Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34066 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34066 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21926/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME DECEDUTA, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2234/2018 pubblicata il 09/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.2234/2018 del 9 luglio 2018, ha pronunciato in sede di rinvio -ex artt.392 e segg. cod. proc. civ. -a seguito della sentenza 13/09/2016, n. 17960 di questa Corte con la quale era stata cassata la sentenza n.7732/2012 della medesima Corte territoriale.
Il procedimento di merito ha per oggetto la controversia tra NOME COGNOME ed altri in epigrafe indicati, Unicredit S.p.a., il Fondo pensione per il personale delle aziende del Gruppo Unicredit, il Fondo di previdenza del personale della Cassa di risparmio di Roma (Fondo CRR) ed in particolare il diritto di riscatto della posizione previdenziale goduta presso il Fondo CRR, dalle date di assunzione dei singoli lavoratori sino al 31/12/2002, e i criteri per la determinazione del valore di riscatto.
Questa Corte, con la sentenza n.17960/2016 cit., statuiva che: «le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 477 del 14/1/2015, hanno statuito espressamente che in tema di previdenza complementare, l’art. 10 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, nel consentire la portabilità della posizione individuale, ossia del trasferimento dei contributi maturati da un dipendente, cessato prima di aver conseguito il diritto alla pensione complementare, verso un fondo cui il medesimo acceda in relazione ad una nuova attività, si applica anche ai fondi pensionistici preesistenti all’entrata in vigore (15 novembre 1992) della legge (delega) 23
ottobre 1992, n. 421, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali e, quindi, non solo ai fondi a capitalizzazione individuale, ma anche a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, trattandosi di soluzione coerente non solo con il dato letterale della norma, per l’assenza di espressioni idonee a fondare una differenziazione di trattamento, ma anche con la ratio dell’intervento, inteso ad assicurare, in conformità ai principi della legge delega, i più elevati livelli di copertura previdenziale. Hanno spiegato le Sezioni Unite che il D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 20, dispone che, fino all’emanazione del decreto ministeriale previsto dal secondo comma, alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite alla data di entrata in vigore della L. 23 ottobre 1992, n. 421, non si applicano l’art. 4, comma 5, e art. 6, commi 1, 3 e 2/Cv. Il comma successivo prevede che le forme pensionistiche di cui al comma 1, devono adeguarsi alle disposizioni del presente decreto secondo i criteri, le modalità e i tempi stabiliti con uno o più decreti ministeriali del Ministero dell’economia e delle finanze. Il decreto ministeriale sul tema è stato poi emanato (D.M. 10 maggio 200), n. 62) ed ha previsto che gli statuti devono adeguarsi alle regole dettate dal decreto legislativo (anche in tema di portabilità), ma che la COVIP “può” consentire ai fondi deroghe in funzione di esigenze relative all’equilibrio tecnico del fondo. Da tutto ciò non si evince che una disciplina transitoria è stata dettata in questa occasione perché solo con il decreto legislativo del 2005 la portabilità divenne operativa per i fondi preesistenti al ’92. Il legislatore pu o’ essere intervenuto ritenendo che la mancanza di una disciplina transitoria nel sistema del 1993 avesse creato problemi che, a suo tempo, non erano stati messi in conto, o per la consapevolezza di aver dilatato l’area della portabilità, e quindi i problemi connessi, passando dalle circoscritte ipotesi della portabilità occasionata al ben più vasto ambito della portabilità volontaria. Al contrario, questa nuova disciplina (che non prevede
esenzioni in relazione alla struttura del fondo, ma si limita a dare facoltà alla COVIP di consentire deroghe molto circoscritte, solo qualora siano dimostrati problemi di tenuta di equilibrio tecnico del fondo), comprova ulteriormente l’insussistenza di un’impossibilità tecnica di garantire la portabilità nell’ambito dei fondi preesistenti e l’insussistenza di una incompatibilità sistemica tra portabilità e fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva. In conclusione, tutti gli argomenti addotti per sostenere l’inapplicabilità della disciplina sulla portabilità ai fondi preesistenti a capitalizzazione collettiva o a ripartizione non appaiono convincenti: le espressioni utilizzate, generali e prive di elementi che possano fondare differenziazioni di trattamento, indicano la volontà legislativa di riconoscere la portabilità con riferimento a tutti i fondi, nuovi e preesistenti, quali che siano i meccanismi di gestione. E ciò, pur avendo il legislatore ben presente la variegata morfologia e la sussistenza di elementi di diversità, che rendono a volte (non nel caso in esame) più complessa l’operazione di trasferimento quando il fondo non sia a capitalizzazione individuale, ma sia a ripartizione o a capitalizzazione collettiva. La scelta si spiega probabilmente con il fatto che il legislatore considera la portabilità come uno degli strumenti fondamentali per garantire il perseguimento di “più elevati livelli di copertura previdenziale”, che costituisce il principio guida della legge delega in materia di previdenza complementare (L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 3, lett. v)), ribadito nel decreto legislativo di attuazione (d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124). Si spiega inoltre, secondo le Sezioni Unite, con la consapevolezza, maturata negli anni novanta, della crescente mobilità occupazionale che caratterizza il mercato del lavoro e di conseguenza con la necessità di predisporre strumenti per consentire ai lavoratori, esposti al frammentarsi della vita lavorativa, di non subire, o quanto meno attenuare i contraccolpi sul versante previdenziale» (così la sentenza rescindente).
Tanto premesso, la Corte territoriale ha qualificato il Fondo CRR quale fondo negoziale interno «a prestazione definita», regolato con il metodo «a ripartizione» e, in tale contesto, ha ritenuto difficile individuare, all’interno del Fondo , una «posizione previdenziale individuale», stante la difficile individuazione della quota parte spettante ad ogni iscritto e per non essere desumibili, neanche dalla giurisprudenza di legittimità compulsata (le sentenze nn.477/2015 e 17960/2016), criteri univoci, oggettivi, generali e predeterminati da applicare al caso in esame.
La Corte territoriale ha ritenuto, pertanto, unici criteri utili, quelli concordati, tra le parti, con l’Accordo di Gruppo del 26/01/2010, e l’Accordo sindacale del 22/12/2009 al quale il primo rinvi ava, applicabile in via equitativa anche «con riguardo a coloro che sono cessati dal servizio antecedentemente all’entrata in vigore del detto accordo» e ciò sul presupposto dell ‘ «assenza di diversi parametri predeterminati per legge».
La Corte del gravame ha ritenuto l’applicazione di tali criteri, ed in particolare di quelli previsti dall’art.4 dell’accordo sindacale del 2009, corrispondente a principi di giustizia sostanziale e idonea ad assicurare il rispetto della volontà delle parti senza snaturare la natura del fondo; fondata sul rispetto della volontà espressa dalle parti e rispettosa dell’autonomia riconosciuta ai Fondi pensione preesistenti, a norma del d.lgs. 12/1993 e del d.lgs. 252/2005; desumibile anche dalla intestazione dell’Accordo e dal suo oggetto, finalizzato proprio a riconoscere ai dipendenti iscritti al vecchio Fondo CRR la facoltà di iscriversi alla sezione «a capitalizzazione individuale» del Fondo pensione del Gruppo Unicredit.
Per la cassazione della sentenza ricorre Unicredit s.p.a., con ricorso affidato a tre motivi. NOME COGNOME ed altri in epigrafe indicati resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo Unicredit lamenta la violazione degli artt.1322, 1362 e 1363 cod. civ., 18 d.lgs. n.124/1993, 20 d.lgs. 252/2005, tutti in relazione all’art.360 , comma primo, cod. proc. civ. Deduce -sotto vari profili -l’incongruenza, la carenza e la contraddittorietà della motivazione con riferimento alla individuazione dei criteri di riferimento per la quantificazione delle «posizioni individuali» alla stregua de ll’art.4 dell’accordo sindacale del 22/12/2009. Evidenzia che dall’art.2 dell’accordo del 22/12/2009 è desumibile la comune intenzione delle parti di consentire a soggetti il cui rapporto di previdenza complementare era in corso di formazione alla data di stipula dell’accordo (gli iscritti al Fondo CRR) di iscriversi presso altra previdenza complementare (il Fondo pensioni del Gruppo Unicredit) onde poter disporre delle forme di tutela erogate dai fondi pensione di nuova istituzione, restando quindi confermato il regime del Fondo CRR per coloro che non avessero esercitato l’opzione. Sostiene che tale interpretazione trova fondamento anche nelle disposizioni dettate dagli artt.4 e 6 dell’accordo cit. del 2009. Aggiunge che l’interpretazione della Corte territoriale si risolve in una violazione dei principi di autonomia contrattuale delle fonti istitutive, riconosciute alle forme di previdenza complementare preesistenti, in quanto consentirebbe l’applicazione dell’accordo del 2009 per finalità diverse da quelle volute dalle parti, ed a beneficio di soggetti diversi che nulla hanno a che vedere con i destinatari dell’accordo, ossia soggetti cessati dal servizio ed in quiescenza prima della data di stipula dello stesso.
2. Con il secondo motivo Unicredit s.p.a. lamenta la violazione dell’art.114 cod. proc. civ., degli artt.1362 e 1363 cod. civ., 18 d.lgs, 124/1993 e 20 d.lgs. 252/2005, tutti con riferimento all’art.360 , comma primo, n.3 cod. proc. civ. Assume che l’applicazione «anche in via equitativa» dei criteri previsti
dall’accordo del 2009 viola l’art.114 cod. proc. civ. perché la controversia non aveva ad oggetto diritti disponibili e nessuna delle parti aveva chiesto al giudice di decidere secondo equità. Nel resto il motivo ripropone quanto già dedotto con riferimento al motivo precedente.
Con il terzo motivo Unicredit s.p.a. deduce la violazione dell’art.3 Cost. e degli artt.1362 e 1362 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.. Sostiene che l’interpretazione della Corte territoriale si risolve nella irragionevole applicazione della medesima disciplina a situazioni giuridiche diverse, ossia la posizione dei soggetti in servizio attivo ed iscritti al Fondo CRR al momento della stipula dell’accordo e soggetti cessati dal servizio in epoca antecedente all’accordo.
In via pregiudiziale, con riferimento al decesso di uno dei controricorrenti come prospettato nella memoria illustrativa, seppur senza formale istanza di interruzione del processo, deve rilevarsi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Cass. 29/01/2016 n.1757).
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile, per una pluralità di ragioni concorrenti.
Nella parte in cui la ricorrente censura la motivazione della Corte territoriale, siccome incongrua, contraria a logica e non adeguata, il motivo, pur prospettato come violazione della legge sostanziale al pari, in parte, del secondo mezzo d’impugnazione, si risolve in una critica alla motivazione. Quanto al sindacato sulla motivazione è costante l’ orientamento di questa Corte in ordine alla riformulazione dell’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., disposta con
l’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui la deduzione dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. Sez. Un. 7/04/2014, n.8053).
Poiché nel caso in esame, con evidenza, appare soddisfatto il requisito del minimo costituzionale, deve dichiararsi l’inammissibilità del primo motivo in parte qua.
Laddove invece la parte ricorrente censura la violazione degli artt.1362 e 1363 cod. civ. con riferimento alla interpretazione degli artt.2, 4 e 6 dell’accordo del 2009 il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi .
La Corte territoriale ha rimarcato le finalità perseguite dall’accordo del 2009 e la sua applicabilità, in linea di principio, al solo personale in servizio al momento della sua conclusione, e da tale premessa ha proceduto ad una applicazione in via analogica (cfr. la pag. 17 della motivazione) delle disposizioni dell’accordo anche al personale in quiescenza al momento della sua sottoscrizione. La eadem ratio , nel ragionamento della Corte territoriale, è costituita dal fatto che «per volontà delle parti le
previsioni di cui al verbale in esame vengono estese anche al personale non più in servizio al dicembre 2008 (…) La concordata estensione anche ai rapporti di lavoro cessati anteriormente al dicembre 2008 consente di applicare analogicamente o rectius in via equitativa le previsioni richiamate dall’appellante» (pag.17 motivazione).
Il motivo di ricorso attacca solo una delle rationes decidendi concorrenti, soffermandosi soprattutto sulle argomentazioni svolte alla pagina 15 della motivazione dove -in effetti- la corte territoriale ritiene di poter applicare «anche in via equitativa» i criteri dell’accordo del 2009, per una serie di ragioni giuridiche in quel punto prospettate.
Ma il motivo di ricorso non censura la decisione della Corte territoriale di procedere ad una applicazione analogica dei criteri dell’accordo del 2009, sia in considerazione della già compiuta estensione di tali criteri a coloro che erano in quiescenza prima della sua sottoscrizione, sia per le altre ragioni spiegate nella pagina 15 della motivazione: l’applicazione di tali criteri ad un caso non previsto dall’accordo del 2009 (destinato ai soli lavoratori in servizio attivo al momento della sua conclusione) consente di assicurare il rispetto della volontà delle parti e di non snaturare la natura del fondo, oltre che il rispetto dell’autonomia dei Fondi pensione preesistenti, come riconosciuta dal d.lgs. 12/1993 e dal d.lgs. 252/2005. Questa è la eadem ratio posta dalla corte territoriale a fondamento della applicazione analogica, e rispetto a questa ratio il motivo di ricorso non si confronta.
Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento al secondo motivo di ricorso. In parte il motivo si risolve in una inammissibile censura della motivazione, per le ragioni già spiegate. In parte attacca solo una delle due rationes concorrenti, perché la critica riguarda la decisione secondo equità, ma non l’applicazione analogica dei criteri previsti dall’accordo del 2009.
Anche il terzo motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha proceduto all ‘applicazione analogica dei criteri previsti dall’accordo del 2009 anche sulla base della già avvenuta estensione, voluta dalle parti dell’accordo, delle sue disposizioni al personale in quiescenza al 31/12/2008, e dunque in data antecedente alla sottoscrizione dell’accordo. Il motivo, come formulato, si limita a paventare l’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni ritenute diverse, senza però affrontare la ratio della Corte territoriale.
Infine si intende dare continuità all’orientamento di Cass. 22/08/2023 n.24997 e Cass. 18/10/2022 n.30549 che hanno scrutinato le medesime questioni oggetto dei tre motivi di ricorso in questa sede delibati.
Per tutti questi motivi deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza. La parte ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.