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Perequazione stipendio: No a leggi incostituzionali

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente pubblico che chiedeva una perequazione dello stipendio basata su una legge regionale. La Corte ha stabilito che una norma dichiarata incostituzionale non può generare diritti soggettivi perfetti né un legittimo affidamento, in quanto invade la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e trattamento economico dei dipendenti.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Perequazione Stipendio: La Cassazione Sbarra la Strada alle Leggi Regionali Incostituzionali

Il tema della perequazione stipendio nel pubblico impiego è spesso al centro di contenziosi complessi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: una legge regionale, se dichiarata incostituzionale, non può fondare alcun diritto a un trattamento economico migliore, neppure per il passato. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Lunga Battaglia Legale

Un dipendente di una Regione italiana ha intrapreso un lungo percorso giudiziario per ottenere un adeguamento della propria retribuzione. La sua richiesta si basava su una legge regionale che mirava a garantire una perequazione stipendio, riconoscendo ai dipendenti assunti tramite concorso pubblico la stessa anzianità economica maturata da colleghi provenienti da altri enti pubblici.

Inizialmente, i tribunali di primo e secondo grado avevano dato ragione al lavoratore. Tuttavia, la vicenda ha subito una svolta decisiva quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 211 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma regionale in questione. Il motivo? La Regione aveva legiferato in una materia, quella dell'”ordinamento civile” e del trattamento economico dei dipendenti pubblici, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Nonostante una precedente sconfitta in Cassazione (sentenza n. 20462/2015), che aveva già rigettato la sua domanda proprio alla luce della decisione della Consulta, il dipendente ha avviato una nuova causa, sostenendo di avere un diritto ormai acquisito e di poter fare affidamento sulla legge prima che venisse dichiarata incostituzionale. Anche questo nuovo tentativo è stato respinto sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, portando la questione nuovamente davanti alla Suprema Corte.

La Perequazione Stipendio e la Competenza Statale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ponendo fine alla controversia. La decisione si fonda su principi giuridici solidi e chiari, che meritano di essere approfonditi.

Il punto centrale è che la legge regionale sulla quale il dipendente basava le sue pretese era stata annullata dalla Corte Costituzionale. Una dichiarazione di incostituzionalità ha un effetto retroattivo: la norma si considera come se non fosse mai esistita. Di conseguenza, non può aver prodotto alcun effetto giuridico stabile, né può aver creato un “diritto soggettivo perfetto” nel patrimonio del lavoratore.

L’Assenza di un Diritto Acquisito e di Legittimo Affidamento

Il ricorrente sosteneva che il suo diritto alla perequazione stipendio si fosse consolidato prima della sentenza della Consulta. La Cassazione ha smontato questa tesi, affermando che non si può vantare un diritto basato su una norma intrinsecamente illegittima. Allo stesso modo, è stato escluso il principio del “legittimo affidamento”. Secondo i giudici, non si può riporre una fiducia tutelabile in una legge che viola la Costituzione. Peraltro, il fatto stesso che il dipendente abbia dovuto agire in giudizio per ottenere il beneficio dimostra che il diritto non era pacificamente riconosciuto e che, quindi, non si era creato un affidamento consolidato.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito che il giudicato formatosi con la precedente sentenza del 2015 preclude ogni ulteriore discussione sulla medesima pretesa. La questione era già stata decisa in modo definitivo. Inoltre, i giudici hanno sottolineato che la materia del trattamento economico dei dipendenti pubblici rientra nell’ordinamento civile, la cui disciplina è di competenza legislativa esclusiva dello Stato, come previsto dall’art. 117 della Costituzione. Le Regioni non possono legiferare in questo ambito, neanche con l’intento di realizzare finalità perequative.

La Corte ha evidenziato come la pretesa del lavoratore, se accolta, avrebbe violato questa ripartizione di competenze, creando una disparità di trattamento non giustificata a livello nazionale. La motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta adeguata, in quanto aveva correttamente applicato questi principi, rilevando che la Regione non aveva mai applicato la norma, impedendo così la nascita di qualsiasi affidamento.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante per i legislatori regionali e una chiara indicazione per i dipendenti pubblici. La sentenza conferma che i tentativi delle Regioni di modificare il trattamento economico dei propri dipendenti, anche se mossi da intenti di equità come la perequazione stipendio, sono destinati a fallire se invadono la competenza esclusiva dello Stato. Per i lavoratori, la decisione chiarisce che non è possibile fondare pretese economiche su leggi dichiarate incostituzionali, poiché queste non possono generare né diritti acquisiti né un affidamento meritevole di tutela legale.

Una legge regionale dichiarata incostituzionale può creare un diritto acquisito a una perequazione dello stipendio?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una legge dichiarata incostituzionale è invalida fin dalla sua origine e, pertanto, non può essere la fonte di un diritto soggettivo perfetto o di un diritto acquisito a un migliore trattamento economico.

Posso invocare il principio del legittimo affidamento per ottenere i benefici di una legge poi dichiarata incostituzionale?
No. Secondo la Suprema Corte, non può esistere un valido e tutelabile affidamento su una norma che viola la Costituzione. Il fatto di dover ricorrere a un’azione legale per ottenere il beneficio è un’ulteriore prova che non si era consolidato alcun affidamento.

Cosa accade se la stessa questione tra le stesse parti è già stata decisa in via definitiva da una precedente sentenza?
Se esiste una sentenza passata in giudicato, ovvero una decisione non più impugnabile, questa preclude la possibilità di avviare un nuovo processo sulla stessa identica questione. La decisione precedente è vincolante e definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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