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Perdita di chance: onere della prova e ricorso

Un dirigente medico ha citato in giudizio il suo datore di lavoro per il risarcimento dei danni derivanti da una perdita di chance nella sua carriera, sostenendo che un ritardato riconoscimento della sua anzianità gli ha impedito di ottenere ruoli dirigenziali. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando vizi procedurali e la mancata prova dell’esistenza effettiva delle opportunità perse. La sentenza conferma che l’onere di dimostrare la concreta possibilità di successo ricade interamente sul richiedente.

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Risarcimento per perdita di chance: quando è un diritto?

Il risarcimento per la perdita di chance è un tema cruciale nel diritto del lavoro, specialmente quando un dipendente ritiene che le azioni del datore di lavoro abbiano compromesso le sue opportunità di carriera. Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi requisiti, sia sostanziali che procedurali, per ottenere un risarcimento in questi casi, sottolineando l’importanza dell’onere della prova e della corretta formulazione del ricorso.

I Fatti del Caso

Un dirigente medico, dopo aver ottenuto in sede giudiziale il riconoscimento della propria anzianità di servizio maturata come medico convenzionato, ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) per il risarcimento dei danni. A suo dire, il mancato e tardivo riconoscimento di tale anzianità gli aveva impedito, al momento dell’assunzione a tempo indeterminato, di accedere a incarichi superiori, prima di struttura semplice (dopo 5 anni) e poi di struttura complessa. Il medico chiedeva quindi il risarcimento del danno, commisurato alle differenze retributive non percepite, e il ristoro per il mancato corretto inquadramento.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le sue domande, affermando che il semplice maturare dell’anzianità non crea un diritto automatico a ottenere incarichi dirigenziali. Tali nomine, infatti, richiedono l’esistenza di posizioni vacanti e il superamento di una procedura selettiva. Il medico, secondo i giudici di merito, non aveva fornito la prova dell’esistenza di tali posizioni all’interno dell’azienda.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del medico inammissibile. La decisione non è entrata nel merito della pretesa, ma si è concentrata sui vizi procedurali del ricorso stesso, offrendo importanti spunti sulla gestione di questo tipo di contenziosi.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano principalmente su due pilastri: i vizi procedurali del ricorso e la carenza probatoria del ricorrente in merito alla perdita di chance.

1. Difetti Procedurali e Principio di Autosufficienza

La Corte ha rilevato che il motivo di ricorso sollevava questioni (come l’errato inquadramento al nono livello anziché al decimo) che non erano state adeguatamente trattate e decise nella sentenza d’appello. Secondo il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente ha l’onere non solo di allegare di aver già sollevato la questione nei gradi precedenti, ma anche di indicare specificamente in quali atti lo ha fatto. In questo caso, il medico non ha dimostrato di aver sottoposto la questione dell’errato inquadramento in modo specifico ai giudici d’appello, rendendo la censura inammissibile.

In pratica, non si può presentare in Cassazione una doglianza come se fosse nuova o senza dimostrare di averla coltivata lungo tutto l’iter processuale. Il ricorso deve essere ‘autosufficiente’, cioè contenere tutti gli elementi per permettere alla Corte di decidere senza dover cercare atti nei fascicoli precedenti.

2. L’Onere della Prova nella Perdita di Chance

Sul punto centrale della perdita di chance, la Cassazione ha confermato l’impostazione dei giudici di merito. Il risarcimento per la perdita di un’opportunità non è automatico. Il danneggiato deve provare che la sua era una possibilità concreta, seria e con un’alta probabilità di successo. Nel contesto lavorativo, questo si traduce nella necessità di dimostrare:

* L’esistenza di una o più posizioni vacanti per le quali si sarebbe potuto concorrere.
* La propria probabilità di successo nella selezione, basata su titoli, esperienza e capacità.

La Corte d’Appello aveva già stabilito, con un accertamento di fatto non riesaminabile in Cassazione, che il medico non aveva provato l’esistenza di incarichi di struttura semplice conferibili nell’ambito del servizio 118 o in altri reparti dell’ASL. Senza questa prova fondamentale, la pretesa risarcitoria perde ogni fondamento, perché non si può risarcire la perdita di un’opportunità che non è dimostrato sia mai esistita.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce due principi fondamentali per chi affronta un contenzioso in materia di diritto del lavoro. In primo luogo, la richiesta di risarcimento per perdita di chance richiede una prova rigorosa e dettagliata. Non basta lamentare un’ingiustizia, ma occorre dimostrare con elementi concreti l’esistenza dell’opportunità persa e le proprie elevate probabilità di coglierla. In secondo luogo, il processo civile, e in particolare il giudizio di cassazione, è governato da regole procedurali stringenti. Il principio di autosufficienza impone agli avvocati una redazione meticolosa degli atti, che devono contenere tutti gli elementi per sostenere le proprie tesi, pena l’inammissibilità del ricorso.

Perché il ricorso del medico è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per vizi procedurali. Il ricorrente ha sollevato questioni non adeguatamente discusse in appello e non ha rispettato il principio di autosufficienza, omettendo di indicare in quali atti dei gradi precedenti avesse specificamente sollevato tali censure.

Cosa deve provare un lavoratore per ottenere un risarcimento per perdita di chance?
Il lavoratore deve fornire la prova concreta e rigorosa di tre elementi: 1) l’esistenza effettiva di un’opportunità favorevole (es. una posizione lavorativa vacante); 2) la perdita di questa opportunità a causa del comportamento illegittimo del datore di lavoro; 3) un’alta e seria probabilità di aver ottenuto quel risultato favorevole qualora avesse potuto giocarsi le sue carte.

La maturazione dell’anzianità di servizio dà diritto automatico a un incarico superiore?
No. Secondo la sentenza, la sola maturazione dell’anzianità non conferisce un diritto soggettivo a ottenere un incarico di livello superiore. È sempre necessaria l’esistenza di una posizione disponibile nell’organigramma aziendale e, di norma, il superamento di una procedura selettiva comparativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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