Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7212 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7212 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21628-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” – OPERA DI SAN PIO DA PIETRELCINA – OSPEDALE ED ISTITUTO DI RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO, in persona del Direttore RAGIONE_SOCIALE e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonchè contro
COGNOME NOME;
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 537/2020 RAGIONE_SOCIALE CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/05/2020 R.G.N. 1074/2016;
Rep.
Ud. 30/01/2024
CC
udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza in atti, pronunciando sull’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza emessa dal tribunale di Foggia, accoglieva l’appello e, in riforma RAGIONE_SOCIALE sentenza impugnata, dichiarava che l’RAGIONE_SOCIALE appellato era incorso in irregolarità contributiva consistente nella denuncia di un imponibile previdenziale inferiore al dovuto, in relatizione a prestazioni rese in regime di plus orario dal 2002 alla quiescenza (2012), condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE somma di euro 14.327,91 oltre accessori ed alle spese del doppio grado di giudizio.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con un motivo a cui ha resistito l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso contenente ricorso incidentale con cinque motivi. NOME COGNOME ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Le parti hanno depositato memorie.
Il collegio ha riservato il deposito RAGIONE_SOCIALE motivazione all’esito RAGIONE_SOCIALE camera di consiglio
Ragioni RAGIONE_SOCIALE decisione
Il motivo di ricorso principale.
1.- Co n l’unico motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. ex articolo 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello pronunciato soltanto su una delle due richieste di condanna contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, non essendosi la Corte avveduta per nulla dell’esistenza di una domanda di condanna generica relativa a tutto il periodo di godimento RAGIONE_SOCIALE pensione da parte del titolare e dei suoi eredi.
Sintesi dei motivi di ricorso incidentale.
1.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’articolo 12 RAGIONE_SOCIALE legge n. 153/1989, la violazione dell’articolo 61 DPR 384 del 1990 ex articolo 360 n. 3 c.p.c., per la parte in cui, accogliendo il gravame proposto dal dott. COGNOME, la Corte di appello ha ritenuto di dover ricomprendere tra la retribuzione imponibile ai fini previdenziali le somme erogate dall’RAGIONE_SOCIALE a titolo di remunerazione dell’attività svolta in regime di plusorario, ossia di somme erogate quale corrispettivo di prestazioni riconducibili ad un rapporto di lavoro libero-professionale.
2.- Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2094, 2222, 2230, 2233, 1321, 1322 c.c., nonché degli articoli 1362 e 1363 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello qualificato come prestazioni di lavoro dipendente le prestazioni svolte in regime di plusorario, senza compiere la necessaria attività ermeneutica richiesta dalla legge e valorizzando elementi per nulla indicativi RAGIONE_SOCIALE natura subordinata.
3.- Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2116 e articolo 1218 c.c. ex art. 360 numero 3 c.p.c. per aver ritenuto sussistente una responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE nonostante, nella specie, non fosse ravvisabile alcuna illiceità RAGIONE_SOCIALE condotta, avendo l’RAGIONE_SOCIALE operato sulla base di una sentenza definitiva del tribunale del lavoro di Foggia, che aveva escluso l’assoggettabilità a contribuzione previdenziale delle somme erogate al personale medico per la remunerazione dell’attività svolta in regime di plusorario e senza neppure alcuna colpa per aver omesso il versamento di contributi su corrispettivi che il tribunale del lavoro di Foggia aveva ritenuto doversi escludere dalla base imponibile previdenziale.
4.- Con il quarto motivo si prospetta la violazione degli articoli 324 c.p.c., 2908 c.c. e 404 c.p.c. ex art. 360 numero 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello erroneamente escluso l’opponibilità del giudicato esistente fra l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE.
5.- Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per avere del tutto omesso di considerare l’eccezione svolta all’ospedale riguardo ai conteggi prodotti dal dottor COGNOME.
6.I motivi di ricorso incidentale -poiché attengono all ‘ assoggettabilità del plusorario a contribuzione da cui potrebbe discendere l’ eventuale infondatezza di tutte le domande svolte dal COGNOME – sono logicamente preliminari al ricorso principale e vanno affrontate con precedenza.
7.- Il primo ed il secondo motivo riguardano la natura del rapporto di lavoro svolto dal medico in regime di plusorario e l’assoggettabilità a contribuzione previdenziale delle somme erogate per lo stesso titolo; si tratta di motivi connessi e possono essere valutati unitariamente.
7.1. La Corte di appello di Bari, sul punto ha affermato, contrariamente al primo giudice, che i proventi derivanti dall’attività svolta in c.d. plusorario sono collegate causalmente all’attività di lavoro svolta dal lavoratore (ai sensi dell’art.12 l. n. 153/1969 ed ai sensi dell’art. 51 del DPR n. 917/1986) e quindi rientrano nella base imponibile previdenziale.
7.2. La Corte di appello, inoltre, ha analizzato la specifica disciplina dettata dalla contrattazione aziendale e vi ha trovato conferma RAGIONE_SOCIALE stretta connessione del l’attività svolta in regime di plusorario con la prestazione lavorativa in regime di subordinazione, traendone che i relativi profitti possono essere qualificati come ‘dipendenti’ dal rapporto di lavoro e non già -come sostenuto dall’RAGIONE_SOCIALE – quali emolumenti connessi ad un distinto rapporto di lavoro autonomo.
Ne è riprova, secondo la Corte di appello, che il plusorario ‘dovuto’ dal personale medico (non a caso il termine adoperato negli accordi evoca la nozione di obbligo ) sia previsto come alternativo allo straordinario, tant’è che non è possibile liquidare l o straordinario se non dopo l’avvenuta compensazione con il plusorario; e che orario normale, plusorario e straordinario si pongano quindi in linea di continuità l’uno con l’altro, articolandosi come manifestazione del debito orario complessivo personale medico. Né rileva che la prestazione non sia obbligatoria.
Ancora, secondo la Corte di appello, la stessa tesi trova conferma nella disciplina del plusorario contenuta nell’art. 123 e art. 127 del d.P.R. n. 384 del 1990 da cui si desume che il plusorario si integra con il normale orario; che esso rientra nel debito orario complessivo individuale; che, come tale, è sottoposto a verifica attraverso sistemi obiettivi di controllo; che la misura del plusorario viene compensata all’interno del semestre; che, in caso di mancata effettuazione, si procede a compensazione nel semestre successivo ed in caso di mancato recupero si effettuano le relative trattenute; che, inoltre, le competenze vengono pagate su base mensile, e che dunque ciò corrobora la tesi secondo cui il plusorario fa parte dell’orario di lavoro che il dipendente è tenuto ad osservare.
7.3. Né in contrario poteva rilevare, secondo la Corte di merito, la sentenza 5692/2007 di questa Corte di Cassazione, nella quale si era sostenuto soltanto che i compensi percepiti dai pazienti per prestazioni professionali aggiuntive non sono assoggettabili a contribuzione; con una pronuncia che in realtà si riferiva ad una diversa fattispecie in cui era stato accertato in fatto che, accanto al rapporto di lavoro subordinato, esisteva un distinto rapporto di lavoro autonomo, nell’ambito del quale la RAGIONE_SOCIALE di cura ricorrente si limitava a mettere a disposizione dei medici locali ed
attrezzature, incassando il compenso dai medici nonché una quota dell’onorario, per compenso di locali e attrezzature; ed il medico come accertato in fatto in base ai testimoni, fissava gli orari e il numero di visite ambulatoriali, percepiva un compenso in misura percentuale rispetto a quanto corrisposto alla clinica dalla RAGIONE_SOCIALE; si trattava quindi di una parallela attività professionale con pagamento alla clinica di un canone per l’uso dei locali.
7.4. Mentre, secondo la Corte, nulla di tutto ciò risultava provato e ancor prima dedotto nel caso del dottor COGNOME, in cui non vi era accenno alcuno da parte dell’RAGIONE_SOCIALE alle modalità di organizzazione dell’attività resa in regime di plus orario.
Al contrario l’attività in plusorario doveva essere prestata secondo un regime puntualmente determinato e verificato attraverso sistemi obiettivi di controllo ex articolo 127 comma 3 del DPR numero 384/1990, ed era quindi escluso che l’attività potesse essere liberamente gestita dal medico mediante fissazione diretta delle visite. Era parimenti escluso che l’attività resa in regime di plusorario fosse retribuita previa deduzione a favore dell’ospedale di un canone per l’uso dei locali in cui si effettuano le visite; soprattutto non vi erano elementi concreti per affermare che il personale medico potesse gestire il plusorario in modo autonomo, ossia concordando direttamente con i pazienti le visite e stabilendo i relativi orari. Mentre proprio la presenza di tale autonomia organizzativa aveva indotto la Corte di cassazione nella sentenza 5692/2007 a ritenere ingiustificata l’esclusione da parte dei giudici di merito di un rapporto di lavoro autonomo affiancato a quello subordinato.
8.- Sulla scorta delle premesse esposte, le censure contenute nei motivi di ricorso devono essere disattese presentando profili di inammissibilità e profili di infondatezza.
Sono inammissibili nella parte in cui non si confrontano con il decisum e le varie rationes RAGIONE_SOCIALE sentenza impugnata, posto che nessuna delle tesi affermate dalla Corte di appello viene sottoposta a specifica critica.
Inoltre, la Corte di appello non ha violato l’art.12 RAGIONE_SOCIALE legge 153/1969 avendo al contrario rispettato integralmente i suoi contenuti, in conformità alla giurisprudenza di legittimità. La Corte non nega, infatti, che i compensi in questione siano stati corrisposti in regime di plusorario, ma al contrario che essi possano essere qualificati come corrisposti in relazione ad un rapporto di lavoro autonomo. Ed a nulla vale quindi il richiamo alla normativa che regola i compensi per attività libero professionale intramuraria.
La Corte ha sostenuto la propria conclusione attraverso una puntuale disamina dei contenuti degli accordi aziendali e dei fatti di causa. Nessuna censura deduce il ricorso avverso la ricostruzione effettuata in sentenza sulla natura dei detti compensi, se non la pretesa assertiva e tautologica, ed in termini meramente contrappositivi, che si tratti di compensi corrisposti per una parallela attività libero professionale, che è del tutto inconfigurabile alla stregua degli approfonditi accertamenti di fatto e di diritto effettuati dalla Corte di merito.
Sulla scorta dei quali, nemmeno può rilevare la giurisprudenza che si è formata sui compensi spettanti in regime di plusorario in materia di giurisdizione, prima ancora RAGIONE_SOCIALE avvenuta privatizzazione del pubblico impiego (Sez. Unite nn. 3406/1989, 12302/1991), pure richiamata dal ricorrente. Una giurisprudenza che in realtà non appare rilevante poiché non dirime affatto la questione generale RAGIONE_SOCIALE natura delle prestazioni in regime di plusorario, ma si pronuncia sulla giurisdizione in relazione ai relativi compensi e con precipuo riferimento alla disciplina specifica, diversa, anche ratione temporis, da quella che viene in rilievo nella
causa che si decide; ed in ragione RAGIONE_SOCIALE natura del rapporto già accertata o da accertare aliunde.
9.- Del pari inammissibile è il secondo motivo, laddove si sostiene che la Corte di appello avrebbe violato i canoni ermeneutici al fine di individuare la natura del rapporto ed avrebbe valorizzato elementi non decisivi; posto che, al contrario, l’accertam ento del rapporto di lavoro subordinato è attività demandata al giudice di merito e salva la violazione dei criteri generali ed astratti ex art 2094 c.c., non è nemmeno sindacabile da questa Corte.
La Corte di appello ha effettuato un accertamento di merito in ordine alla concreta fattispecie e specifica disciplina; e non ha affermato che la subordinazione sia qualcosa di diverso da quanto previsto nell’art. 2094 c.c. in conformità alla giurisprudenza di questa Corte.
Non ha accertato in generale che tutte le attività espletate dai medici in attività di plusorario, in tutti i periodi di tempo e sotto qualsiasi regime normativo, siano attività subordinate o attività libero professionali.
Anche sotto questo aspetto, piuttosto, non vi è nessuna critica specifica agli elementi di fatto e neppure a quelli di diritto valorizzati dalla Corte di appello ai fini del giudizio sul punto; né di quelli particolari né di quelli generali, mancando anche l’indicazione dei canoni ermeneutici violati.
Il ricorrente incidentale si limita a richiamare ed a trascrivere una sentenza di questa Corte del 1988 (la n. 5437) in cui si far riferimento ad un RAGIONE_SOCIALE per il biennio 1979-1981 che distingue tre distinte attività del medico: ambulatoriale, attività libero professionale per ricoverati paganti in proprio, attività libero professionali per pazienti non ricoverati, senza nemmeno spiegare per quali modalità e caratteristiche, sue intrinseche, quella del dott. COGNOME sia attività assimilabile a quella di cui si tratta nella sentenza.
Ma, prima ancora, il ricorso non si confronta neppure con la disciplina di base del plusorario citata nella sentenza impugnata, contenuta nell’art. 123 e nell’art. 127 del d.P.R. n. 384 del 1990, rispetto alla quale conferma anzi l’obbligatorietà RAGIONE_SOCIALE prestazione e la sua connessione con quella di base; restando ancora da spiegare come un prolungamento del normale orario di lavoro da parte del medico dipendente, nel medesimo contesto e con le modalità accertate dalla Corte di appello, possa diventare all’ improvviso prestazione di altra natura.
E d’altra parte, una interpretazione di legge che sostenesse una astratta soluzione di questa natura, secondo cui una prestazione di lavoro resa dal medico a prescindere dalle sue modalità o, cosa ancora più grave, con le caratteristiche RAGIONE_SOCIALE subordinazione indicate dalla Corte – ed in ipotesi non accertabile dal giudice – possa nondimeno ritenersi libero professionale o autonoma che dir si voglia, porrebbe l’eventuale disciplina di legge in questione in sospetto di incostituzionalità per violazione del principio di indisponibilità del tipo contrattuale.
10.- Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con i quali il ricorrente incidentale invoca gli effetti preclusivi di un asserito giudicato esistente fra l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE in merito alla non assoggettabilità a contributi del compenso relativo al plusorario sono infondati.
Secondo il più accreditato e risalente orientamento di questa Corte, il giudicato relativo al rapporto contributivo intervenuto in una controversia tra datore e tra istituto previdenziale – a cui il lavoratore pur volendo non potrebbe neppure partecipare (Cass n. 3422/2022) – non esercita alcuna autorità in relazione alle tutele esercitabili nell’autonomo rapporto previdenziale tra lavoratore e RAGIONE_SOCIALE e nell’autonomo rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro (tra le tante Sez. Un. n. 683/2003, n. 3678/2009,
Cass. sentenza n. 1460/2001; Cass. 7459/2002, Cass. n. 5767/2002, n. 17223/2002).
Non può fare perciò stato nella lite tra lavoratore e datore di lavoro relativa al risarcimento del danno da omissione contributiva ex art. 2116, 2 comma c.c. il giudicato intervenuto nella causa tra Istituto previdenziale e datore di lavoro con il quale sarebbe stata accertata l’inesistenza di un’omissione contributiva e rigettata quindi la pretesa contributiva dell’RAGIONE_SOCIALE; ciò appunto in forza RAGIONE_SOCIALE nota impostazione di ordine generale che regge i diversi rapporti, da decenni improntata al principio di autonomia dei distinti rapporti bilaterali, autonomia che nega l’unico rapporto trilatere (sentenza n. 11622/1995; n. 23045/2018; n. 8101/2020).
Ed invero l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti dei terzi rimasti estranei al processo, presuppone che tali soggetti non siano titolari di un rapporto autonomo rispetto a quello su cui è intervenuto il giudicato, mentre tra diritti aventi ad oggetto i contributi previdenziali e diritti ed obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato sussiste un reciproco rapporto di autonomia, che fa qualificare come “res inter alios acta”, rispetto a ciascuno dei due rapporti (di lavoro e previdenziale), il giudicato intervenuto nel giudizio inerente all’altro rapporto contributivo. Non essendo revocabile in dubbio, in relazione all’oggetto di questa causa, che il lavoratore sia titolare, quanto alla tutela esperibile sul fronte contrattuale, di un autonomo diritto al regolare versamento contributivo la cui violazione determina in caso di danno (per rifiuto RAGIONE_SOCIALE prestazione o diminuzione RAGIONE_SOCIALE entità RAGIONE_SOCIALE prestazione, dovuta alla prescrizione RAGIONE_SOCIALE contribuzione) il diritto al risarcimento del danno ex art. 2116, 2 comma c.p.c. anche nella sua proiezione futura (come pure subito si vedrà in relazione al motivo di ricorso principale). Questa Corte ha invero affermato in più
circostanze che si possa agire nei confronti del datore di lavoro anche prima che il danno si produca, ed anche con domanda di condanna generica (Cass. n. 1179 del 22/01/2015: ‘L’omissione RAGIONE_SOCIALE contribuzione produce un duplice pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, consistente, da un lato, dalla perdita, totale o parziale, RAGIONE_SOCIALE prestazione previdenziale pensionistica, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile, e, dall’altro, dalla necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva, eventualmente pagando quanto occorre a costituire la rendita di cui all’art. 13 RAGIONE_SOCIALE legge 12 agosto 1962, n. 1338. Ne consegue che le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare il lavoratore, nei confronti del datore di lavoro, consistono, una volta raggiunta l’età pensionabile, nella perdita totale o parziale RAGIONE_SOCIALE pensione che dà luogo al danno risarcibile ex art. 2116 cod. civ., mentre, prima del raggiungimento dell’età pensionabile e del compimento RAGIONE_SOCIALE prescrizione del diritto ai contributi, nel danno da irregolarità contributiva, a fronte del quale il lavoratore può esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 cod. civ., ovvero di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso).
In questi termini si è espressa anche la Corte di appello di Bari nella sentenza impugnata (a pagg. 13 e 14) richiamando la pacifica giurisprudenza di questa Corte Cassazione (nn. 2900/1985 e 11622/1995, 4142/2001, 3122/2003, nonché 9180/2014).
11.- Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per avere del tutto
omesso di considerare l’eccezione svolta all’ospedale riguardo ai conteggi prodotti dal dottor COGNOME.
Il motivo è infondato; ed invero, per un verso, la Corte di appello ha in realtà valutato l’erroneità dei conteggi eccepita dall’RAGIONE_SOCIALE, ma l’ha superata affermando che i conteggi appaiono elaborati in maniera corretta ossia tenendo conto anche delle variazioni degli imponibili operate dopo la liquidazione delle competenze mensili (e con ciò deve ritenersi risolta ogni questione in punto di esattezza del risarcimento). Va pure considerato, sotto altro verso, che per costante e condiviso orientamento di questa Corte il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado; la violazione non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su un argomento che totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga l’accoglimento o il rigetto: infatti nel primo caso l’esame RAGIONE_SOCIALE censura è inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata (Cass. 19 maggio 2016, n. 1756; Cass. 17 luglio 2007, n. 15882; Cass. 14 gennaio 2015, n. 452).
12.Passando ora all’esame dell’unico motivo del ricorso principale, deve affermarsene la fondatezza.
Ed invero, come risulta dalla sentenza e, inoltre, da quanto trascritto in ricorso, senza contestazioni RAGIONE_SOCIALE controparte, il ricorrente, dirigente medico presso l’RAGIONE_SOCIALE convenuto dal 1977 al 2012, aveva promosso azione nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno ex art.2116 c.c. c agionato dall’inesatto adempimento degli obblighi contributivi da parte del medesimo RAGIONE_SOCIALE che aveva decurtato l’imponibile previdenziale, con conseguente omissione contributiva e danno economico nella decurtazione RAGIONE_SOCIALE pensione, la cui quantificazione era contenuta nei conteggi analitici allegati.
12.1. Oltre alla condanna al risarcimento del danno pari ad € 14.327,91 relativamente al periodo di godimento RAGIONE_SOCIALE pensione dal 01/07/2012 al 30/04/2015, il lavoratore aveva richiesto la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE a risarcirgli il danno provocato dalla data di pensionamento al momento di effettivo godimento del diritto alla pensione da parte del ricorrente e dei suoi eredi.
Pertanto, poiché risulta che era stata proposta anche la domanda di condanna generica, peraltro, in linea con il tipo di azione risarcitoria esercitata in relazione al danno anche futuro derivante dall’omissione contributiva per contributi non versati e prescritti (Cass. Da ultimo Cass. 8 giugno 2021, n. 15947; fra le altre, Cass. 5 febbraio 2014, n. 2630; negli stessi termini, Cass. 3 dicembre 2004, n. 2275), il motivo di ricorso deve essere accolto, avendo la Corte di appello omesso di pronunciare su tutta la domanda, contravvenendo pertanto all’art. 112 c.p.c. richiamato nel motivo di ricorso.
13.- Sulla scorta di tali premesse, occorre quindi procedere all’accoglimento del ricorso principale ed al rigetto del ricorso incidentale. La sentenza deve essere cassata in relazione al ricorso accolto con rimessione RAGIONE_SOCIALE causa al giudice di rinvio indicato in dispositivo per la prosecuzione RAGIONE_SOCIALE causa e la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
14.- Si dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, ex art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari per la prosecuzione RAGIONE_SOCIALE causa e la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto Così deciso in Roma all’udienza del 30 gennaio 2024.