Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11058 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11058 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 30065/2021 proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso di essa in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Palermo n. 377/2021 pubblicata il 20 maggio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 23 luglio 2014 NOME COGNOME ha dedotto di essere stato assunto alle dipendenze dell’ESA il 1° maggio 1976 e ha precisato che gli era stata attribuita la qualifica di primo dirigente nel ruolo Tecnico Agrario.
Ha anche allegato che, da tale momento, aveva ricoperto diversi incarichi dirigenziali, gestendo personale e mezzi tecnici e finanziari su tutto il territorio regionale siciliano sino al momento della cessazione del rapporto di lavoro avvenuta il 1° ottobre 2008.
Analoghe circostanze sono state dedotte da NOME COGNOME con la precisazione che, nel suo caso, il rapporto di lavoro era terminato il 31 agosto 2011.
Entrambi i ricorrenti hanno esposto che:
con decreto regionale assessoriale del 24 luglio 1971, era stato adottato il regolamento organico dell’ente;
con delibera del 24 febbraio 1988, l’ESA aveva aggiornato la tabella A annessa al regolamento organico del personale impiegatizio in conformità a quanto previsto dal d.P.R. n. 748 del 1972, introducendo nella propria struttura organizzativa la qualifica di dirigente;
con delibera del 27 luglio 1988 aveva stabilito le modalità di accesso nelle nuove qualifiche dirigenziali e le norme per la copertura delle posizioni di dirigente nella fase di prima applicazione;
sulla base di queste ultime delibere, l’ESA aveva disposto che al personale inquadrato nelle qualifiche dirigenziali doveva essere corrisposto il trattamento retributivo previsto dalla normativa applicabile al personale dirigente dello Stato di pari qualifica e anzianità;
dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 29 del 1993 l’ESA aveva scelto il comparto ministeriale al quale riferirsi per determinare la disciplina applicabile al rapporto di lavoro dei dipendenti in servizio, recependo i relativi CCNL;
avevano sempre concordato per iscritto con l’ente l’attribuzione di specifici incarichi dirigenziali, ma l’ESA non aveva mai corrisposto la parte variabile dell’indennità di posizione e l’indennità di risultato.
I ricorrenti hanno domandato, quindi, che fosse accertato il comportamento omissivo dell’ESA, che non avrebbe adottato il regolamento di organizzazione e non avrebbe applicato il contratto individuale di lavoro di diritto privato, così causando loro un danno pari alla mancata corresponsione dell’indennità di risultato e dell’indennità di posizione variabile, con conseguente condanna dell’ente al risarcimento.
Il Tribunale di Palermo, nel contraddittorio delle parti, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 3442/2018, li ha rigettati.
I lavoratori hanno proposto appello che la Corte d’appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 377/2021, ha rigettato.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L’ESA si è difeso con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto la corte territoriale non si sarebbe pronunciata in ordine alla loro domanda risarcitoria.
La censura è inammissibile, atteso che il giudice di appello ha espressamente affrontato tale domanda alle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata.
2) Con il secondo motivo i ricorrenti contestano la violazione o falsa applicazione degli artt. 27 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001, 117, comma 2, Cost., lett. l), 28 legge Regione Sicilia n. 21 del 1965, 27 legge Regione Sicilia n. 10 del 2000 e 1218 e 2697 c.c. e, in via gradata, eccepiscono l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 menzionato.
Essi si dolgono che la corte territoriale abbia ritenuto che il legislatore regionale siciliano possa dettare norme che paralizzino elementi della retribuzione del CCNL applicato, così violando i principi in materia di riparto delle competenze in tema di trattamento economico dei pubblici impiegati tra Stato e Regione, che l’art. 28 della legge Regione Sicilia n. 21 del 1965 sia una mera norma programmatica e che l’art. 14, lettere p e q, dello Statuto della Regione Sicilia sia vincolante nella specie.
In realtà, sarebbe stato onere dell’ESA provare di non avere potuto adottare il regolamento di organizzazione in esame per causa non imputabile.
La censura è inammissibile, non avendo i ricorrenti colto la ratio della decisione.
La Corte d’appello di Palermo si è limitata a ricostruire la normativa applicabile alla vicenda, rilevando come le deliberazioni dell’ente in questione siano comunque sottoposte al controllo regionale, senza, però, minimamente mettere in discussione l’esis tenza di un obbligo generale dell’ESA di adottare un regolamento di organizzazione e di applicare la pertinente contrattazione collettiva.
In particolare, il giudice di appello non ha assolutamente negato che l’ESA debba rispettare il d.lgs. n. 165 del 2001, ma ha semplicemente richiamato la necessità che l’efficacia vincolante di detto d.lgs. anche per i dipendenti pubblici siciliani sia coordinata con la legislazione regionale in materia concernente l’approvazione degli atti dell’ente de quo .
Inoltre, non ha escluso che, in ipotesi di mancato adempimento di un obbligo contrattuale imposto dalla legge all’ESA, quest’ultima sia tenuta a dimostrare che questo sia dipeso da causa non imputabile.
Ne deriva l’assoluta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 e 36 Cost., atteso che la sentenza di appello avrebbe comportato il mancato conseguimento di una retribuzione proporzionata.
La censura è inammissibile, attesa la sua genericità e considerato che è stata prospettata in un’ottica più retributiva che risarcitoria.
Con il quarto motivo i ricorrenti contestano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. e 115 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che essi non avessero correttamente dedotto e adeguatamente dimostrato i presupposti fattuali delle loro pretese risarcitorie.
La censura è inammissibile per difetto di specificità.
Si premette che oggetto del contendere è esclusivamente la richiesta di risarcimento del danno avanzata dai ricorrenti sul presupposto che la P.A. non avrebbe adottato il regolamento di organizzazione necessario per stipulare i contratti individuali di lavoro che avrebbero conferito formalmente ai medesimi ricorrenti la posizione dirigenziale, da essi svolta di fatto, alla quale sarebbe conseguito il loro diritto al pagamento dell’indennità di posizione variabile e dell’indennità di risultato
Non è in questione che, dopo il regolamento adottato con decreto regionale assessoriale del 24 luglio 1971, l’ESA non ha approvato, fino al 2012, un nuovo regolamento, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 29 del 1993, anche se, come rilevato dagli stessi ricorrenti, a partire dal
2001 l’ente si era attivato adottando diversi provvedimenti che, però, erano stati annullati dall’organo di controllo.
Neppure è contestato che la P.A. dovesse approvare tale regolamento.
Per definire la controversia, occorre tenere conto che la violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione dei provvedimenti organizzativi interni necessari per il conferimento degli incarichi dirigenziali legittima il dipendente interessato a chiedere non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione e l’indennità di risultato. A tal fine, egli è tenuto esclusivamente ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della di mostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile. Una volta avvenuto ciò, il danno subito dal lavoratore per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione e dell’indennità di risultato, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere all’adozione del regolamento organizzativo interno a tal fine necessario, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità.
Nella specie, il giudice del merito ha ritenuto, con un giudizio di fatto che, come tale, non è più contestabile davanti alla Corte di legittimità, che i ricorrenti non avessero descritto, in un’ottica risarcitoria, i compiti
dirigenziali loro effettivamente assegnati, il numero delle unità di personale gestite, i risultati periodicamente raggiunti e la corrispondente posizione dirigenziale originata dal nuovo assetto organizzativo alla quale avrebbero potuto astrattamente aspirare.
I lavoratori, nella presente sede, si sono limitati a riferire di avere espletato gli incarichi dirigenziali di cui agli ordini di servizio prodotti in primo grado, senza tenere realmente conto di quanto osservato dalla corte territoriale.
In particolare, i ricorrenti non hanno considerato che, anche una volta dimostrato l’eventuale inadempimento della P.A., occorre fornire, come sostanzialmente sottolineato dalla Corte d’appello di Palermo, un’ulteriore dimostrazione concernente il danno pa tito e la sua entità.
Soprattutto, essendo prospettata la perdita di una chance , sarebbe stato onere dei dipendenti allegare e dimostrare che, in ipotesi di tempestiva adozione del regolamento interno, avrebbero avuto delle concrete possibilità di ottenere l’incarico, prevalendo sugli altri potenziali concorrenti, e che avrebbero realizzato i risultati attesi, profili dei quali, invece, non vi è menzione nell’atto di impugnazione.
Il ricorso è dichiarato inammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘La violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione dei provvedimenti organizzativi interni necessari per il conferimento degli incarichi dirigenziali legittima il dipendente interessato a chiedere non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione e l’indennità di risultato. A tal fine, egli è tenuto esclusivamente ad allegare la fonte leg ale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che
il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile. Una volta avvenuto ciò, il danno subito dal lavoratore per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione e dell’indennità di risultato, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere all’adozione del regolamento organizzativo interno a tal fine necessario, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito, il dipendente che assume di aver avuto chance di prevalere su altri potenziali concorrenti deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna i ricorrenti a rifondere le spese di lite, che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali e a rimborsare le spese prenotate a debito;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile,