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Perdita di chance: onere della prova nel pubblico impiego

Un gruppo di dipendenti pubblici ha citato in giudizio il proprio Ministero per la mancata attivazione di procedure di progressione di carriera, chiedendo un risarcimento per perdita di chance. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15308/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che spetta al lavoratore dimostrare, anche tramite presunzioni, la sussistenza di una probabilità concreta e non meramente ipotetica di successo. L’esistenza di un danno risarcibile deve essere provata prima di poterne chiedere una valutazione equitativa.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Perdita di Chance: L’Onere della Prova nel Pubblico Impiego secondo la Cassazione

L’ordinanza n. 15308/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il risarcimento del danno da perdita di chance per mancata progressione di carriera. Questa decisione chiarisce in modo netto i confini dell’onere probatorio a carico del dipendente, stabilendo che non basta lamentare un’occasione mancata, ma è necessario dimostrare la sua concreta probabilità di successo.

I Fatti di Causa

La vicenda nasce dal ricorso di un gruppo di dipendenti del Ministero della Giustizia, inquadrati come cancellieri e ufficiali giudiziari. Essi lamentavano che il Ministero non avesse mai portato a termine le procedure di riqualificazione per la progressione di carriera, previste da un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del 1999 e da un accordo integrativo del 2000.

I dipendenti sostenevano che tale inadempimento avesse causato loro un danno da perdita di chance, ovvero la perdita della concreta possibilità di ottenere un inquadramento superiore e il relativo beneficio economico. Dopo una decisione favorevole in primo grado, la Corte d’Appello aveva ribaltato la sentenza, rigettando la domanda. Secondo i giudici di secondo grado, i lavoratori non avevano fornito prove sufficienti, neanche in via presuntiva, per dimostrare che, se le procedure selettive si fossero svolte, avrebbero avuto una probabilità reale di superarle con successo. Di qui il ricorso per Cassazione.

La Prova della Perdita di Chance: La Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dei dipendenti inammissibile, confermando la linea della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia.

I giudici hanno specificato che le doglianze dei ricorrenti non denunciavano un errore di diritto, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, aveva correttamente applicato i principi giuridici consolidati, ritenendo non provata la sussistenza di una perdita di chance risarcibile.

L’Inadempimento e la Natura Programmatica delle Norme

Un punto chiave della decisione riguarda la natura della norma contrattuale violata (l’art. 15 del CCNL). La giurisprudenza, a partire da una storica sentenza delle Sezioni Unite del 2013, considera tale norma come meramente “programmatica”. Ciò significa che essa delinea un obiettivo per l’amministrazione, ma non crea un diritto soggettivo automatico alla progressione di carriera per i dipendenti. Pertanto, l’inadempimento del Ministero non è di per sé sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria.

L’Onere della Prova come Elemento Centrale

Il cuore della questione, come evidenziato dalla Corte, risiede nell’onere probatorio. Chi agisce per il risarcimento del danno da perdita di chance deve provare, anche attraverso presunzioni e calcoli probabilistici, che avrebbe avuto una possibilità concreta e apprezzabile di conseguire il risultato sperato. Una mera possibilità teorica o remota non è sufficiente.

Nel caso specifico, i ricorrenti non erano riusciti a dimostrare tale probabilità. Anche se avessero superato una prima selezione basata sul numero di posti e domande, il percorso prevedeva una seconda selezione al termine di un periodo di formazione, il cui esito era del tutto incerto e non dimostrato. Senza la prova della sussistenza di un danno risarcibile, non è possibile neppure procedere a una sua liquidazione in via equitativa, come previsto dall’art. 1226 del codice civile.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la propria decisione di inammissibilità evidenziando che i motivi di ricorso si risolvevano nel tentativo di contrapporre una propria valutazione del materiale probatorio a quella, insindacabile in sede di legittimità, operata dalla Corte territoriale. I giudici di merito avevano plausibilmente ritenuto irrilevanti gli elementi forniti dai lavoratori rispetto alla complessa struttura del percorso di riqualificazione. La probabilità di successo non poteva essere dedotta solo dal rapporto tra numero di domande e posti disponibili nella fase iniziale, poiché l’esito finale dipendeva da una seconda selezione successiva a un corso di formazione, il cui superamento era tutt’altro che scontato. La Corte ha quindi concluso che, in assenza di una prova concreta sulla probabilità di superare l’intero iter selettivo, la domanda di risarcimento per perdita di chance non poteva essere accolta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di perdita di chance nel pubblico impiego. Per i dipendenti pubblici che aspirano a un risarcimento per mancate progressioni di carriera, non è sufficiente dimostrare l’inerzia o l’inadempimento dell’amministrazione. È indispensabile fornire elementi concreti, anche presuntivi, che attestino una seria e consistente probabilità di successo nelle procedure selettive, qualora queste fossero state attivate. In mancanza di tale prova rigorosa, la domanda risarcitoria è destinata al rigetto, poiché il danno lamentato rimane a livello di mera ipotesi, non tutelabile dall’ordinamento.

Quando è risarcibile il danno da perdita di chance nel pubblico impiego?
Il danno da perdita di chance è risarcibile solo quando il dipendente riesce a provare, anche tramite presunzioni, di aver perso una possibilità concreta, seria e apprezzabile di ottenere un vantaggio (come una progressione di carriera), e non una mera eventualità o speranza ipotetica.

Su chi ricade l’onere di provare la perdita di chance?
L’onere della prova ricade interamente sul dipendente che agisce per il risarcimento. Egli deve dimostrare non solo l’inadempimento dell’amministrazione, ma anche la probabilità che avrebbe avuto di conseguire il risultato favorevole se la procedura si fosse svolta correttamente.

Una norma contrattuale che prevede progressioni di carriera crea un diritto soggettivo per il dipendente?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata citata nella decisione, norme come l’art. 15 del CCNL Ministeri 1999 hanno carattere programmatico. Esse non creano un diritto soggettivo del dipendente alla progressione o allo svolgimento della procedura, ma indicano un obiettivo per l’amministrazione, la cui inerzia può generare responsabilità solo se causa la perdita di una chance concreta e provata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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