente, ed anzi esaustiva, con riferimento al c.d. minimo costituzionale. Trova pertanto applicazione, in parte qua, la causa di inammissibilità specificamente prevista dall’art.348 ter ultimo comma cod. proc. civ., poiché la motivazione della Corte
territoriale trova il proprio fondamento sulle medesime ragioni e sui medesimi fatti già esaminati dal giudice di prime cure.
8. Il secondo motivo è inammissibile. La impossibilità di configurare un demansionamento a cagione del mancato conferimento, o della revoca, di una posizione organizzativa è costante nella giurisprudenza di questa Corte. Secondo l’ampia ricostruzione di Cass. Sez. Lav. 15/10/2020, n.22405, «Per il comparto RAGIONE_SOCIALE, il CCNL del 31 marzo 1999, di revisione del sistema di classificazione professionale, introduceva (con l’articolo 3) l’inquadramento del personale non dirigenziale in quattro categorie, progressivamente dalla lettera A alla lettera D, prevedendo per il personale della categoria D la istituzione di un’area delle posizioni organizzative, secondo la disciplina degli articoli 8 e seguenti. Di qui il superamento del sistema delle qualifiche funzionali ed il re-inquadramento del personale in servizio secondo le previsioni di corrispondenza della tabella C allegata al contratto (articolo 7). 15. Ai sensi del richiamato articolo 8, comma 1, le posizioni organizzative costituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità (lettera a) ; lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione (lettera b); lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate RAGIONE_SOCIALEa ed esperienza (lettera c) . A tenore del successivo comma due, tali posizioni -che non coincidono necessariamente con quelle già retribuite con l’indennità di cui all’art. 37, comma 4, del CCNL del 6.7.1995 -possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto di un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all’art.9. 16. Secondo tali
regole, gli incarichi relativi all’area delle posizioni organizzative sono conferiti dai dirigenti per un periodo massimo non superiore a 5 anni, con atto scritto e motivato e possono essere rinnovati con le medesime formalità. Gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di specifico accertamento di risultati negativi (articolo 9, commi 1 e 3). 17. Alla attribuzione dell’incarico è collegato un trattamento economico accessorio, composto dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato (articolo 10). (…) 20. Questa Corte ha già precisato, in tema di lavoro pubblico negli enti RAGIONE_SOCIALE, che il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l’inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico. Ne consegue, in termini generali, che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2103 c.c. e del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, trovando applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico (Cass. 25 ottobre 2019, n.27384; Cass. 10 luglio 2019 nr. 18561; Cass. 30 marzo 2015, n. 6367;). 21. Anche le Sezioni Unite, ai fini del riparto di giurisdizione, hanno affermato che la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato nè un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico; per quanto riguarda il comparto delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, secondo la disciplina degli articoli 8 e 9 del CCNL stipulato il 31 marzo 1999, il conferimento dell’incarico di posizione organizzativa è possibile esclusivamente per situazioni tipizzate, descritte nel contratto; può essere concesso solo a termine; è
connotato da una specifica retribuzione variabile, in quanto sottoposta alla logica del programma da attuare e del risultato; è, infine, revocabile. (Cassazione civile sez. un., 14/04/2010, n.8836). 22. Parimenti è stato chiarito che il rinnovo delle posizioni organizzative costituisce una facoltà del datore di lavoro pubblico, che, se ritiene di provvedere in tal senso, deve parimenti disporlo con atto scritto e motivato; pertanto mentre l’eventuale revoca dell’incarico prima della scadenza richiede un atto scritto e motivato e può essere disposta soltanto in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di uno specifico accertamento di risultati negativi, la cessazione dell’incarico conferito alla sua naturale scadenza non obbliga l’amministrazione ad una qualsivoglia motivata determinazione (Cassazione civile sez. lav., 10/07/2015, n.14472)».
9. Anche in questo caso la Corte territoriale ha deciso la questione ad essa sottoposta in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, col richiamo espresso dei precedenti nella motivazione. In parte qua, ossia con riferimento al preteso demansionamento da mancato conferimento della posizione organizzativa, il motivo di ricorso è inammissibile ex art.360 bis num.1) cod. proc. civ., poiché non viene fornito alcun elemento tale da giustificare la mancata applicazione di quei principi, o la loro modifica, nel caso in esame. Nel resto il motivo di ricorso si risolve nella riproposizione di questioni di fatto relative al comportamento tenuto dal datore di lavoro che già hanno formato oggetto del giudizio di merito. Questioni che nulla hanno a che vedere con la fattispecie astratta dell’art.360 comma primo num.3) cod. proc. civ. Così Come per il motivo precedente anche in questo motivo di ricorso viene proposta, in modo congiunto e confuso, una questione relativa alla motivazione della sentenza della Corte territoriale, per la quale
valgono le stesse ragioni di inammissibilità di cui al motivo precedente.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni concorrenti. Per quanto concerne le censure relative alla motivazione della sentenza della Corte territoriale valgono le ragioni di inammissibilità già esaminate per i due motivi precedenti. Viene poi dedotta la violazione di disposizioni della legge processuale (artt.115 e 116 cod. proc. civ.) che non hanno alcuna rilevanza con il sub-procedimento di ammissione delle prove dedotte dalle parti, afferendo invece al diverso tema della loro valutazione. In radicale violazione del principio stabilito dall’art.366 comma primo num.6) cod. proc. civ. non sono riportati nel testo del ricorso i capitoli di prova per interrogatorio e testi di cui il ricorrente lamenta la mancata ammissione. Il motivo di ricorso si risolve in un coacervo di critiche generiche e prive di aderenza alla ratio decidendi.
Per tutte le indicate ragioni deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore del controricorrente COGNOME NOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Da distrarsi ai procuratori che si dichiarano antistatari.
Deve inoltre essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente Regione Puglia delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
13. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Da distrarsi ai procuratori che si dichiarano antistatari. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Regione Puglia delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro