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Plusorario medico: quando è base imponibile?

Un medico ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro, una struttura sanitaria, per l’omesso versamento dei contributi previdenziali sul compenso percepito per il lavoro in ‘plusorario’. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7212/2024, ha stabilito che il compenso per il plusorario medico, essendo strettamente connesso al rapporto di lavoro subordinato, rientra a pieno titolo nell’imponibile previdenziale. La Corte ha rigettato le argomentazioni dell’ospedale, che sosteneva la natura autonoma di tali prestazioni, e ha cassato con rinvio la sentenza d’appello per non essersi pronunciata sulla domanda di risarcimento per il futuro danno pensionistico.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Plusorario Medico: la Cassazione conferma l’obbligo contributivo

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affrontato un tema di grande rilevanza per il personale sanitario: la natura del compenso per il plusorario medico e la sua inclusione nell’imponibile previdenziale. La decisione chiarisce che le prestazioni rese in regime di orario aggiuntivo, se collegate al rapporto di lavoro principale, devono essere considerate retribuzione a tutti gli effetti, con conseguente obbligo di versamento dei contributi.

Il caso: un medico contro l’ospedale per i contributi mancanti

Un dirigente medico ha convenuto in giudizio la struttura sanitaria presso cui lavorava, lamentando un danno pensionistico derivante dal mancato versamento dei contributi su una parte della sua retribuzione. In particolare, l’ospedale aveva omesso di calcolare i contributi sui compensi erogati per le ore di lavoro svolte in regime di ‘plusorario’ tra il 2002 e il 2012.

La Corte d’Appello aveva dato ragione al medico, condannando la struttura a un risarcimento per il periodo già trascorso in pensione e dichiarando l’irregolarità contributiva. Tuttavia, il medico ha proposto ricorso in Cassazione poiché i giudici di secondo grado non si erano pronunciati sulla sua richiesta di condanna generica per il danno futuro, destinato a protrarsi per tutta la durata della sua vita pensionistica. L’ospedale, a sua volta, ha presentato un ricorso incidentale, sostenendo che le prestazioni in plusorario fossero di natura libero-professionale e, quindi, esenti da contribuzione.

La natura del plusorario medico secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha rigettato in toto le argomentazioni dell’ospedale. I giudici hanno confermato l’interpretazione della Corte d’Appello, secondo cui l’attività svolta in regime di plusorario era causalmente e strettamente collegata al rapporto di lavoro subordinato. Non si trattava di un distinto rapporto di lavoro autonomo, ma di un’estensione dell’orario di lavoro principale.

Analisi della disciplina contrattuale

La Cassazione ha evidenziato come la stessa disciplina contrattuale aziendale e nazionale (D.P.R. n. 384/1990) configurasse il plusorario come un’integrazione dell’orario normale, sottoposto a sistemi di controllo e compensazione semestrale. Il fatto che tali prestazioni fossero alternative allo straordinario e rientrassero nel debito orario complessivo del medico ha corroborato la tesi della loro natura subordinata. Pertanto, i relativi compensi rientrano a pieno titolo nella base imponibile previdenziale ai sensi della Legge n. 153/1989.

L’inefficacia del giudicato tra datore di lavoro e INPS

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’eccezione sollevata dall’ospedale circa l’esistenza di un precedente giudicato favorevole in una causa contro l’INPS. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la sentenza intervenuta tra datore di lavoro ed ente previdenziale non ha efficacia di giudicato nei confronti del lavoratore. Il rapporto di lavoro (tra medico e ospedale) e il rapporto previdenziale (tra lavoratore e INPS) sono autonomi. Il lavoratore vanta un diritto autonomo al regolare versamento dei contributi, la cui violazione genera un diritto al risarcimento del danno, come previsto dall’art. 2116 c.c.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra le diverse tipologie di rapporto. Il plusorario, così come disciplinato nel caso di specie, non presentava le caratteristiche dell’autonomia tipiche dell’attività libero-professionale, come la libera gestione delle visite o la pattuizione diretta con i pazienti. Al contrario, era inserito nell’organizzazione aziendale e funzionale all’attività lavorativa principale.

Per quanto riguarda il ricorso del medico, la Corte ha riscontrato il vizio di ‘omessa pronuncia’ (art. 112 c.p.c.). La Corte d’Appello, infatti, avrebbe dovuto esaminare e decidere sulla domanda di condanna generica per il danno pensionistico futuro, che costituisce una conseguenza diretta e prevedibile dell’omissione contributiva. L’accoglimento di questa censura ha portato alla cassazione della sentenza con rinvio al giudice d’appello.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza della Cassazione rafforza la tutela del lavoratore in materia previdenziale. Stabilisce con chiarezza che i compensi per il plusorario medico, quando non configurano un’attività libero-professionale autonoma e distinta, sono da assoggettare a contribuzione. Inoltre, conferma l’autonomia del diritto del lavoratore al risarcimento del danno da omissione contributiva, indipendentemente dall’esito di controversie tra il datore di lavoro e gli enti previdenziali. La decisione impone ai giudici di merito di valutare l’intera estensione del danno subito dal lavoratore, inclusa la sua proiezione futura sulla prestazione pensionistica.

La retribuzione per il ‘plusorario medico’ è soggetta a contributi previdenziali?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, quando l’attività in plusorario è strettamente connessa al rapporto di lavoro subordinato e non costituisce un’attività libero-professionale autonoma, il relativo compenso rientra pienamente nella base imponibile su cui calcolare i contributi.

Una precedente sentenza tra il datore di lavoro e l’INPS può impedire al lavoratore di fare causa per i propri contributi?
No. La sentenza che intercorre tra il datore di lavoro e l’ente previdenziale non ha efficacia di giudicato nei confronti del lavoratore. Quest’ultimo è titolare di un autonomo diritto al regolare versamento contributivo e può agire per il risarcimento del danno da omissione anche se una precedente causa tra datore e INPS ha avuto esito diverso.

Cosa succede se il giudice d’appello non si pronuncia su una parte della domanda del lavoratore?
Se il giudice omette di decidere su una domanda specifica, come quella di condanna generica per un danno futuro, la sentenza è viziata da ‘omessa pronuncia’. In tal caso, la Corte di Cassazione può accogliere il ricorso del lavoratore, cassare la sentenza e rinviare la causa al giudice del grado precedente affinché decida sulla domanda omessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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