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Permesso di soggiorno per convivenza: sì alla prova orale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11033/2024, ha stabilito che per ottenere il permesso di soggiorno per convivenza non è indispensabile la registrazione anagrafica della coppia. Una relazione stabile tra un cittadino UE e un partner extracomunitario può essere provata anche tramite testimonianze, purché serie e rigorose. La Corte ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno, privilegiando la tutela dell’unità familiare, come previsto dalla normativa europea, rispetto a un’interpretazione eccessivamente formalistica della legge nazionale.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Permesso di soggiorno per convivenza: La Cassazione Apre alla Prova Testimoniale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale per molte coppie binazionali: per ottenere il permesso di soggiorno per convivenza non è sempre necessaria la registrazione anagrafica. La prova di una relazione stabile e duratura può essere fornita anche tramite testimoni. Questa decisione rappresenta una vittoria della sostanza sulla forma, allineando il diritto italiano ai principi europei di tutela della vita familiare.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una cittadina colombiana, entrata in Italia con un visto turistico, che aveva instaurato una stabile relazione di convivenza con un cittadino italiano. A seguito della sua richiesta di un permesso di soggiorno per motivi familiari, la Questura competente aveva emesso un provvedimento di diniego. La motivazione? La mancanza di una certificazione amministrativa, come l’iscrizione anagrafica, che attestasse ufficialmente la stabilità della convivenza.

La coppia non si è arresa. La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, ha dato ragione alla donna, ritenendo che la prova della convivenza more uxorio potesse essere fornita anche giudizialmente. Nello specifico, la testimonianza del partner italiano, ritenuta credibile nel descrivere la genesi e l’evoluzione del loro rapporto, è stata considerata sufficiente. Contro questa decisione, il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la necessità di un controllo rigoroso basato su atti formali.

Il Permesso di soggiorno per convivenza secondo il Ministero

La posizione del Ministero e del Procuratore Generale si basava su un’interpretazione restrittiva della normativa. Secondo questa tesi, per garantire un controllo effettivo sui flussi migratori, il diritto al soggiorno per motivi familiari dovrebbe essere concesso solo in presenza di un “rapporto qualificato”, ossia matrimonio, unione civile o, al massimo, una convivenza stabile risultante da una dichiarazione anagrafica.

L’idea di una convivenza “di conio giurisprudenziale”, provata solo tramite testimoni, è stata vista come una via per eludere i controlli, poiché un atto pubblico come la dichiarazione anagrafica espone i dichiaranti a responsabilità in caso di falsità. In sostanza, si sosteneva che la “documentazione ufficiale” richiesta dalla legge (D.Lgs. 30/2007) dovesse essere interpretata come un documento amministrativo preesistente, escludendo la possibilità di un accertamento giudiziale basato su prove orali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del Ministero, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito che, sebbene la dichiarazione anagrafica sia uno strumento privilegiato di prova, non è l’unico mezzo per dimostrare l’esistenza di una relazione stabile ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.

Le Motivazioni

Il ragionamento della Corte si fonda su un’attenta analisi del diritto europeo, in particolare della Direttiva 2004/38/CE, che mira a preservare l’unità familiare in senso ampio. La normativa italiana, nel recepire tale direttiva, parla di “relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale”. Tuttavia, la Corte ha sottolineato che questo non può tradursi in un onere probatorio insuperabile.

La stessa Commissione Europea, negli orientamenti per l’applicazione della direttiva, ha specificato che la prova della stabilità della relazione può essere fornita con “qualsiasi idoneo mezzo”. Di conseguenza, un’interpretazione che limiti la prova alla sola registrazione anagrafica sarebbe eccessivamente formalistica e contraria allo spirito della norma europea.

La Corte ha affermato che, in caso di diniego da parte dell’amministrazione motivato dalla mancanza di documentazione formale, il cittadino straniero ha il diritto di adire il giudice ordinario. In tale sede, il diritto soggettivo al soggiorno può essere accertato attraverso tutti i mezzi di prova ammessi, inclusa la prova testimoniale. Quest’ultima, se ritenuta dal giudice seria, rigorosa e credibile, è pienamente idonea a dimostrare la realtà e la stabilità del legame familiare e della convivenza. I giudici hanno anche osservato che la deposizione testimoniale, al pari di una dichiarazione pubblica, espone chi dichiara il falso a responsabilità penale, garantendo quindi un adeguato livello di serietà.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha un’importante implicazione pratica: rafforza la tutela delle coppie di fatto binazionali. Stabilisce che il diritto fondamentale alla vita familiare non può essere sacrificato sull’altare di un mero formalismo burocratico. Se l’amministrazione nega il permesso per la sola assenza di una registrazione, la coppia può rivolgersi a un giudice e dimostrare la veridicità del proprio legame con ogni mezzo di prova, inclusa la testimonianza. È una decisione che privilegia la realtà effettiva dei legami affettivi rispetto alla loro certificazione formale, garantendo una protezione più sostanziale e in linea con i principi del diritto europeo.

È obbligatoria la registrazione anagrafica della convivenza per ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari?
No, la sentenza chiarisce che la registrazione anagrafica è uno strumento di prova privilegiato ma non l’unico. L’esistenza di una relazione stabile può essere dimostrata anche con altri mezzi, come la prova testimoniale in sede giudiziale.

La testimonianza di una persona può bastare per dimostrare una relazione stabile ai fini del permesso di soggiorno per convivenza?
Sì, a condizione che la prova testimoniale sia ritenuta dal giudice seria, rigorosa e idonea a dimostrare l’effettiva esistenza e stabilità della convivenza e del legame familiare tra il cittadino straniero e il partner cittadino dell’UE.

Questa sentenza si applica solo ai partner di cittadini italiani?
La sentenza si basa sull’interpretazione della normativa europea (Direttiva 2004/38/CE) e della relativa legge di attuazione nazionale (D.Lgs. 30/2007). Pertanto, i principi affermati si applicano al partner extracomunitario che abbia una relazione stabile con un qualsiasi cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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