Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25115 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25115 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
riorganizzazione non vi fossero stati profili di illiceità nei termini denunciati dal ricorrente;
rispetto a quanto accaduto poi nel 2015, la sentenza impugnata dà semplicemente atto che l’accaduto ha finito comunque per portare il ricorrente, già sua sponte fuori ruolo presso il RAGIONE_SOCIALE, a rientrare in quel Ministero con quell’incarico di Direttore dell’Organismo di Valutazione e poi con l’incarico di preposto alla Direzione Generale per il Mercato;
non vi è stata dunque alcuna extrapetizione, perché il giudizio sui fatti antecedenti vi è stato ed è stato sfavorevole al COGNOME e nulla muta quanto accaduto nel 2015, peraltro alla fine in senso favorevole al ricorrente quanto ad assegnazione di una Direzione Generale;
poco chiaro, anche nella logica della formulazione di un valido motivo di ricorso per cassazione, è poi il generico raffronto tra la pronuncia del Tribunale favorevole al COGNOME e quella sfavorevole della Corte d’Appello, così come generico ed inammissibile, perché tale da involgere un giudizio di fatto del tutto sommariamente veicolato, è l’inciso in cui nel motivo puramente e semplicemente si afferma che l’incarico di studio in esito all’interpello non sarebbe stato mai formalmente proposto;
2.
il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 112 e 437 c.p.c. (art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.), nonché omesso esame di fatti decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.);
la censura sostiene che la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare, travisandone anche il contenuto, le domande relative al danno per perdita di chance avanzate con il ricorso introduttivo del giudizio ed il fatto che l’RAGIONE_SOCIALE avesse rifiutato un
incarico al COGNOME, nel 2015, proprio per lo svolgimento negli anni precedenti di incarichi meramente consulenziali;
il motivo inoltre afferma che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare a valutare le difese svolte in merito alla violazione, da parte del RAGIONE_SOCIALE, del divieto di nova in appello, evidenziando come non fosse stata contestata in prime cure la voce di danno da perdita di chance , sicché la circostanza doveva essere ritenuta pacifica in sede di appello;
ragioni di contiguità logica consigliano di procedere all’esame, in una con il secondo motivo, anche della quarta censura, con cui il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 20 del CCNL di area e della L. 241/1990, anche in relazione all’art. 97 della Costituzione e tutto ciò sul presupposto che la Corte d’Appello avrebbe travisato la domanda incentrata sull’omessa attribuzione di incarico alcuno al COGNOME in esito alla riorganizzazione del 2014, con omesso riscontro alle manifestazioni di interesse inoltrate ed omessa comparazione tra i profili risultati affidatari di incarichi in esito al corrispondente interpello;
la censura sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe rilevato quanto reclamato dal ricorrente rispetto alla mancata proposta, dopo l’interpello, formalmente, di qualsivoglia incarico, anche di studio e ricerca, così come rispetto alla mancata motivazione della selezione svolta per il conferimento degli incarichi di direzione generale anche in favore di dirigenti di seconda fascia, il tutto in spregio alle regole legali e contrattuali ed agli obblighi prodromici e strumentali alle attività valutative vere e proprie ed in violazione dell’art. 20 del CCNL di area;
le censure sopra riportate vanno esaminate secondo l’ordine logico RAGIONE_SOCIALE questioni con esse poste;
la Corte d’Appello, rispetto all’asserita violazione del divieto di nova , ha affermato che l’eccezione non spiegava in che senso essa si sarebbe avuta;
il motivo svolge una difesa mirata a sostenere, in sostanza, che in primo grado il Ministero non avrebbe contestato la domanda di danni per perdita di chance , mentre poi ciò sarebbe avvenuto in appello;
l’argomentare è intanto svolto senza puntuale ed esatto richiamo critico all’esatto contenuto degli atti da cui tutto ciò dovrebbe desumersi, in violazione dei principi di specificità che governano anche le censure afferenti ai profili processuali (ora anche Cass. 30 luglio 2024, n. 21346, ma già Cass., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077);
in ogni caso, la ‘non contestazione’ può riguardare solo fatti e non valutazioni, conclusioni giuridiche o domande (v. per i principi, tra le molte, Cass. 30 gennaio 2024, n. 2844; Cass. 6 luglio 2022, n. 21403; Cass. 5 marzo 2020, n. 6172), sicché quanto dedotto è giuridicamente comunque inidoneo ad intercettare un ipotetico vizio;
2.2
quanto alla domanda per violazione RAGIONE_SOCIALE regole di correttezza, imparzialità e trasparenza nell’operato della PRAGIONE_SOCIALEA., la Corte territoriale ha detto che essa non era stata proposta;
in effetti, la sentenza impugnata riepiloga altresì a pag. 2 le conclusioni di primo grado, ove una tale domanda non risulta;
i motivi qui in esame fanno riferimento alla perdita di chance , che potrebbe essere la conseguenza di una domanda di tal fatta, ma, pur contenendo deduzioni varie in ordine a difetti nella conduzione RAGIONE_SOCIALE operazioni concorsuali, non replicano in modo netto all’affermazione della Corte di merito rispetto alla mancata proposizione di quella esatta pretesa;
a fronte di quanto chiaramente detto dalla Corte rispetto a tale domanda, il ricorrente avrebbe dovuto invece evidenziare nei motivi con esattezza i passaggi del proprio ricorso introduttivo in cui quelle erano le deduzioni ed in cui, in luogo di insistere per l’attribuzione di un certo incarico o di lamentare un demansionamento o un mobbing (come è nei passi trascritti alle pag. 64 e 65), si fosse appunto sostenuto che la domanda svolta riguardava la violazione a fini risarcitori RAGIONE_SOCIALE regole di scelta;
valgono infatti i parametri di specificità nella deduzione del vizio processuale già evidenziati al punto che precede;
né a tale quadro di carenza argomentativa può di certo sopperire la trascrizione, per numerose pagine (da 4 a 18 del ricorso per cassazione), di gran parte del ricorso di primo grado, in quanto non si può rimettere alla S.C. la ricerca dei profili rilevanti, essendo onere ben preciso del ricorrente, in aderenza ancora ai principi di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., individuare con precisione nei motivi i profili di replica puntuale alle motivazioni assunte dalla Corte territoriale;
è quindi inconferente il -peraltro generico -richiamo a violazioni di regole sulla motivazione o sugli obblighi procedurali, di cui al quarto motivo, così come il richiamo all’art. 20 del CCNL, non assistito da alcuna precisa spiegazione, ma sostanzialmente sviluppato con la mera trascrizione del testo della norma contrattuale;
del tutto generico, anche in questo caso, è altresì il richiamo alla mancanza di un’offerta svolta formalmente dell’incarico di studio, circostanza ancora una volta puramente affermata e per la quale valgono le considerazioni sopra svolte al punto 1, in chiusura;
3.
i motivi sono dunque da disattendere ed incidentalmente non si può non rilevare come il ricorso per cassazione finisca per non prendere posizione sul punto centrale dell’argomentazione giuridica
svolta dalla Corte d’Appello, ovverosia sull’assenza di un diritto all’assegnazione di certi incarichi dirigenziali (generali) in luogo di altri (di studio), stante la fungibilità normativa di essi;
4.
il terzo motivo, in sé autonomo e formulato con richiamo all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c, denuncia invece l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte territoriale ritenuto non sussistente l’eccepita carenza di interesse ad agire nonostante la produzione in giudizio della nota 21.1.2016 del RAGIONE_SOCIALE con cui veniva manifestata all’Avvocatura dello Stato l’intenzione di conciliare la controversia, dando nelle more spontaneo adempimento alla sentenza di prime cure;
il motivo riporta il testo di quella nota e argomenta evidenziando sia la palese mancanza di dialogo tra il RAGIONE_SOCIALE e l’Avvocatura, sia il « personale interesse » del Ministero « nel senso contrario alla volontà di agire per la riforma della sentenza resa dal Tribunale di Roma », sicché al momento della proposizione dell’appello non sussisteva né vi era all’evidenza secondo il ricorrente – un chiaro mandato dell’amministrazione datoriale teso a voler dirimere (giudizialmente) l’assetto del rapporto e dei diritti del ricorrente;
4.1
il motivo va disatteso;
4.2
i ntanto è palese l’inammissibilità del richiamo all’art. 360 n. 5 c.p.c. ed all’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento alla nota del 21.1.2016, perché proprio su quella nota la Corte d’Appello argomenta in modo espresso e dunque non vi è alcun omesso esame;
4.3 d’altra parte, l’interpretazione di quella nota non può essere genericamente contestata, occorrendo, semmai una deduzione in
ordine alla violazione dei parametri ermeneutici, trattandosi pur sempre di un atto unilaterale (art. 1324 e 1362 ss. c.c.);
vale infatti il consolidato principio per cui « in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà RAGIONE_SOCIALE parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. », sicché « il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione RAGIONE_SOCIALE norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali » (tra le molte, v. Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168);
ma non è in tal modo che è impostato il motivo;
ciò senza contare che la nota in questione, chiudendosi con la richiesta, non a caso valorizzata dalla Corte territoriale, all’Avvocatura di rendere note le proprie valutazioni « per le valutazioni definitive di questa Amministrazione » non può proprio dirsi contenere un atto di acquiescenza, perché ciò attesta che nessuna decisione era stata comunque ancora realmente assunta, mentre non ha alcun rilievo che si facesse riferimento ad intenti conciliativi del COGNOME;
4.4
infine, non può condividersi l’assunto implicito nel motivo – per cui l’esercizio RAGIONE_SOCIALE prerogative defensionali dell’Avvocatura dello Stato, sotto il profilo della decisione di impugnare una decisione sfavorevole, debba avere fondamento in un « chiaro mandato » della P.A. di riferimento;
a parte il fatto che l’art. 1 del R.D. n. 1611/1933 esclude testualmente la necessità di mandato alle liti, il motivo non
considera il senso RAGIONE_SOCIALE funzioni istituzionali dell’Avvocatura dello Stato, in ambito di patrocinio obbligatorio o autorizzato, quali delineate da quel corpo normativo;
la difesa in giudizio -al di là dei casi eccezionali in cui è ammessa la difesa mediante propri funzionari – non è infatti mediata, nell’ambito di competenza generale dell’Avvocatura dello Stato, da decisioni della P.A. di riferimento, come è reso evidente sia dalla menzionata assenza di mandato (art. 1), sia dal fatto che per le liti passive le notifiche vanno effettuate direttamente all’Avvocatura competente (art. 11), sia per la funzione tecnica esclusivamente propria dell’Avvocatura, anche in ragione di esigenze di imparzialità e legalità che l’attribuzione ad un’istituzione autonoma è destinata ad assicurare, come del resto è dimostrato anche dal potere dell’Avvocato Generale di manifestare indirizzi sulla trattazione degli affari contenziosi e consultivi e di dirimere i contrasti tra le Avvocature distrettuali e le P.A. interessate (art. 15 R.D. cit.);
senza dubbio, persistono (v. anche Cass. 2 febbraio 1973 n. 321) i poteri sostanziali della RAGIONE_SOCIALE, così difesa, che può realizzare atti che determinino la cessazione della materia del contendere, così come non sembrano sussistere ostacoli astratti alla manifestazione di acquiescenza ai provvedimenti giurisdizionali, ferma la responsabilità di chi la realizzi in contrasto in ipotesi con opinamenti contrari dell’Avvocatura;
tuttavia, in assenza di tali manifestazioni dispositive, l’Avvocatura dello Stato può autonomamente decidere la proposizione RAGIONE_SOCIALE impugnazioni, sulla base per quanto necessario di consultazioni ed informative con la P.A. di riferimento, ma senza necessità di particolari impulsi, e ciò in esercizio RAGIONE_SOCIALE proprie prerogative istituzionali di cui si è detto;
i profili di censura in diritto sollecitati in proposito dal ricorrente sono dunque infondati;
infine, si osserva che la valutazione della Corte territoriale in ordine al non potersi parlare di acquiescenza come effetto dell’esecuzione della sentenza di primo grado, stante l’esecutività di essa e l’espresso int ento di non esporre la P.A. a danni sotto il profilo degli interessi è del tutto conforme alla giurisprudenza di questa S.C. (tra le molte, Cass. 28 agosto 2007, n. 18187);
5.
in esito all’integrale reiezione del ricorso le spese del giudizio di cassazione sono da regolare secondo soccombenza, nei termini di cui al dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore RAGIONE_SOCIALE controparti RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro