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Perdita di chance: onere della prova del dipendente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15301/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni dipendenti del Ministero della Giustizia. I lavoratori chiedevano un risarcimento per la perdita di chance di progressione di carriera, a causa della mancata attivazione delle procedure selettive previste dal contratto collettivo. La Corte ha ribadito che, per ottenere il risarcimento, non basta dimostrare l’inadempimento dell’amministrazione, ma è necessario che il dipendente provi, anche tramite presunzioni, di avere avuto una concreta e probabile possibilità di successo se la selezione si fosse svolta. In assenza di tale prova, la domanda di risarcimento non può essere accolta.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Perdita di Chance nel Pubblico Impiego: La Prova è a Carico del Lavoratore

Il concetto di perdita di chance rappresenta una frontiera complessa nel diritto del lavoro, specialmente nel settore pubblico. Quando un’amministrazione non attiva le procedure per la progressione di carriera, il dipendente può chiedere un risarcimento? La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 15301/2024 offre un chiarimento decisivo, sottolineando come l’onere della prova gravi interamente sul lavoratore, che deve dimostrare una probabilità concreta di successo, e non solo l’inadempimento del datore di lavoro.

I fatti del caso: la mancata progressione di carriera

Un gruppo di operatori giudiziari ha citato in giudizio il Ministero della Giustizia, lamentando la mancata attuazione delle procedure di riqualificazione e progressione di carriera (orizzontale e verticale) previste da un Contratto Collettivo Nazionale. Secondo i dipendenti, questa omissione aveva causato loro un danno da perdita di chance, ovvero la perdita della possibilità di ottenere un inquadramento superiore e il relativo aumento di stipendio. Mentre il tribunale di primo grado aveva dato loro ragione, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, respingendo la domanda. I lavoratori hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione sulla perdita di chance

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea dura della giurisprudenza in materia. Il punto centrale della decisione è che, per ottenere un risarcimento per perdita di chance, non è sufficiente lamentare l’inadempimento dell’amministrazione (in questo caso, la mancata attivazione delle selezioni). Il dipendente deve spingersi oltre, fornendo la prova rigorosa che, se la procedura si fosse svolta, egli avrebbe avuto una probabilità seria e concreta di superarla con successo.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione ha basato la sua decisione su principi consolidati, richiamando anche una precedente sentenza delle Sezioni Unite. Ecco i punti chiave del ragionamento dei giudici:
1. L’Onere della Prova: L’articolo 2697 del Codice Civile è chiaro: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso della perdita di chance, l’onere probatorio è interamente a carico del lavoratore. Egli deve dimostrare, anche attraverso presunzioni e calcoli probabilistici, che la sua chance non era una mera eventualità, ma una possibilità concreta e consistente.
2. Natura Programmatica della Norma Contrattuale: La Corte ha specificato che la clausola del contratto collettivo invocata dai ricorrenti (l’art. 15 del CCNL) aveva un carattere meramente programmatico. Ciò significa che essa delineava un obiettivo dell’amministrazione, ma non creava un diritto soggettivo automatico e incondizionato dei dipendenti alla progressione. Non obbligava, quindi, l’amministrazione ad avviare le procedure in ogni caso.
3. Valutazione del Merito non Censurabile in Cassazione: I ricorrenti, secondo la Corte, cercavano di ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio, contestando l’interpretazione dei fatti data dalla Corte d’Appello. Questo tipo di riesame è precluso in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva plausibilmente ritenuto che i lavoratori non avessero fornito elementi sufficienti a dimostrare la probabilità di successo, considerando che il percorso di riqualificazione prevedeva più fasi selettive e un periodo di formazione il cui esito era tutt’altro che scontato.

Conclusioni: implicazioni pratiche per i dipendenti pubblici

L’ordinanza in esame conferma che la strada per ottenere un risarcimento per perdita di chance nel pubblico impiego è in salita. La decisione serve da monito per i lavoratori: non basta l’inerzia o l’inadempimento della Pubblica Amministrazione. È indispensabile costruire una solida argomentazione probatoria che dimostri, con un alto grado di probabilità, che la chance perduta era reale e tangibile. In assenza di prove concrete che trasformino una semplice speranza in una probabilità qualificata, le domande di risarcimento sono destinate a essere respinte.

È sufficiente dimostrare che il datore di lavoro non ha attivato una procedura di selezione per ottenere un risarcimento per perdita di chance?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, il lavoratore deve anche provare, tramite allegazioni e prove concrete, che avrebbe avuto una probabilità seria e consistente di superare quella selezione e ottenere il risultato sperato.

A chi spetta l’onere della prova in un caso di risarcimento per perdita di chance?
L’onere della prova spetta interamente al lavoratore che agisce per il risarcimento. È lui che deve dimostrare non solo l’inadempimento del datore di lavoro, ma anche la consistenza della chance perduta, ovvero la probabilità che avrebbe avuto di conseguire il risultato utile.

Una clausola di un contratto collettivo che prevede progressioni di carriera crea un diritto automatico per il dipendente?
Non necessariamente. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza, ha chiarito che la clausola in questione (art. 15 del CCNL) aveva un carattere meramente programmatico, ovvero indicava un obiettivo dell’amministrazione, ma non creava un diritto soggettivo immediato e azionabile dei dipendenti alla progressione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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