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Permessi studio telematici: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25038/2025, interviene sulla questione dei permessi studio per i corsi universitari online. Ribaltando le decisioni dei gradi precedenti, la Corte ha stabilito che i permessi retribuiti spettano solo se il dipendente dimostra che le lezioni telematiche potevano essere seguite esclusivamente in orari coincidenti con quelli lavorativi. In assenza di tale prova, prevale la presunzione che il lavoratore possa seguire i corsi al di fuori dell’orario di servizio, venendo meno la necessità dell’assenza giustificata. Il caso riguardava alcuni dipendenti di un’amministrazione pubblica che si erano visti negare i permessi perché iscritti a un’università telematica.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Permessi Studio Telematici: La Cassazione Mette un Freno

Con la crescente diffusione delle università online, è sorta una domanda cruciale nel mondo del lavoro: come si gestiscono i permessi studio telematici? Un dipendente ha diritto alle 150 ore di permesso retribuito anche se i corsi possono essere seguiti in modalità asincrona, cioè in qualsiasi momento? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, tracciando una linea netta e ponendo l’onere della prova a carico del lavoratore.

I fatti di causa

La vicenda ha origine dalla richiesta di alcuni dipendenti di un’amministrazione pubblica di poter usufruire dei permessi per il diritto allo studio, previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), per frequentare corsi presso un’università telematica. L’amministrazione datrice di lavoro aveva respinto la richiesta, sostenendo che, a differenza dei corsi in presenza, quelli online non impongono vincoli d’orario. Di conseguenza, i dipendenti avrebbero potuto seguire le lezioni nel loro tempo libero, senza la necessità di assentarsi durante l’orario di lavoro.

Le decisioni dei giudici di merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai lavoratori. Secondo i giudici di merito, la normativa contrattuale non prevedeva alcuna distinzione tra università tradizionali e telematiche. Imporre ai dipendenti che seguono corsi online di studiare solo al di fuori dell’orario di lavoro avrebbe significato creare una disparità di trattamento e un ostacolo al diritto allo studio, costringendoli a un “gravoso cumulo dell’orario di lavoro con la frequenza universitaria”. La tesi era che il diritto ai permessi non dovesse essere condizionato alla dimostrazione dell’impossibilità di frequentare i corsi in orari diversi da quelli lavorativi.

Permessi studio telematici: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva. Accogliendo il ricorso dell’amministrazione, ha affermato un principio chiave: i permessi retribuiti sono concessi per frequentare corsi in orari coincidenti con quelli di servizio. La finalità dei permessi è quella di giustificare un’assenza che altrimenti non sarebbe consentita, non di fornire tempo aggiuntivo per lo studio.

Nel caso delle università telematiche, dove le lezioni sono spesso erogate in modalità asincrona (cioè registrate e fruibili in qualsiasi momento), viene a mancare il presupposto fondamentale della necessaria coincidenza tra l’orario della lezione e l’orario di lavoro. Il lavoratore, infatti, potrebbe scegliere liberamente di seguire i corsi la sera, nei fine settimana o in altri momenti non lavorativi.

L’onere della prova a carico del dipendente

La conseguenza di questo ragionamento è fondamentale: spetta al lavoratore dimostrare la necessità di usufruire del permesso. Non basta essere iscritti a un corso. Il dipendente deve provare, attraverso un’idonea documentazione rilasciata dall’ateneo, che le attività didattiche (lezioni, esercitazioni, tutorati) erano accessibili esclusivamente in determinati orari e giorni coincidenti con la sua prestazione lavorativa. Solo in questo caso, l’assenza diventa giustificata e il permesso retribuito può essere concesso.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte fonda la sua decisione sull’interpretazione della normativa contrattuale (in particolare l’art. 46 del CCNL Funzioni Centrali 2016-2018) e sui principi generali in materia. Il permesso non è un diritto incondizionato, ma uno strumento finalizzato a superare un ostacolo oggettivo: l’impossibilità di essere contemporaneamente al lavoro e a lezione. Se questo ostacolo non esiste, perché il lavoratore ha la flessibilità di scegliere quando studiare, allora la ragione stessa del permesso viene meno.

La Corte ha specificato che l’assenza dal servizio deve dipendere da “fatti oggettivi coincidenti con le ordinarie prestazioni lavorative” e non da “scelte discrezionali del dipendente”. Permettere l’uso dei permessi per corsi fruibili in qualsiasi momento trasformerebbe di fatto i permessi studio in un monte ore aggiuntivo a disposizione del lavoratore per l’attività di studio in generale, snaturando la loro funzione originaria, che è legata alla frequenza delle lezioni. La Corte richiama precedenti sentenze (Cass. n. 10344/2008 e n. 17128/2013) che già avevano stabilito come i permessi coprano la partecipazione alle lezioni coincidenti con l’orario di servizio, escludendo la mera attività di preparazione degli esami o altre attività complementari.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione stabilisce un punto fermo con importanti implicazioni pratiche per migliaia di dipendenti pubblici e privati. Chi è iscritto a un’università telematica e intende richiedere i permessi per il diritto allo studio deve ora attivarsi per ottenere dal proprio ateneo una certificazione specifica. Tale documento deve attestare che la frequenza di determinate attività didattiche è possibile solo in orari che si sovrappongono a quelli lavorativi. In assenza di questa prova, le amministrazioni e le aziende saranno legittimate a negare la concessione dei permessi retribuiti. La flessibilità offerta dalla formazione a distanza, se da un lato è un vantaggio, dall’altro riduce, secondo la Cassazione, la necessità di assentarsi dal lavoro.

Un dipendente che frequenta un’università telematica ha sempre diritto ai permessi studio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto ai permessi studio per chi frequenta corsi telematici non è automatico. Spetta solo se il lavoratore dimostra che le attività didattiche online erano accessibili esclusivamente in orari coincidenti con il suo orario di lavoro.

Cosa deve dimostrare il lavoratore per ottenere i permessi per un corso online?
Il lavoratore deve presentare al datore di lavoro un’apposita documentazione rilasciata dall’università che attesti in modo inequivocabile la necessità di frequentare le lezioni o altre attività formative obbligatorie in orari e giorni specifici che si sovrappongono con il suo turno di lavoro.

La decisione della Cassazione si applica solo ai dipendenti pubblici?
Sebbene il caso specifico riguardasse dipendenti del pubblico impiego e facesse riferimento a un CCNL di quel comparto, il principio giuridico affermato dalla Corte ha una portata generale. Riguarda la finalità stessa dei permessi studio e l’onere della prova, principi che possono essere applicati per analogia anche nel settore privato, a seconda di quanto previsto dai relativi contratti collettivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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