Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10475 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10475 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7769/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME già elettivamente domiciliato presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME ed attualmente domiciliato per legge presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del difensore di fiducia; -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (nuova denominazione RAGIONE_SOCIALE a seguito di fusione con RAGIONE_SOCIALE)
di RAGIONE_SOCIALE -intimata- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di GELA n. 401/2021 depositata il 17/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. In data 27 gennaio 2010, NOME COGNOME dipendente da oltre 10 anni della RAGIONE_SOCIALE in forza di contratto a tempo indeterminato, stipulò con la compagnia RAGIONE_SOCIALE per il caso di perdita dell’impiego, polizza collettiva n° 2607, in abbinamento al contratto di mutuo con la RAGIONE_SOCIALE, dell’importo complessivo di € 12.858,00 (da estinguersi in 60 rate mensili di cui la prima di € 275,12 e le restanti 59 di € 260,50). La polizza prevedeva, per le rate scadenti durante il periodo di disoccupazione, un indennizzo pari alla rata di rimborso mensile del finanziamento.
Dopo 11 mesi da detta stipula, l’COGNOME fu licenziato per fatti sopravvenuti per cause a lui non imputabili; e, a seguito del detto licenziamento, su sua richiesta, la compagnia aprì un primo sinistro e successivamente gli corrispose il relativo indennizzo.
L’Incardona fu quindi riassunto il 18.04.2012 in forza di contratto a termine, restando in servizio fino al 30.10.2012 (per un totale di 196 giorni) e rimanendo poi disoccupato dal 01/01/2013 al 02/07/2013 (cioè, per 6 mesi) e dal 01/11/2013 al 07/07/2014 (cioè, per 8 mesi)
L’Incardona, ritenendo di aver maturato il periodo di riqualificazione di cui all’art. 47 delle condizioni di polizza, chiese l’apertura di un secondo sinistro, per l’indennizzo dell’ulteriore periodo di disoccupazione nei limiti del massimale di 24 mensilità complessivi; ma tale indennizzo gli fu negato.
L’Incardona conveniva in giudizio davanti al Giudice di pace di Gela la compagnia RAGIONE_SOCIALE esponendo le circostanze di cui sopra e chiedendo che, detratto il periodo di franchigia di 60 giorni, fosse a lui corrisposto dalla compagnia convenuta l’indennizzo per 12 mensilità, quantificato in €. 3.126,00, e il maggior danno, quantificato in €. 421,11.
Nel contraddittorio delle parti, istruita la causa, il giudice di primo grado con sentenza n. 555/2015 rigettava la domanda attorea,
compensando tra le parti le spese processuali, in quanto l’Incardona, dopo il primo sinistro, aveva sì svolto il periodo di riqualificazione previsto (pari a giorni 180 consecutivi) dal citato art. 47, ma era stato successivamente riassunto con contratto a tempo determinato (e non a tempo indeterminato, come invece ritenuto richiesto dall’art. 45 delle condizioni generali di contratto, che escludeva la copertura assicurativa in caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato).
Avverso la suddetta sentenza l’Incardona proponeva appello affidato ad un unico motivo di gravame con il quale lamentava l’erronea interpretazione delle condizioni del contratto, rilevando che la sentenza di 1° grado aveva violato i canoni di ermeneutica contrattuale, in quanto, per i sinistri successivi al primo, ai sensi del citato art 47, era necessario maturare un periodo di riqualificazione di 180 giorni ininterrotti durante il quale, il danneggiato fosse ritornato ad essere lavoratore con contratto a tempo determinato o indeterminato.
Si costituiva anche nel giudizio di appello la compagnia assicurativa, che chiedeva il rigetto dell’appello con conferma della sentenza impugnata e con vittoria delle spese processuali.
Il Tribunale di Gela, quale giudice di appello, con sentenza n. 401/2021, respingeva l’impugnazione, così confermando la sentenza di primo grado, ma compensando tra le parti le spese di lite. In sintesi, anche il giudice d’appello, pur confermando l’avvenuta maturazione del detto periodo di riqualificazione di 180 giorni ininterrotti, rigettava la domanda sul presupposto che l’COGNOME non era stato assunto, dopo la chiusura del primo sinistro, con un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
3. Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso l’Incardona.
Parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il Difensore ha presentato memoria.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. NOME COGNOME – dopo aver premesso in via di sintesi che la questione, sottoposta all’esame di questa Corte, è l’interpretazione del combinato disposto di cui agli artt. 45 e 47 delle condizioni generali di polizza (p. 3 e p. 19) – articola in ricorso un unico motivo con il quale denuncia, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 1362 1° comma, 1363 cc, 1366 cc. nella parte in cui il giudice di appello: a) non ha indagato sulla comune volontà delle parti; b) non ha indagato sul significato fatto proprio ed in modo espresso dalle disposizioni delle clausole di cui agli artt. 43, 44, 45, 46 e 47 (che riporta ai fini dell’autosufficienza) e c) non ha interpretato dette clausole contrattuali le une per mezzo delle altre e secondo buona fede secondo ciò che le parti intendevano realizzare, ma le ha interpretate in modo atomistico ed in modo avulso dal contesto in cui le stesse erano inserite.
Sostiene che il periodo di lavoro, da lui svolto con contratto a tempo determinato, costituisce perdita (non volontaria, ma) involontaria del lavoro ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 43; al riguardo osserva che si è formato giudicato interno, in quanto la società intimata, né nel giudizio di primo grado, né in quello di appello, aveva mai eccepito che il termine del contratto di lavoro a tempo determinato fosse da considerarsi perdita volontaria del lavoro e neppure il Giudice di Pace si era spinto a qualificare volontaria la fine del contratto di lavoro a termine.
Sostiene altresì che il periodo di riqualificazione di 196 giorni, da lui svolto ininterrottamente a seguito della chiusura definitiva del precedente sinistro, lavorando con contratto a tempo determinato, è fatto costitutivo del suo diritto all’indennizzo per ‘ i sinistri successivi ‘.
Al riguardo, dopo aver ripercorso il quadro delle garanzie approntate dalla polizza, si duole che il giudice di appello, senza farsi carico di interpretare l’art. 47 con le altre disposizioni contrattuali (e, in particolare con gli artt. 43, 44, 45, 46), abbia affermato il contrario.
In definitiva, secondo il ricorrente, il termine del periodo di riqualificazione, da lui svolto con un lavoro a tempo determinato, avrebbe dovuto essere ritenuto non soltanto perdita involontaria di impiego ex art 43, ma anche requisito idoneo all’apertura del nuovo sinistro ai sensi dell’art. 47 (in quanto, non rappresentando una perdita volontaria, non rappresentava una causa di esclusione ex art 45).
Il ricorso è inammissibile.
2.1. In primo luogo, questa Corte intende dare continuità al consolidato orientamento in punto di censura dell’ermeneutica contrattuale (cfr., tra le tante, Cass. n. 14268/2017), a mente del quale l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto.
Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646/2014), nel caso in cui la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (Cass. nn. 26683, 18375 e 1754/2006).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10466/2017; n. 8909/ 2013).
D’altronde, il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054/2014).
2.2. Orbene, nel caso di specie, il giudice di appello è arrivato alla conclusione che la cessazione del rapporto a termine non costituisce sinistro e non dà luogo ad uno stato di disoccupazione, rientrante nella fattispecie del sinistro indennizzabile, ad esito del seguente percorso argomentativo (pp. 2-5):
l’art. 45 delle condizioni generali di contratto stabilisce, senza prevedere eccezioni e senza distinguere tra il primo sinistro e quelli successivi, che la copertura assicurativa non opera se la perdita del lavoro consegue alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato;
l’art. 43 delle condizioni generali di contratto indica come sinistro la perdita d’impego per giustificato motivo oggettivo, per messa in mobilità e per cause che diano luogo all’attivazione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, senza comprendere la cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine;
c) l’art. 44 ult. co. configura il contratto a termine come causa di sospensione del pagamento dell’indennizzo conseguito alla perdita di impiego, che riprenderà ad essere corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro se la disoccupazione persista;
il glossario, a pag. 32, definisce come disoccupazione lo stato dell’Assicurato che abbia cessato non volontariamente la sua normale attività lavorativa, sicché la cessazione del rapporto a termine, conseguente ad una scelta consensuale del lavoratore che lo stipula, non può considerarsi fatto indipendente dalla sua volontà;
la scadenza del termine rappresenta causa di estinzione del rapporto di lavoro a tempo determinato, che non può essere accomunata alla risoluzione del rapporto per recesso del datore di lavoro.
Il giudice di appello ha anche aggiunto che tale conclusione non è infirmata dalle clausole contrattuali che disciplinano la verificazione di sinistri successivi e, in particolare, dall’art. 47 delle condizioni generali di contratto, in quanto da tale disposizione si ricava che la cessazione del rapporto a termine non costituisce evento dannoso a cui consegue la prestazione dell’assicuratore, ma evento che, facendo venir mendo temporaneamente lo stato di disoccupazione, esclude l’indennizzo per il periodo corrispondente: in altri termini, lo svolgimento di un rapporto di lavoro a termine esclude il pagamento della prestazione, riconosciuto in considerazione di altro sinistro, per il tempo che dura, ma consente di integrare il requisito del periodo di riqualificazione; mentre la sua cessazione non è, di per sé considerata, fatto costitutivo del diritto all’indennizzo assicurativo.
In definitiva, la ricostruzione del contenuto del contratto – relativo all’identificazione del rischio assicurato – operata dal giudice di appello nella sentenza impugnata, non è affatto implausibile, né in violazione specifica di uno dei criteri di ermeneutica contrattuale, sicché sfugge al sindacato riservato a questa Corte.
Al rilievo che precede, di per sé dirimente, si aggiunge il fatto che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c. il motivo che non si concreti in una critica puntuale della decisione impugnata nella sua ratio decidendi e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere tali, debbono concretamente considerare le ragioni che sorreggono la decisione impugnata e da dette ragioni non possono prescindere.
Orbene, nel caso di specie, il giudice di appello ha espressamente osservato (p. 5) che l’Incardona, <>.
Tale autonoma ratio decidendi non è stata impugnata dal ricorrente: ed è noto che, quando plurime siano le ragioni del decidere su ciascuna delle quali il gravato provvedimento può autonomamente reggersi, la mancata impugnazione di una di quelle lo consolida in via definitiva, rendendo irrilevante l’evenienza della fondatezza delle sole censure avverso le altre ragioni ed inammissibili le censure rivolte a queste ultime (sull’inammissibilità del ricorso per mancata censura ad una delle rationes decidendi v., per tutte, Cass. Sez. U. 7931/13).
Donde un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo e del ricorso.
Alla inammissibilità del ricorso non consegue la condanna di parte ricorrente alle spese processuali, non essendo stata svolta alcuna difesa da parte intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per
legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025, nella camera di consiglio