Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8141 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7517/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende; -ricorrente- contro
NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7987/2019, depositata il 23/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di un terreno con annesso fabbricato sito in Bracciano, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Civitavecchia NOME COGNOME, chiedendo che fosse condannato alla demolizione delle opere realizzate in violazione delle distanze legali e al risarcimento del danno. Gli attori esponevano che il convenuto, proprietario di un fondo confinante, aveva realizzato, elevando il piano campagna, un piano interrato ricoperto con massicci riporti di terra, così creando un terrapieno alto metri 1,80 arginato con un muro di contenimento; deducevano che il manufatto violava sia le distanze legali, atteso che le pareti in cemento armato dell’intercapedine si trovavano a metri 5,20 dal confine e non a metri 6 come prescritto dal regolamento edilizio comunale, sia le norme in materia di scolo delle acque, oltre a determinare una riduzione della visuale di cui godeva il loro immobile.
Il Tribunale di Civitavecchia, con la sentenza n. 17/2010, rigettava le domande, ritenendo, per quando interessa il presente giudizio, che il manufatto oggetto di contestazione risultasse completamente interrato, così che non erano state violate le norme in materia di distanze.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME e NOME COGNOME. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 7987/2019, ha parzialmente accolto il gravame e ha condannato NOME COGNOME ad arretrare alla distanza di metri 6 dal confine la parete delimitante il volume interrato da lui realizzato.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME, in proprio e quale erede di NOME COGNOME.
Memoria è stata depositata dai controricorrenti e dal ricorrente.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso è articolato in un unico motivo che contesta violazione degli artt. 872 e 873 c.c.: la Corte d’appello -si afferma -ha erroneamente sussunto la fattispecie nell’ambito della disciplina dettata dagli art. 872 e 873 c.c.; correttamente il primo giudice aveva rigettato la domanda sotto il profilo dell’irrilevanza ai fini dell’art. 873 c.c. dell’opera realizzata dal ricorrente, in quanto la giurisprudenza della Corte di cassazione costantemente afferma che la nozione di costruzione comprende qualsiasi opera non completamente interrata e il manufatto realizzato dal ricorrente risulta interamente interrato e non dà luogo ad alcuna intercapedine, né ad opera urbanisticamente rilevante.
Il motivo è privo di fondamento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte. la sporgenza del manufatto dal suolo, quale requisito necessario perché lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali nei rapporti di vicinato, va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioè al livello naturale del terreno (cfr. Cass. n. 5450/1998, Cass. n. 15033/2019 e Cass. n. 32583/2023).
Nel caso in esame il giudice di merito ha accertato che il manufatto è stato realizzato elevandolo dal preesistente piano di campagna di metri 1,74, con l’edificazione di un muro di contenimento posto ad una distanza minore rispetto a quella prevista dal regolamento edilizio e che il piano interrato è stato colmato con riporto di terra. Dato che la sporgenza del manufatto dal suolo, quale requisito necessario perché lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali, va riscontrata con riferimento al piano di campagna originario, ossia al livello naturale del terreno e non già a quello artificialmente realizzato, con l’impossibilità pertanto di ritenere il manufatto in esame come interrato, ne
consegue la piena applicazione della normativa sulle distanze legali e, pertanto, la correttezza della pronuncia oggi impugnata.
2. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 4.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda