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Permesso assistenza disabile: no al riposo compensativo

La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento di un dipendente che utilizzava il permesso per assistenza a familiare disabile per riposare durante il giorno, con l’intento di assistere il parente di notte. Secondo la Corte, il permesso deve avere un nesso causale diretto con l’attività di assistenza e non può essere fruito per finalità meramente compensative, configurando altrimenti un abuso del diritto.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Permesso per assistenza a familiare disabile: Non è per il Riposo Compensativo

L’uso del permesso per assistenza a familiare disabile, previsto dalla Legge 104/1992, è un diritto fondamentale per molti lavoratori, ma il suo esercizio deve rispettare precise finalità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio cruciale: il permesso non può essere utilizzato per un riposo meramente compensativo, ma deve essere direttamente collegato all’attività di assistenza. Approfondiamo questa importante decisione.

Il caso: licenziamento per abuso del permesso assistenziale

Un dipendente di un’azienda televisiva è stato licenziato per motivi disciplinari. L’accusa era di aver usufruito in modo illegittimo di alcuni giorni di permesso per assistere un familiare disabile. In particolare, la contestazione riguardava l’assenza del lavoratore durante la fascia oraria diurna (dalle 08:00 alle 22:00) nei giorni di permesso.

Il lavoratore si è difeso sostenendo che, sebbene non fosse fisicamente con il padre durante il giorno, utilizzava quelle ore per riposare. Questo riposo, a suo dire, era necessario per poter poi fornire assistenza al familiare durante la notte, dalle 23:00 alle 07:00.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le ragioni del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento. La questione è quindi approdata dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione sull’abuso del permesso per assistenza a familiare disabile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno stabilito che il comportamento del lavoratore integrava un abuso del diritto, violando i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente previdenziale.

Il punto centrale della decisione è il concetto di “nesso causale”. I permessi retribuiti sono concessi per una finalità specifica e solidaristica: consentire al lavoratore di assentarsi per prestare assistenza a un familiare in condizioni di disabilità. L’assenza dal lavoro deve quindi essere in relazione diretta con questa esigenza.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su diverse argomentazioni giuridiche chiare e distinte.

In primo luogo, ha richiamato un proprio consolidato orientamento (Cass. n. 17968/2016) secondo cui la ratio della norma non consente un utilizzo dei permessi per scopi meramente compensativi. L’assenza non può essere giustificata dalla necessità di recuperare energie per un’assistenza da prestare in un momento diverso. L’assistenza deve essere la causa diretta dell’assenza, non una sua conseguenza mediata.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione dell’onere probatorio. Una volta che il datore di lavoro ha provato la mancata assistenza durante l’orario del permesso (fatto pacifico nel caso di specie), spetta al lavoratore dimostrare la fondatezza della sua giustificazione. Nel caso esaminato, il dipendente non solo non ha fornito alcuna prova della sua effettiva presenza notturna presso l’abitazione del padre, ma la documentazione investigativa prodotta dall’azienda suggeriva il contrario.

Infine, i giudici hanno chiarito che l’analisi della giustificazione del lavoratore (l’assistenza notturna) non rappresentava una modifica della contestazione disciplinare. Era, invece, un’attività istruttoria necessaria per valutare la difesa del dipendente. Avendo il lavoratore stesso introdotto questo elemento a sua discolpa, era suo onere provarlo, conformemente all’art. 2697 del Codice Civile.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale nella gestione del permesso per assistenza a familiare disabile: il beneficio deve essere utilizzato in coerenza con la sua funzione. Non è uno strumento per riorganizzare il proprio tempo o per riposare, ma un aiuto concreto per un’assistenza che deve essere effettiva e direttamente collegata all’assenza dal lavoro. Per i lavoratori, ciò significa esercitare questo diritto con la massima correttezza, documentando, se necessario, la correlazione tra permesso e assistenza. Per i datori di lavoro, conferma la possibilità di sanzionare gli abusi, a condizione di poter provare l’utilizzo improprio del permesso da parte del dipendente.

Posso usare un permesso per l’assistenza a un familiare disabile per riposare, in modo da poterlo assistere in un altro momento (es. di notte)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che i permessi devono essere fruiti in coerenza con la loro funzione e in presenza di un nesso causale diretto con l’attività di assistenza. Non possono essere utilizzati per riposare in funzione meramente compensativa delle energie impiegate in altri momenti per l’assistenza.

Il datore di lavoro è sempre obbligato a fornire al dipendente la relazione investigativa prima di una contestazione disciplinare?
No. Secondo la sentenza, l’art. 7 della L. n. 300/1970 non impone al datore di lavoro un obbligo generalizzato di mostrare la documentazione aziendale, salvo che ciò sia strettamente necessario per un’adeguata difesa. Se la contestazione disciplinare è già molto specifica, come nel caso di specie, un’ulteriore esigenza difensiva potrebbe non sussistere.

Se il lavoratore giustifica l’assenza dal lavoro con un’attività di assistenza svolta in un orario diverso da quello del permesso, su chi ricade l’onere di provare tale circostanza?
L’onere della prova ricade sul lavoratore. Una volta che il datore di lavoro ha provato la mancata assistenza durante l’orario di permesso oggetto di contestazione, spetta al lavoratore dimostrare la fondatezza della sua giustificazione (ad esempio, l’aver prestato assistenza in orario notturno).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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