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Perdita di chance nel pubblico: quando è risarcibile?

Un dirigente pubblico ha citato in giudizio l’Amministrazione per demansionamento e perdita di chance a seguito di una riorganizzazione interna. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, sottolineando che la domanda per perdita di chance deve essere specifica e non un generico lamento. Inoltre, ha ribadito l’assenza di un diritto all’assegnazione di un incarico dirigenziale specifico, data la fungibilità normativa di tali ruoli, e ha chiarito l’autonomia dell’Avvocatura dello Stato nel decidere se impugnare o meno una sentenza.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Perdita di chance nel pubblico impiego: i limiti al risarcimento

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, offre importanti chiarimenti sui presupposti per ottenere un risarcimento per perdita di chance nell’ambito del pubblico impiego. La pronuncia sottolinea la necessità di formulare domande precise e circostanziate, distinguendo nettamente questa specifica voce di danno da altre doglianze come il demansionamento o il mobbing. Analizziamo insieme i punti salienti di questa decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un dirigente pubblico che, a seguito di un processo di riorganizzazione ministeriale avvenuto nel 2014, lamentava di non aver ricevuto un incarico dirigenziale adeguato. Successivamente, nel 2015, il dirigente veniva reintegrato in un ruolo di vertice, ma egli insisteva nel chiedere un risarcimento per i presunti danni subiti nel periodo intermedio. La sua domanda, tuttavia, veniva respinta sia in appello che, infine, in Cassazione.

L’Analisi della Corte e la Perdita di Chance

Il cuore della controversia ruotava attorno alla corretta qualificazione della domanda del ricorrente. La Corte d’Appello aveva ritenuto che la richiesta di risarcimento per violazione delle regole di correttezza e trasparenza nella selezione non fosse mai stata formalmente proposta in primo grado. Il dirigente, invece, sosteneva che tale pretesa fosse implicita nella sua richiesta di risarcimento per perdita di chance.

La Cassazione, nel confermare la decisione di merito, ha chiarito un principio fondamentale: la domanda di risarcimento per perdita di chance non può essere generica. Il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare con precisione nel suo atto introduttivo quali fossero le violazioni procedurali nella selezione e come queste gli avessero precluso una concreta possibilità di ottenere un incarico migliore. Invece, le sue doglianze iniziali erano più assimilabili a lamentele per demansionamento o mobbing. Trascrivere gran parte del ricorso di primo grado nell’atto di cassazione non è sufficiente, poiché è onere del ricorrente individuare specificamente i profili di censura rispetto alle motivazioni della sentenza impugnata.

La Fungibilità degli Incarichi Dirigenziali

Un altro aspetto cruciale toccato dalla Corte riguarda la natura degli incarichi dirigenziali. I giudici hanno ribadito che non esiste un diritto soggettivo del dirigente all’assegnazione di un particolare incarico dirigenziale in luogo di un altro (ad esempio, uno “generale” rispetto a uno “di studio”). Questo principio si basa sulla “fungibilità normativa” di tali incarichi, il che significa che, a parità di livello, sono considerati equivalenti. Di conseguenza, la mancata assegnazione di una posizione specifica non costituisce, di per sé, un danno risarcibile.

Il Ruolo dell’Avvocatura dello Stato

Il ricorrente aveva anche contestato la legittimità dell’appello promosso dall’Avvocatura dello Stato, sostenendo che mancasse un chiaro mandato da parte dell’Amministrazione. La Cassazione ha respinto anche questa censura, ricordando il particolare status dell’Avvocatura. In base al R.D. 1611/1933, l’Avvocatura dello Stato agisce in autonomia, senza necessità di un mandato specifico per le liti, specialmente in un regime di patrocinio obbligatorio. La sua funzione è quella di tutelare l’interesse pubblico e la legalità, potendo decidere autonomamente se impugnare una sentenza sfavorevole, anche sulla base di mere consultazioni con l’ente difeso.

Le Motivazioni

La Corte ha rigettato il ricorso perché i motivi presentati erano infondati e, in parte, inammissibili. In primo luogo, la doglianza relativa alla perdita di chance era carente sotto il profilo della specificità. Il ricorrente non ha saputo dimostrare di aver articolato, sin dal primo grado, una domanda chiara e puntuale sulla violazione delle regole procedurali di selezione, ma si è limitato a formulare censure generiche. In secondo luogo, la Cassazione ha evidenziato la correttezza della sentenza d’appello nel negare un diritto del dirigente a un incarico specifico, data la fungibilità degli incarichi dirigenziali. Infine, sono state respinte le critiche sull’operato dell’Avvocatura dello Stato, la cui autonomia decisionale nell’impugnare le sentenze è pienamente legittimata dalla normativa vigente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce l’importanza del principio di specificità degli atti processuali. Chi intende agire in giudizio per ottenere un risarcimento per perdita di chance deve, fin da subito, allegare e provare non solo l’esistenza di una possibilità concreta di successo, ma anche l’illegittimità della procedura che ha impedito il realizzarsi di tale possibilità. Non è sufficiente un generico richiamo a presunte ingiustizie. La decisione conferma inoltre la discrezionalità dell’amministrazione nell’assegnazione degli incarichi dirigenziali, entro i limiti della loro equivalenza funzionale, e l’autonomia dell’Avvocatura dello Stato nella gestione del contenzioso pubblico.

Cosa si deve dimostrare per ottenere un risarcimento per perdita di chance nel pubblico impiego?
È necessario formulare una domanda specifica fin dal primo grado di giudizio, evidenziando con precisione le violazioni delle regole di correttezza e trasparenza nella procedura selettiva e dimostrando come tali violazioni abbiano precluso una concreta e probabile possibilità di ottenere un incarico o un risultato favorevole.

L’esecuzione di una sentenza di primo grado da parte della P.A. impedisce l’appello?
No. La Corte ha chiarito che l’esecuzione di una sentenza esecutiva, con l’intento di non esporsi a ulteriori danni, non costituisce acquiescenza, ovvero non implica una rinuncia a impugnare la decisione in appello.

L’Avvocatura dello Stato ha bisogno di un mandato specifico dall’amministrazione per presentare appello?
No. La legge (in particolare il R.D. 1611/1933) esclude la necessità di un mandato alle liti. L’Avvocatura dello Stato gode di autonomia istituzionale e può decidere di impugnare una sentenza sulla base delle proprie valutazioni tecnico-giuridiche, nell’ambito del suo ruolo di difesa dell’interesse pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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