Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24483 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24483 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 16061/2020
promosso da
Comune di Strevi , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME – Funzione Affari Legali di RAGIONE_SOCIALE, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1635/2019, pubblicata l’08/10/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Cons. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio il Comune di Strevi davanti al Tribunale di Alessandria, chiedendo il rimborso dei permessi retribuiti corrisposti al dipendente NOME COGNOME Sindaco del Comune di Strevi negli anni 2010 e 2011, per la partecipazione alle sedute del Consiglio comunale, in applicazione dell’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL), il quale prevede che le assenze dal servizio del lavoratore dipendente, dovute dall’essere lo stesso un amministratore locale, sono retribuite dal datore di lavoro, ma gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell’ente presso cui i lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all’art. 79 d.lgs. cit.
Nel costituirsi in giudizio, il Comune di Strevi chiedeva il rigetto delle domande avversarie.
Con sentenza n. 757/2017 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando il Comune di Strevi a rimborsare a Poste Italiane s.p.a. la somma di € 13.911,45, oltre alle spese legali.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune, che, nel contradditorio delle parti, veniva respinto.
La Corte territoriale riteneva applicabile il disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000 nei confronti di Poste Italiane s.p.a., con conseguente accoglimento della richiesta di rimborso formulata da tale società degli oneri sostenuti per i permessi usufruiti dal dipendente, NOME COGNOME nel periodo in cui quest’ultimo era stato Sindaco del Comune di Strevi, per poter svolgere il suo mandato elettorale.
In particolare, la menzionata Corte rilevava che: RAGIONE_SOCIALE è una società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia, ma è operativa anche nel settore della telefonia mobile, assicurativo e finanziario; la trasformazione di RAGIONE_SOCIALE in società per azioni è avvenuta con delibera del CIPE il 18 dicembre 1997, in attuazione del d.l. n. 487 del 1993, conv. con modif. in l. n. 71 del 1994, che ha previsto la trasformazione di RAGIONE_SOCIALE da pubblica amministrazione ad ente pubblico economico e, poi, in società per azioni entro il 1996.
La Corte evidenziava che, alla fine dell’anno 2015, su impulso del Ministero delle Finanze, è stato avviato il processo di vendita delle azioni di Poste Italiane s.p.aRAGIONE_SOCIALE e che il settore del servizio postale è stato, negli anni, oggetto di un processo di progressiva liberalizzazione, tant’è che, con l’emanazione del d.lgs. n. 58 del 2011, che ha recepito la terza direttiva postale (direttiva 2008/6/CE), risulta ad oggi, ad ogni effetto, abolita l’ultima quota residua del monopolio di Poste Italiane s.p.a.
Aggiungeva che la terza direttiva distingue tra servizi postali universali e non universali, precisando che i primi sono soggetti a regolamentazione e ad obblighi specifici su prezzi e qualità definiti da norme nazionali, mentre i secondi, inclusivi sia dei servizi postali mail non universali sia di quelli forniti dai corrieri espressi, sono sottoposti a minori obblighi di natura regolamentare, in quanto offerti in un mercato concorrenziale, restando, in sintesi, affidate a RAGIONE_SOCIALE, in INDIRIZZO esclusiva, le notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e degli atti relativi al Codice della strada (c.d. servizi postali riservati), ma, al di fuori di queste specifiche attività, che si possono definire di “pubblico interesse”, i servizi offerti da Poste Italiane s.p.a. devono ritenersi interamente assoggettati alle regole del libero mercato.
La Corte di merito non condivideva gli argomenti dell’appellante, che riteneva il parere del Consiglio di Stato n. 706 del 22/12/2011, posto a fondamento della decisione del primo giudice, contrastante con la disciplina normativa che regola le società a partecipazione pubblica, evidenziando che sono indifferenti rispetto al settore in esame le speciali regole riguardanti la governance societaria, così dovendosi ritenere ininfluenti gli indici richiamati dall’appellante, come pure nessun rilievo aveva la nozione di “organismo di diritto pubblico”, di derivazione comunitaria, sorta al fine di verificare se un ente che opera anche – per perseguire finalità pubbliche sia da considerarsi, in caso di appalto, soggetto alle regole dell’evidenza pubblica.
A supporto della decisione, la Corte d’appello richiamava una recente pronuncia di legittimità (cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 4899 del 01/03/2018), ove si era precisato che le controversie relative all’aggiudicazione dell’appalto del servizio sostitutivo di mensa, reso mediante buoni posto cartacei, per i dipendenti di Poste Italiane s.p.a. appartengono alla giurisdizione ordinario, atteso che tale appalto non rientra nella disciplina dei cd. settori speciali, a mente dell’art. 217 del d.lgs. n. 163 del 2006, avendo un oggetto che, per sua natura, non rileva direttamente ai fini dell’espletamento del “servizio speciale” (quali il “servizio postale” e gli “altri servizi diversi” di cui all’art. 211 del decr. cit.), incidendo solo in via indiretta sull’attività inerente al servizio speciale, anche se Poste Italiane si è volontariamente vincolata, pur non essendovi tenuta, alle regole di evidenza pubblica, poiché la sottoposizione o meno dell’appalto al regime pubblicistico discende esclusivamente dalle sue caratteristiche oggettive e da quelle soggettive della stazione appaltante.
La Corte osservava, infine, che il parere del Consiglio di Stato n. 706 del 22/12/2011 correttamente aveva invitato a non ricercare una
qualificazione “assoluta” o “ordinamentale” della natura delle società per azioni pubbliche, ma ad analizzare il più ristretto perimetro di interesse dalla normativa in questione (che è, come si è detto, quello della applicabilità dell’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000 al rapporto di lavoro alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a.).
In sintesi, la Corte d’appello confermava la sentenza impugnata, ritenendo che: RAGIONE_SOCIALE è una società per azioni, e prima ancora un ente pubblico economico, con la conseguenza che a tale tipologia di ente si applica expressis verbis il disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000; la presente controversia non attiene ad un rapporto regolato dalla disciplina dei c.d. “settori speciali”; nello specifico, i rapporti di lavoro alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., così come gli atti di organizzazione e gestione, sono disciplinati dal diritto privato (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 4727 del 02/03/2006).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Strevi, affidato a due mezzi.
L’intimata si è difesa con controricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio, il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME in data 25/05/ 2025 ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000, per avere la Corte d’appello ritenuto che Poste Italiane s.p.a. potesse rientrare nella nozione di datore di lavoro privato, mentre invece si trattava di ente pubblico, sia pure di diritto speciale, ovvero organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d, d.lgs. n. 50 del 2016.
Con il secondo motivo di ricorso è formulata la richiesta di compensazione delle spese legali in relazione a tutti i gradi di giudizio, considerata la oggettiva complessità giuridica della vertenza e i contrasti giurisprudenziali in merito.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. Com’è noto, l’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000, nel testo applicabile ratione temporis , prevede quanto segue: «1. Le assenze dal servizio di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 79 sono retribuite al lavoratore dal datore di lavoro. Gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell’ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all’articolo 79. L’ente, su richiesta documentata del datore di lavoro, è tenuto a rimborsare quanto dallo stesso corrisposto, per retribuzioni ed assicurazioni, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore. Il rimborso viene effettuato dall’ente entro trenta giorni dalla richiesta. Le somme rimborsate sono esenti da imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 8, comma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67.»
2.2. L’evidente ratio della norma è quella di tutelare l’esercizio delle funzioni pubbliche elettive, senza che il relativo onere vada a ricadere sui datori di lavoro, che siano enti privati o enti pubblici economici, anziché rimanere a carico delle risorse pubbliche e del bilancio dell’ente che beneficia di tali funzioni.
2.3. Il rapporto di lavoro, destinato a venire in considerazione nella valutazione della norma, ha trovato definizione nel tempo attraverso interventi normativi di carattere generale (l. n. 93 del 1983; d.lgs. n. 29 del 1993; d.lgs. n. 80 del 1998), culminati nell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, che ha precisato cosa debba intendersi per “amministrazioni pubbliche”, ai fini della disciplina dei rapporto di lavoro e
di pubblico impiego, escludendo espressamente gli enti pubblici economici e nemmeno menzionando le società di capitali a partecipazione pubblica, che, pertanto, restano escluse da tale categoria (fermo restando che per queste ultime l’art. 18 d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008, ha previsto l’assoggettamento alla disciplina delle procedure selettive di assunzione previste per i datori di lavoro pubblico).
In tale quadro, deve senza dubbio ritenersi che il dipendente di RAGIONE_SOCIALE sia un dipendente di un datore di lavoro privato.
Com’è noto, l’art. 1 d.l. n. 487 del 1993, conv. con modif. in l. n. 71 del 1994, ha trasformato l’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in un ente pubblico economico, denominato ente “RAGIONE_SOCIALE“, prevedendo l’ulteriore trasformazione in società per azioni, avvenuta con delibera del CIPE il 18 dicembre 1997.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il rapporto di lavoro subordinato con l’Ente Poste RAGIONE_SOCIALE, quale ente pubblico economico, è divenuto di diritto privato, e dunque contrattualizzato, poiché il d.l. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71, nell’attuare la trasformazione della Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico, denominato RAGIONE_SOCIALE, ha dato luogo alla costituzione di un nuovo soggetto, subentrato nei rapporti di cui era titolare un’amministrazione autonoma dello Stato, che si avvale nello svolgimento della propria attività istituzionale dei medesimi strumenti giuridici dei soggetti privati (v. Cass., Sez. L, Sentenza n. 17764 del 04/08/2006).
La trasformazione in società a partecipazione pubblica, per tale motivo soggetta ad una disciplina particolare, non ha ulteriormente modificato la natura privatistica del rapporto di lavoro.
Né può incidere, nel senso auspicato dal ricorrente Comune, la nozione di ‘organismo di diritto pubblico’, di matrice eurounitaria, che comporta soltanto l’applicabilità della disciplina del cd. settore pubblico allargato, in materia di appalti pubblici, controlli pubblici ed evidenza pubblica, ma non l’attribuzione di personalità giuridica pubblica (in tal senso, Cass., Sez. U, Sentenza n. 10244 del 19/04/2021, che ha espressamente richiamato Cass., Sez. U, Sentenza n. 11179 del 27/10/1995; Cass., Sez. U, Sentenza n. 1987 del 24/02/1998 e Cass., Sez. U, Sentenza n. 2677 del 09/03/2000; cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 1779 del 20/01/2022).
D’altronde, nella stessa linea si pone la giurisprudenza di questa Corte, che si è pronunciata sull’applicabilità dell’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000 nel caso in cui il fruitore del permesso retribuito sia un dipendente di una società per azioni in house , eletto quale amministratore dell’ente pubblico socio di detta società.
In quest’occasione, la Corte di cassazione ha chiarito che, in base al principio civilistico del divieto di indebito arricchimento e tenuto conto della distinzione tra società partecipata e socio pubblico, gli oneri derivanti dalla fruizione da parte dei dipendenti di società in house dei permessi retribuiti previsti per l’esercizio di funzioni elettive presso lo stesso ente locale che partecipa alla società sono a carico di quest’ultimo e devono essere rimborsati alla società datrice di lavoro, nei termini e secondo le modalità di cui all’art. 80 d.lgs. n. 267 del 2000 (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 11265 del 11/06/2020).
Nella motivazione della decisione è precisato che l’intervenuta costituzione, secondo il modello societario, del soggetto prestatore del servizio in house, a cui si accompagna la distinzione soggettiva tra società partecipata e socio pubblico e la separazione dei rispettivi patrimoni, esclude che la provenienza pubblica delle risorse impiegate nel
capitale sociale comporti automaticamente l’acquisizione della natura pubblicistica delle disponibilità finanziarie della società.
2.5. Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere respinto, dovendosi dare applicazione al seguente principio di diritto:
«In tema di permessi retribuiti per l’esercizio di funzioni elettive presso gli enti locali, gli oneri derivanti dalla fruizione da parte dei dipendenti di Poste Italiane s.p.a. di detti permessi devono essere rimborsati a tale società, secondo le modalità di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 267 del 2000, poiché si tratta di datore di lavoro privato.»
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, sostanziandosi in una doglianza in ordine alla mancata compensazione delle spese di lite, per ragioni che attengono al merito.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla controricorrente che liquida in € 2.500,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge; d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Ci-