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Perdita di chance: prova necessaria per il risarcimento

Una dipendente pubblica, a seguito dell’annullamento di una sua valutazione negativa, ha richiesto un risarcimento per la mancata progressione economica. I tribunali di merito hanno respinto la domanda per mancanza di prove concrete sulla perdita di chance. La Corte di Cassazione ha confermato tali decisioni, dichiarando il ricorso inammissibile. La sentenza sottolinea che l’illegittimità di un atto non comporta un risarcimento automatico: è onere del lavoratore dimostrare, con prove concrete, di aver perso una reale e significativa opportunità di avanzamento.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento per Perdita di Chance: Quando la Valutazione Negativa non Basta

L’annullamento di una valutazione professionale negativa non garantisce automaticamente un risarcimento per la mancata progressione di carriera. È quanto emerge da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ha esaminato il caso di una dipendente pubblica. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere un indennizzo per perdita di chance, il lavoratore deve fornire la prova concreta di aver perso una reale opportunità di miglioramento economico, non potendo basarsi sulla sola illegittimità del provvedimento datoriale.

I Fatti del Caso: Dalla Valutazione Negativa alla Cassazione

Una dipendente di un ente comunale si è vista precludere la progressione economica a causa di una scheda di valutazione negativa. In un primo momento, il Tribunale ha accolto la sua richiesta, annullando la valutazione perché emessa oltre i termini di legge. Tuttavia, la stessa corte ha respinto la domanda di risarcimento danni, quantificata in oltre 30.000 euro, per mancata progressione e per la relativa perdita di chance, ritenendola priva di adeguato supporto probatorio.

La lavoratrice ha impugnato la decisione davanti alla Corte d’Appello, ma anche in secondo grado la sua pretesa risarcitoria è stata giudicata infondata. I giudici d’appello hanno confermato che la documentazione prodotta, inclusa una nota relativa allo svolgimento di mansioni superiori, non era sufficiente a dimostrare in concreto la probabilità di ottenere l’avanzamento economico. Di fronte a questa doppia sconfitta, la dipendente ha deciso di portare il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi dei Motivi di Ricorso

Il ricorso in Cassazione si fondava su tre motivi principali:
1. Omesso esame di un fatto decisivo: la ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero ingiustamente ritenuto irrilevante un documento che, a suo dire, provava lo svolgimento di importanti mansioni e responsabilità.
2. Violazione delle norme sulla prova testimoniale: si contestava la decisione della Corte d’Appello di non ammettere la prova per testimoni, considerata cruciale per dimostrare la sua professionalità.
3. Errata valutazione del danno da perdita di chance: si sosteneva che l’accertata illegittimità del procedimento di valutazione dovesse di per sé condurre al riconoscimento di un danno, dimostrabile anche tramite presunzioni.

Le Motivazioni della Suprema Corte sulla Perdita di Chance

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure della lavoratrice con argomentazioni sia procedurali che di merito. In primo luogo, i giudici hanno rilevato un vizio nella formulazione del primo motivo, che mescolava in modo inestricabile la denuncia di un vizio di motivazione con quella di una violazione di legge, rendendo impossibile individuare la censura specifica. Inoltre, hanno richiamato il principio della “doppia conforme”, che impedisce di contestare l’accertamento dei fatti quando due giudici di merito sono giunti alla medesima conclusione.

Nel merito, la Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento in materia di perdita di chance. I giudici hanno chiarito che, in casi analoghi, il risarcimento non è una conseguenza automatica dell’illegittimità della valutazione negativa. Il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nel valutare se il dipendente avesse diritto alla progressione. Tuttavia, può riconoscere un danno se il lavoratore dimostra di aver perso una “concreta ed effettiva occasione favorevole” di conseguire un bene. Questa non è una mera speranza, ma un’entità patrimoniale a sé stante, che deve essere provata, anche tramite presunzioni. Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva correttamente applicato questi principi, concludendo, con una motivazione logica e congrua, che gli elementi forniti dalla ricorrente non erano sufficienti a dimostrare tale concreta possibilità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori ed Enti Pubblici

La decisione della Cassazione offre importanti spunti di riflessione. Per i lavoratori, emerge chiaramente che l’onere della prova nel risarcimento per perdita di chance è particolarmente rigoroso. Non basta dimostrare l’illegittimità di un atto dell’amministrazione; è indispensabile fornire elementi concreti che attestino un’alta probabilità di successo se l’atto illegittimo non fosse stato compiuto. Per gli enti datoriali, la sentenza conferma che un errore procedurale non si traduce automaticamente in un obbligo risarcitorio, il quale sorge solo a fronte di un danno effettivo e provato. In definitiva, la giustizia formale (l’annullamento dell’atto) e la giustizia sostanziale (il risarcimento del danno) viaggiano su binari distinti che richiedono percorsi probatori differenti.

L’annullamento di una scheda di valutazione negativa dà automaticamente diritto a un risarcimento del danno per mancata progressione economica?
No, l’annullamento di per sé non è sufficiente. La Corte di Cassazione chiarisce che non compete un risarcimento automatico. Il lavoratore deve dimostrare la sussistenza di un danno da “perdita di chance”, provando di aver perso una concreta ed effettiva occasione favorevole.

Come si prova il danno da perdita di chance in un caso come questo?
Il danno si prova dimostrando che esisteva una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire la progressione economica, non una mera aspettativa. Il lavoratore deve fornire elementi probatori (documenti, testimonianze, presunzioni) che attestino un’elevata probabilità di ottenere il beneficio se la valutazione negativa non fosse intervenuta.

È possibile contestare in Cassazione la decisione di un giudice di non ammettere una prova?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. La valutazione sull’irrilevanza di una prova è un giudizio di merito del giudice. Può essere censurata in Cassazione solo se la motivazione del giudice presenta lacune “costituzionalmente rilevanti” o per violazione del diritto alla prova (ad es. per errata applicazione di norme su decadenze o preclusioni), non semplicemente perché non si è d’accordo con la sua valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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