Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14187 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 934/2023 R.G. proposto da : COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale -ricorrenti- contro
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE domiciliazione telematica legale
-controricorrente e ricorrente incidentale- contro
COGNOME, RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 1062/2022 depositata il 10/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME, la sRAGIONE_SOCIALE, la sRAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, ricorrono, sulla base di nove motivi, per la cassazione della sentenza n. 1062 del 2022 della Corte di appello di Torino, esponendo, per quanto ancora di utilità, quanto di séguito;
la RAGIONE_SOCIALE società di cui era legale rappresentante COGNOME, volendo utilizzare un fabbricato di cui era proprietaria sito in Fiano, in provincia di Torino, come portineria per il vicino INDIRIZZO, il 10 marzo 2008 provvedeva a presentare al Comune una domanda per ottenere il permesso a costruire per l’esecuzione di lavori di risanamento e ristrutturazione del suddetto immobile, specificamente individuati nel progetto allegato;
nel novembre 2008 gli esponenti entravano in contatto con il Consorzio Lago Risera, il quale manifestava loro il proprio interesse ad usufruire anch’esso , per la propria contigua proprietà, della portineria che avrebbe dovuto essere ricavata all’interno del fabbricato;
il 10 novembre 2008 i deducenti e il Consorzio sottoscrivevano una scrittura con la quale concordavano di utilizzare il fabbricato come portineria comune, suddividendo così i costi del servizio di sicurezza e di guardiania;
le parti stabilivano che il contenuto dell’obbligo di ristrutturazione e la porzione di immobile da destinare a portineria comune, e da concedere in uso gratuito al Consorzio, avrebbero dovuto essere determinati e definiti d’intesa tra le parti: la scrittura prevedeva infatti l’impegno degli esponenti a «procedere -a
proprie spese -al risanamento e alla ristrutturazione del fabbricato» e a «destinare una porzione di tale fabbricato (di metratura e disposizione da individuarsi d’accordo tra le parti, idonee ad organizzare e svolgere l’attività di guardiania) a portineria comune con il Consorzio nonché a cedere a CLR -contestualmente all’ultimazione dei lavori di ristrutturazione -tale porzione in diritto di uso gratuito ex art. 1803, cod. civ., per la durata di 30 anni»;
il Comune rilasciava il permesso di costruire, autorizzando «i lavori di restauro e risanamento conservativo del fabbricato» secondo il progetto allegato alla domanda presentata nel marzo 2008;
in mancanza di un esplicitato accordo, la ristrutturazione del fabbricato veniva sospesa e il permesso di costruire andava perento;
nel novembre 2016 il Consorzio conveniva quindi i deducenti chiedendo l’accertamento dell’inadempimento degli stessi agli obblighi della scrittura privata del 10 novembre 2008, e la loro condanna a dare esecuzione alle predette obbligazioni instando, altresì, affinché venissero fissate ai sensi dell’art. 614 -bis , cod. proc. civ., misure coercitive per ciascun giorno di ritardo nella richiesta del permesso a costruire e nell’esecuzione delle opere;
il Tribunale, davanti al quale i convenuti resistevano, rigettava la domanda osservando, in particolare, che non era dato sapere se il fabbricato appartenesse ai convenuti né se lo fosse al momento dell’assunzione dell’obbligazione in parola, da qualificarsi pertanto come promessa del fatto di terzo come tale incoercibile, salvi, in tesi, i danni;
la Corte di appello adita riformava la decisione osservando, in particolare, che:
–COGNOME era risultato titolare di diritti di proprietà sull’immobile in discussione, posto che la sRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
di cui lo stesso deteneva il 99% delle quote, a fronte dell’1% di titolarità di NOME COGNOME era stata liquidata e cancellata dal Registro delle Imprese il 30 luglio 2008, antecedentemente alla stipula della scrittura oggetto di giudizio, sicché i due soci avevano chiesto al Comune la voltura del permesso di costruzione avanzato dalla suddetta società, e COGNOME quale proprietario, aveva presentato la dichiarazione d’inizio attività il 19 maggio 2009;
-l’accertamento del diritto di proprietà era comunque ultroneo e non necessario, atteso che l ‘obbligazione assunta da COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE era da qualificarsi non come promessa del fatto di un ipotetico soggetto terzo, esistente o meno, ma come relativa a condotte e fatti propri dei soggetti obbligati;
-le obbligazioni prescindevano dalla titolarità del bene, né mai era stata allegata da alcuna delle parti la sussistenza di un’opposta volontà o di un rifiuto espressi da un diverso proprietario o comproprietario dell’immobile, anzi le parti avevano allegato e dibattuto, in diverso senso, relativamente all’inerzia o meno nell’adempiere tali obbligazioni, riguardo alla sussistenza o meno di un ostacolo derivante da un mancato accordo di questi con il Consorzio, e non con altri;
-la domanda di condanna generica al risarcimento da liquidarsi in separata sede era da accogliere, essendo sufficiente la potenzialità dannosa della condotta d’inadempimento;
-non poteva dirsi provata la misura del mancato accordo con il Consorzio, che si era limitato a osservazioni tecniche
sul primo progetto di ristrutturazione del fabbricato, suggerendo migliorie senza metterlo in discussione;
-dal possibile mancato accordo in questione nulla comunque poteva derivare in ordine all’inadempimento contestato, poiché COGNOME si era obbligato senza specifiche sui lavori, unica intesa prevista essendo stata, appunto, quella sulla «metratura e disposizione» dei locali da cedere in uso al Consorzio, ma «i convenuti non allegato né provato essere questa la ragione del presunto mancato accordo e in ogni caso si sarebbe trattato di un adempimento successivo alla ristrutturazione. Né vale opinare che le due fasi fossero strettamente fra loro collegate: avrebbe dovuto comunque risultare una specifica offerta dei convenuti, in fase di progettazione o a ristrutturazione avvenuta, e un rifiuto del Consorzio di accettare l’assegnazione in uso di un dato locale»;
-«le obbligazioni assunte dai convenuti erano specifiche e sufficientemente determinate, a loro spettando la facoltà di decidere le modalità esecutive dell’opera. Il fatto che collaboratori tecnici del Consorzio avanzato indicazioni in ordine alle dotazioni e caratteristiche che sarebbero state maggiormente utili per un locale da adibire a portineria, nulla prova in senso contrario: vi era indubbiamente un interesse al riguardo del Consorzio, ma la decisione in merito spettava ai promittenti e una differenza di vedute non era ragione impeditiva dell’adempimento delle obbligazioni assunte », in relazione alle quali chiedere se necessario un nuovo permesso di costruire;
-andava quindi accolta anche la domanda di condanna all’adempimento di un facere specifico, con statuizioni sulle misure coercitive indirette;
resiste con controricorso, proponendo inoltre ricorso incidentale condizionato basato su motivo unico, il Consorzio Lago Risiera;
resistono a tale ricorso incidentale gli originari ricorrenti con ulteriore atto di controricorso;
le parti hanno depositato memorie.
Rilevato che
con il primo motivo di ricorso principale si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso rappresentato dalla proprietà del fabbricato per un solo mezzo in capo a COGNOME, con conseguente incoercibilità delle obbligazioni in discussione, di modifica del cespite e concessione in uso trentennale al Consorzio, necessariamente coinvolgenti il terzo comproprietario;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe utilizzato, al fine di valutare la titolarità dominicale del fabbricato, un documento, in specie il rogito notarile di assegnazione del cespite all’esito della liquidazione della RAGIONE_SOCIALE La Garzaia, tardivamente prodotto solo in secondo grado e come tale dallo stesso Collegio dichiarato inutilizzabile;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello, con irresolubile contraddizione, avrebbe accolto la domanda di condanna all’adempimento delle obbligazioni indicate nella scrittura del 2008 pur in assenza di accordo, constatato come necessario, su metratura e locali da mettere a disposizione del Consorzio;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1346, cod. civ., poiché la Corte di
appello avrebbe errato mancando di considerare l’indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto delle obbligazioni in parola, non potendo il giudice sostituirsi ai contraenti nell’individuazione delle modalità esecutive afferenti alle opere da eseguire e in relazione alle quali le parti stesse avevano rinviato a una successiva intesa;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ., 1346, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe omesso qualsiasi effettiva motivazione in ordine alle conseguenze della mancata determinazione delle modalità esecutive delle opere, indicata dalle parti come oggetto di un futuro accordo tra di loro;
con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 614 -bis , cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nello statuire sulle misure coercitive non esperibili, posto che il correlato adempimento dipendeva anche dal fatto del terzo comproprietario, il cui consenso era necessariamente da acquisire;
con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1381, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nell’escludere la qualificazione delle obbligazioni come promessa del fatto del terzo, implicando quelle il necessario e non obliterabile consenso del comproprietario non giuridicamente vincolato dalla scrittura;
con l’ottavo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1381, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nell’accogliere la domanda risarcitoria, sia per l’evidenziata mancanza di compiuto accordo, sia perché, nell’ipotesi di promessa del fatto del terzo, al più avrebbe potuto statuirsi in ordine a un diverso indennizzo;
con il nono motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello
avrebbe errato nel liquidare le spese secondo una soccombenza da ritenere insussistente alla luce delle sopra esposte censure;
con il motivo di ricorso incidentale condizionato si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile il documento rappresentato dal rogito notarile di assegnazione in proprietà del fabbricato all’esito della liquidazione della sRAGIONE_SOCIALE La Garzaia, poiché la produzione in secondo grado si era resa necessaria dalla decisione a sorpresa del Tribunale che aveva rilevato il profilo della mancanza di prova della titolarità dominicale del cespite senza provocare il contraddittorio sul punto, introducendo un tema di discussione nuovo, correlato alla sussunzione del contenuto della scrittura in termini di promessa del fatto del terzo.
Considerato che
il primo motivo del ricorso principale è infondato;
la Corte di appello non ha omesso l’esame della questione concernente la titolarità dominicale del cespite in questione, anzi scrutinandola diffusamente come emerge dalla stessa formulazione della censura, che pure allude alle differenti conseguenze in diritto che da quell’esame avrebbero dovuto trarsi ad avviso delle parti odierne ricorrenti, oggetto di diversi motivi del presente gravame;
il secondo motivo è inammissibile;
la Corte di appello, in primo luogo, ha evinto la proprietà del fabbricato, incidentalmente accertata ai fini del proprio giudizio, da documenti prodotti in prime cure, concernenti, secondo quanto indicato, la liquidazione sociale, la richiesta di voltura e la dichiarazione d’inizio lavori (pag. 12 della sentenza gravata);
in secondo luogo, la Corte territoriale ha fatto propria una ragione decisoria differente, affermando espressamente di prescindere, in conclusione, dall’accertamento della proprietà del fabbricato, poiché le obbligazioni promesse ‘unilateralmente’ (pag.
12 e pag. 13, ultimo capoverso, della decisione), non ne implicavano, come tali, nella prospettiva assunta, la necessità della titolarità in questione, non risultando al contempo allegata «un’opposta volontà o…un rifiuto espressi da un diverso proprietario o comproprietario dell’immobile», avendo le parti dibattuto, diversamente, solo del mancato accordo con il Consorzio in ordine al progetto attuativo delle opere (pagg. 12-13 del provvedimento);
quanto sopra assorbe logicamente il motivo di ricorso incidentale;
i motivi di ricorso principale dal terzo all’ottavo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono parzialmente fondati;
la Corte distrettuale:
-ha incidentalmente accertato che la proprietà del cespite era comune a COGNOME e a NOME COGNOME, come desumibile sia dall’affermazione per cui il primo era «titolare di diritti di proprietà» non indicata come esclusiva proprio nel quadro dello scrutinio dell’eccezione svolta sul punto dagli odierni ricorrenti (pag. 11, ultimo capoverso, del provvedimento censurato), sia dall’ulteriore accertamento per cui gli ex soci della RAGIONE_SOCIALE già proprietaria avevano «domandato e ottenuto la voltura» del permesso di costruire rilasciato a quella persona giuridica, «a fronte del trasferimento a loro della proprietà dell’immobile» (pag. 12, rigo 7);
-ha ritenuto che le obbligazioni assunte da COGNOME quali ‘promesse unilaterali’ di un fatto proprio (pag. 12, e pag. 15, penultimo rigo), fossero quindi tali da escludere la promessa del fatto del terzo, prescindendo, quelle, come anticipato, dalla (piena) titolarità dominicale, e, in particolare, non essendo stati allegati un rifiuto o un’opposizione del diverso proprietario, atteso che le parti
avevano solo dedotto e discusso del mancato accordo col Consorzio sul tipo di opere (pag. 13);
ora, il contenuto oggettivo delle obbligazioni assunte, essendo stato accertato nei termini di un risanamento e di una ristrutturazione del cespite con trentennale concessione parziale in uso a terzi, non poteva valutarsi, in diritto, a prescindere dal consenso, possibile anche, però, in forma implicita ovvero presunto, dell’altro comproprietario non vincolato dalla scrittura, a mente dell’art. 1102, cod. civ.;
non a caso la giurisprudenza amministrativa, in tema di titolo abilitativo a lavori modificativi da effettuare sull’immobile richiesto dal singolo comproprietario, discorre talora d’implicito avallo per pactum fiduciae (cfr., Consiglio di Stato, Sez. 2, 21/07/2023, n. 7158), mentre la nomofilachia di questa Corte ritiene mutamento di destinazione che rende illegittimo l’uso particolare di un comunista o condomino, la direzione della funzione della cosa comune -pur lasciata immutata nella sua natura -a vantaggio di beni esclusivi di un comunista o un condomino, rispetto ai quali i comproprietari non avevano inteso destinare il bene comune (Cass., 16/05/2019, n. 13213, e anche Cass., 9/10/2020, n. 21858);
analogamente, seppure in altra chiave, è stato affermato che il -contiguo anche se diverso -contratto di locazione stipulato da un comproprietario (in favore di un altro), in quanto riconducibile alla gestione d’affari altrui, è valido ed efficace nei confronti dei comproprietari non locatori che non si siano preventivamente opposti alla stipula, i quali possono ratificare l ‘ operato del gestore, ai sensi dell ‘ art. 1705, cod. civ., senza particolari formalità (cfr. Cass., 18/07/2023, n. 20885, e, prima, Cass., 10/10/2019, n. 25433);
nella fattispecie oggetto del ricorso in questa sede in scrutinio, la Corte di appello può dirsi aver legittimamente valorizzato, in questo quadro ricostruttivo, la mancata allegazione
prima che la (non) riscontrata risultanza di rifiuti oppure opposizioni ad opera del comproprietario, che, d’altro canto, avrebbe sempre potuto farli valere, anche con successiva opposizione all’esecuzione (essendo ipotizzabile l’opposizione di terzo ordinaria qualora invece la decisione avesse statuito escludendo la necessità di un consenso del comproprietario: cfr. Cass., 20/11/2018, n. 29850), e a prescindere da qualunque titolo abilitativo comunale il quale non può che essere rilasciato con salvezza dei diritti dei terzi (v., sul punto, Consiglio di Stato, Sez. 2, 21/07/2023, n. 7158, specie §§ 20-21);
ciò detto, per l’adempimento delle obbligazioni in parola era necessario, però, che esse fossero determinate con successiva intesa e la scrittura specificava che la metratura e la disposizione dei locali da cedere in uso trentennale al Consorzio fossero per questo oggetto di ulteriore e necessario accordo;
la Corte territoriale, sotto questo secondo profilo, ha ritenuto che gli obbligati potessero adempiere, salva determinazione di quei profili «successivamente alla ristrutturazione», laddove non poteva dirsi ostativo il collegamento tra i due momenti e contenuti poiché, a questo riguardo, avrebbe dovuto comunque farsi constatare, in fatto, un’offerta e un rifiuto, non potendo ritenersi impeditivi le semplici proposte di modifica rispetto al progetto originario o i suggerimenti tecnici emersi come formulati da parte del Consorzio;
ora, sul punto va osservato, in contrario, che lo specifico accordo su metratura e disposizione dei locali, da concedere in utilizzo al Consorzio, non poteva e non può essere scisso dall’obbligazione di ristrutturazione se non con una motivazione solo apodittica e apparente, nella forma riduttiva del rimando a dettagli tecnici successivi, proprio perché (come dedotto, in specie con la terza censura, in fine) si trattava di un ulteriore patto preposto strutturalmente a conformare la ristrutturazione, nel senso che quest’ultima, per la stessa e pacifica ricostruzione
negoziale fatta dal Collegio di merito, veniva in rilievo non di per sé, e qualunque fosse, ma, nella medesima prospettiva assertiva dell’originario attore, in funzione delle proprie pretese, ovvero di quella metratura e disposizione;
non a caso la Corte di appello discorre anche di mancanza di prova sulla «misura» di quell’accordo (pag. 15, primo capoverso, della decisione impugnata), senza che, però, questa dicitura nulla sposti a fronte di quanto appena osservato, anzi confermando la contraddizione focalizzata;
di qui la mancanza di un’idonea ovvero compiuta e come tale coercibile determinazione necessariamente consensuale dell’oggetto finale dell’obbligazione quale affermata, e, su queste premesse, l’impossibilità di statuire sul correlato risarcimento, anche in forma di condanna generica, in uno alle misure di coercizione indiretta;
il nono motivo è logicamente assorbito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso principale, inammissibile il secondo, accoglie parzialmente i motivi dal terzo all’ottavo del ricorso principale, assorbito il nono e il motivo di ricorso incidentale, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6/03/2025.