Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 507 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 507 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
OGGETTO:
permesso per assistenza a familiare disabile – assenza dal lavoro -nesso di causalità – necessità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
13002/2022 r.g., proposto
da
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1106/2022 pubblicata in data 11/03/2022, n.r.g. 3498/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 17/05/2019, quando era stato licenziato per ragioni disciplinari, consistenti nella illegittima fruizione di permessi giornalieri per assistenza a familiare disabile nei giorni 23, 28 e 29 marzo 2019 nella fascia oraria dalle 08,00 alle 22,00.
Deduceva che il licenziamento era affetto da vari vizi, anche procedimentali per violazione del suo diritto di difesa, determinato dal rifiuto datoriale di messa a disposizione della relazione investigativa; assumeva che comunque il fatto contestato era insussistente o in ogni caso era privo di rilievo disciplinare.
Adìva il Tribunale di Roma per ottenere la declaratoria di nullità e/o annullabilità e/o illegittimità e/o inefficacia del recesso datoriale, l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitori a pari alla retribuzione globale di fatto maturata medio tempore, sulla base di quella lorda mensile di euro 2.357,85. In subordine chiedeva la declaratoria di inefficacia del licenziamento per difetto di motivazione e la tutela di cui all’art. 18, co. 6, L. n. 300/1970 con liquidazione dell’indennità risarcitoria nella misura massima.
2.Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale sia all’esito della fase c.d. sommaria, sia di quella a cognizione piena, rigettava l’impugnazione del licenziamento.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la mancata messa a disposizione della relazione investigativa non costituisce alcuna violazione del diritto di difesa del lavoratore, come insegna la Corte di Cassazione (Cass. n. 27093/2018), secondo cui l’art. 7 L. n. 300/1970 non impone al datore di lavoro alcun obbligo di ostendere la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati in via disciplinare, salvo che ciò sia necessario per un’adeguata difesa;
nel caso in esame la contestazione disciplinare era molto specifica, sicché non vi era alcuna ulteriore esigenza difensiva da soddisfare;
nessuna modifica della contestazione disciplinare vi è stata circa l’orario (dalle 23,00 alle 07,00 piuttosto che dalle 08,00 alle 22,00, come contestato), poiché quella deduzione contenuta nella memoria difensiva è volta solo a contrastare la tesi difensiva del lavoratore, palesata nel ricorso introduttivo, circa l’utilizzo della fascia oraria dalle 08,00 alle
22,00 per riposare, al fine di assistere poi il padre dalle 23,00 alle 07,00 ossia di assicurare un ‘accudimento notturno’;
secondo la Corte di Cassazione i permessi devono essere fruiti in coerenza con la loro funzione ed in presenza di un nesso causale con l’attività di assistenza al disabile e non già per riposare in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza (Cass. n. 17968/2016), sicché il dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra abuso del diritto e viola i principi di correttezza e di buona fede;
in ogni caso la dedotta assistenza notturna al padre non solo risulta priva di qualunque riscontro probatorio, ma dalla documentazione allegata alla relazione investigativa si evince che sia alle ore 23,00, sia alle ore 07,00 dei giorni oggetto della contestazione il dipendente non si trovava presso l’abitazione pat erna, dove veniva invece riscontrata in orario serale la presenza del padre in compagnia di un uomo straniero;
nessun capitolo di prova articolato dal COGNOME ha ad oggetto l’effettiva presenza dello stesso presso l’abitazione paterna nelle notti indicate in ricorso per assistere il padre.
4.Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, pro posto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta la ‘nullità’ della sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale omesso di motivare circa lo specifico motivo di reclamo, con cui egli si era doluto della decisione del Tribunale di ritenere non necessaria a fini difensivi la previa conoscenza della relazione investigativa.
Il motivo è inammissibile sia perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter , co. 4 e 5 c.p.c., applicabile ratione temporis c.p.c.), sia perché si fonda sul presupposto che la società abbia mutato la contestazione
disciplinare. Tale mutamento invece è stato espressamente escluso dalla Corte d’Appello, che ha qualificato la deduzione della società (circa la mancata fruizione dei permessi anche nella fascia oraria 23,00-07,00) solo come una ‘difesa’ rispetto alla gius tificazione addotta per la prima volta dal lavoratore in sede di ricorso introduttivo. Il ricorrente non si confronta in alcun modo con questa qualificazione operata dai giudici del reclamo, anzi insiste nel ritenere che l’effettiva contestazione disciplin are sarebbe quella poi emersa in giudizio (v. ricorso per cassazione, p. 25) e proprio rispetto a ciò paventa la violazione del suo diritto di difesa disciplinare. Ma quel presupposto è insussistente, alla luce della specifica argomentazione spesa dalla Corte territoriale circa la valenza da riconoscere a quella deduzione avente funzione meramente difensiva.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la ‘nullità’ della sentenza per ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1324, 1362, 1366 e 1370 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato la nota di contestazione disciplinare.
Il motivo è inammissibile, perché finisce per fornire un’opzione ermeneutica meramente oppositiva all’interpretazione fornita dai giudici del reclamo. Quest’ultima, peraltro, è strettamente aderente alla lettera di contestazione disciplinare laddove la Corte territoriale prende atto che essa aveva ad oggetto la mancata assistenza al padre disabile nella fascia oraria fra le 08,00 e le 22,00 e che l’ulteriore deduzione circa la mancata assistenza anche nella fascia oraria fra le 23,00 e le 07,00 era stata solo la contestazione dell’argomento difensivo utilizzato dal lavoratore di aver svolto l’assistenza nel periodo notturno.
Il motivo è altresì inammissibile, perché in ogni caso la decisione impugnata si fonda su un’autonoma ratio decidendi : posto che è pacifico il fatto che nella fascia oraria 08,00-22,00 il COGNOME non abbia prestato assistenza al padre, il permesso non può essere utilizzato per finalità meramente compensative (ossia di riposo) rispetto alle energie spese in altri momenti per l’assistenza. Sul punto i giudici del reclamo hanno ricordato una pronunzia di questa Corte (Cass. n. 17968/2016) al cui principio di diritto va data continuità: il permesso ex art. 33 L. n. 104/1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile, rispetto alla quale l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione
causale diretta, senza che il dato testuale e la ratio della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.
E dunque il motivo è inammissibile, perché, qualora la sentenza impugnata con ricorso per cassazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata (Cass. n. 13880/2020), o comunque per carenza di interesse. Infatti, anche laddove fosse accolto il motivo di ricorso, comunque la sentenza impugnata non potrebbe essere cassata, in quanto autonomamente e sufficientemente sostenuta dall’altra ratio decidendi non censurata.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la ‘nullità’ della sentenza per ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 7 L. n. 300/1970, 2 L. n. 604/1966, 1175 e 1375 c.c. per avere la Corte d’Appello esteso la sua cognizione alla circostanza eccepita dal lavoratore -dell’assistenza nella fascia oraria notturna, ritenendola priva di prova, pur essendo quella circostanza estranea alla contestazione disciplinare.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha esteso la cognizione a quella circostanza non perché fosse oggetto di contestazione disciplinare -fatto espressamente escluso dai giudici del reclamo -bensì solo per verificare se la pacifica mancata assistenza nella fascia diurna potesse dirsi in quale modo giustificata da quella notturna, come aveva eccepito il lavoratore. Quindi si è trattato di una cognizione ‘di favore’ per il COGNOME, perché estesa all’accertamento della fondatezza dell’eccezione in fatto da lui sollevata n el ricorso di impugnazione del licenziamento e riproposta in secondo grado. Il difetto di prova riscontrato ha esattamente portato la Corte territoriale a ritenere allora la mancata assistenza diurna -unico oggetto di contestazione disciplinare -in nessun
modo giustificata e, quindi, sanzionabile disciplinarmente.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la ‘nullità’ della sentenza per motivazione omessa, apparente, manifesta e affetta da irriducibile illogicità e contraddittorietà, nonché la violazione degli artt. 132, n. 4, e 112 c.p.c., nonché dell’art. 111 Cost. per avere la Corte motivato in modo incomprensibile la sua decisione, tanto da non consentire di comprendere se abbia ritenuto che la contestazione disciplinare riguardi la mancata assistenza nella fascia oraria diurna oppure anche in quella notturna.
Il motivo è infondato alla luce delle considerazioni sopra svolte in relazione al terzo motivo.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la ‘nullità’ della sentenza per ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2697 c.c. e 5 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale realizzato una vera e propria inversione dell’onere probatorio.
Il motivo è infondato alla luce delle considerazioni sopra svolte in relazione al terzo motivo. Una volta escluso che la mancata assistenza nella fascia notturna fosse stata oggetto di contestazione disciplinare e ricondotta invece alla sede propria della giustificazione addotta dal lavoratore, in modo conforme a diritto (art. 2697 c.c.) la Corte territoriale ha preteso dal lavoratore la prova di tale giustificazione, una volta raggiunta la prova (invero per pacificità del fatto) della mancata assistenza nella fascia diurna oggetto di contestazione disciplinare e, quindi, delimitante l’onere probatorio incombente sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 5 L. n. 604/1966.
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta la ‘nullità’ della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, rappresentata dalla sua istanza di ammissione della prova testimoniale.
Il motivo è inammissibile sia perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter , co. 4 e 5 c.p.c., applicabile ratione temporis ), sia perché si fonda sull’assunto per cui la mancata assistenza nella fascia notturna dovesse essere provata dalla datrice di lavoro, il che non è, come sopra si è detto.
7.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data