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Perdita di chance: ricorsi inammissibili in Cassazione

Un’ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della perdita di chance per un dipendente pubblico a seguito di un errato inquadramento al momento della stabilizzazione. La Corte d’Appello aveva riconosciuto un risarcimento pari al 50% delle differenze retributive. La Cassazione, tuttavia, ha dichiarato inammissibili sia il ricorso principale dell’ente datore di lavoro sia quello incidentale del lavoratore, consolidando di fatto la decisione di merito. La sentenza sottolinea i rigorosi limiti procedurali per l’accesso al giudizio di legittimità, ribadendo che la Corte non può riesaminare le valutazioni di fatto operate dai giudici dei gradi inferiori.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Perdita di chance: la Cassazione fissa i paletti per i ricorsi

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di Cassazione in materia di risarcimento del danno da perdita di chance nel pubblico impiego. Una vicenda complessa, iniziata con un errato inquadramento di un dipendente e culminata in una pronuncia di inammissibilità per entrambi i ricorsi, quello dell’ente pubblico e quello del lavoratore. Analizziamo i dettagli di questa decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

Fatti di Causa

Un ingegnere, dipendente di un ente nazionale per l’aviazione civile, dopo un periodo di lavoro a tempo determinato, veniva stabilizzato. Tuttavia, l’ente lo inquadrava in un livello inferiore rispetto a quello che gli sarebbe spettato, tenendo conto del servizio pregresso. Il lavoratore si rivolgeva quindi al Tribunale, che accertava il suo diritto a un inquadramento superiore fin dal momento della stabilizzazione.

Successivamente, la Corte d’Appello, in parziale riforma della prima sentenza, riconosceva al lavoratore anche un risarcimento per la perdita di chance. L’errato inquadramento, infatti, gli aveva precluso la possibilità di partecipare a selezioni interne per l’accesso a livelli ancora superiori (III e IV). Il danno veniva quantificato in via equitativa, nella misura del 50% delle differenze retributive che avrebbe percepito se fosse stato promosso. Insoddisfatti della decisione, sia l’ente datore di lavoro (con ricorso principale) sia il lavoratore (con ricorso incidentale) si rivolgevano alla Corte di Cassazione.

L’analisi dei ricorsi e la decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi, seppur per ragioni distinte ma spesso convergenti sulla natura del giudizio di legittimità.

Il Ricorso Principale dell’Ente Pubblico

L’ente datore di lavoro ha basato il suo ricorso su tre motivi principali, criticando la sentenza d’appello per:
1. Violazione del giudicato: sosteneva che il lavoratore non avrebbe comunque avuto i requisiti temporali per accedere al livello III.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: lamentava che la Corte non avesse considerato adeguatamente il giudicato formatosi sull’inquadramento al momento dell’assunzione.
3. Difetto di motivazione: denunciava una contraddittorietà nel ragionamento dei giudici d’appello.

La Cassazione ha respinto tutti i motivi, qualificandoli come un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di ottenere una nuova valutazione del merito della causa. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o le prove, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione.

Il Ricorso Incidentale del Lavoratore e la perdita di chance

Anche il lavoratore ha presentato ricorso, lamentando principalmente:
1. Omesso esame di un fatto decisivo: sosteneva di aver presentato domanda per tutte le progressioni, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici.
2. Errore di percezione: criticava la Corte d’Appello per non aver considerato che le selezioni erano uniche e non distinte per livelli.
3. Errata quantificazione del danno: riteneva che il risarcimento del 50% fosse incongruo e non adeguatamente motivato, non tenendo conto delle sue effettive probabilità di successo.

Anche in questo caso, la Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità. I motivi, sebbene formulati come vizi di legittimità, miravano in realtà a una riconsiderazione delle quaestiones facti (questioni di fatto) e della valutazione equitativa del danno, attività che rientrano nel dominio esclusivo del giudice di merito. Inoltre, il ricorso presentava carenze procedurali, come la mancata specifica indicazione degli atti e dei documenti a sostegno delle proprie tesi.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi consolidati del diritto processuale. Il punto centrale è la netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di Tribunale e Appello sull’interpretazione delle prove, sulla ricostruzione dei fatti o sulla quantificazione equitativa di un danno come quello da perdita di chance. Il suo compito si arresta alla verifica che il percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito sia esente da vizi di legge o da palesi illogicità e contraddizioni. Entrambi i ricorsi cercavano di superare questo confine, sollecitando una revisione del ‘decisum’ basata su una diversa lettura delle risultanze processuali, una richiesta irricevibile in sede di legittimità.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma che la strada per ottenere una riforma di una sentenza di merito in Cassazione è stretta e soggetta a rigorosi requisiti formali e sostanziali. Per le parti, ciò significa che le questioni di fatto e le valutazioni probatorie devono essere definite in modo conclusivo nei primi due gradi di giudizio. La perdita di chance, pur essendo un danno risarcibile, comporta una valutazione necessariamente probabilistica ed equitativa da parte del giudice di merito, valutazione che diventa quasi inscalfibile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione congrua e non manifestamente illogica. La decisione, pertanto, cristallizza il diritto al risarcimento del lavoratore nella misura stabilita dalla Corte d’Appello, ponendo fine alla controversia.

Perché il ricorso dell’ente pubblico è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché, pur denunciando formalmente violazioni di legge, mirava in realtà a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione. I motivi non coglievano la ratio della decisione impugnata e si basavano su una critica dell’apprezzamento fattuale riservato al giudice di merito.

Quali sono state le ragioni dell’inammissibilità del ricorso del lavoratore?
Anche il ricorso del lavoratore è stato dichiarato inammissibile per motivi simili. Egli contestava la valutazione dei fatti (come la presunta mancata presentazione delle domande) e la quantificazione del danno, chiedendo di fatto alla Corte di sostituire il proprio giudizio a quello della Corte d’Appello. Inoltre, il ricorso presentava difetti procedurali, come la mancata specifica indicazione dei documenti a supporto delle sue tesi.

In che modo la Corte d’Appello ha quantificato il danno da perdita di chance?
La Corte d’Appello ha quantificato il danno in via equitativa, stabilendo un risarcimento pari al 50% delle differenze retributive che il lavoratore avrebbe percepito se fosse stato inquadrato nel livello superiore. Questa valutazione teneva conto dell’esistenza di almeno un altro concorrente e dell’imponderabilità delle valutazioni discrezionali della commissione esaminatrice. La Cassazione non ha riesaminato nel merito questa quantificazione, in quanto rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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