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Perdita di chance: l’illegittimità non basta

Una lavoratrice del settore sanitario ha agito in giudizio contro l’azienda sanitaria per il mancato conferimento di una posizione organizzativa, lamentando l’illegittimità della procedura di selezione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale in materia di risarcimento per perdita di chance: non è sufficiente dimostrare l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro, ma è onere del lavoratore provare la concreta e non meramente ipotetica possibilità di ottenere il risultato sperato, qualora la procedura si fosse svolta regolarmente. La Corte ha confermato la decisione d’appello che negava il risarcimento per mancanza di prova sul quantum, ossia sulla reale probabilità di successo della lavoratrice.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Perdita di Chance: L’Illegittimità della Selezione Non Basta per il Risarcimento

Nel mondo del lavoro, specialmente nel settore pubblico, le procedure di selezione per incarichi e promozioni devono seguire criteri di trasparenza e correttezza. Ma cosa succede quando queste regole vengono violate? È sufficiente dimostrare un’irregolarità per ottenere un risarcimento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: la differenza tra l’illegittimità di un atto e la prova del danno da perdita di chance. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso

Una collaboratrice sanitaria, in servizio da anni presso un’Azienda Sanitaria Locale (ASL), si vede negare l’attribuzione di una posizione organizzativa. La lavoratrice, ritenendo illegittima la procedura di selezione seguita dall’ente, decide di rivolgersi al Tribunale. Sosteneva che la selezione non avesse seguito criteri oggettivi e che, di conseguenza, le fosse stata preclusa un’importante opportunità di carriera.

Il Percorso Giudiziario tra Primo Grado e Appello

Inizialmente, il Tribunale dà parzialmente ragione alla lavoratrice. Pur non potendo nominarla direttamente all’incarico, riconosce l’illegittimità della procedura e condanna l’ASL a un risarcimento per perdita di chance, quantificato in 2.500 euro.

Tuttavia, la Corte d’Appello ribalta la decisione. Accogliendo il ricorso dell’Azienda Sanitaria, i giudici di secondo grado, pur confermando che la procedura di selezione fosse viziata (in particolare per l’assenza di una motivata comparazione tra i candidati), negano il risarcimento. Il motivo? La lavoratrice non aveva fornito la prova concreta di avere reali possibilità di ottenere l’incarico se la selezione si fosse svolta correttamente.

La Prova della Perdita di Chance secondo la Cassazione

La questione arriva così dinanzi alla Corte di Cassazione. La lavoratrice lamenta che la Corte d’Appello, una volta riconosciuta l’illegittimità della procedura, avrebbe dovuto automaticamente riconoscerle il diritto al risarcimento.

La Suprema Corte, però, rigetta il ricorso e chiarisce un principio fondamentale. Per ottenere un risarcimento per perdita di chance, non è sufficiente dimostrare che il comportamento del datore di lavoro sia stato illegittimo. Il danneggiato ha un onere probatorio più stringente: deve dimostrare che la sua possibilità di successo non era una mera speranza, ma una concreta probabilità, apprezzabile in termini percentuali. In altre parole, doveva fornire elementi (come titoli, esperienze, curriculum) che, messi a confronto con quelli degli altri candidati, la ponessero come una seria contendente per la vittoria.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su diversi pilastri argomentativi. In primo luogo, sottolinea che l’accertamento dell’illegittimità della delibera di conferimento degli incarichi era ormai un punto fermo, non più in discussione (cosiddetto giudicato interno). Tuttavia, questo non si traduce automaticamente in un diritto al risarcimento.

Il fulcro della motivazione risiede nella distinzione tra an debeatur (il ‘se’ è dovuto il risarcimento) e quantum debeatur (il ‘quanto’ è dovuto). La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda non perché la procedura fosse legittima, ma perché la lavoratrice non aveva provato il quantum, ovvero non aveva dimostrato in che misura la sua chance fosse stata compromessa. Il giudice di secondo grado, infatti, ha spiegato che la ricorrente aveva completamente omesso di dimostrare la concreta possibilità che avrebbe avuto di ottenere la promozione.

Inoltre, la Cassazione rileva che la lavoratrice non aveva riportato nel suo ricorso gli elementi utili a un raffronto favorevole con gli altri candidati, elementi che avrebbero potuto giustificare l’accoglimento della sua domanda risarcitoria. In assenza di questa prova, la chance resta una mera ipotesi e, come tale, non è risarcibile.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica per lavoratori e datori di lavoro. Per chi si ritiene danneggiato da una procedura di selezione illegittima, non basta contestare le regole del gioco; è indispensabile preparare una solida argomentazione probatoria che dimostri, con elementi concreti, di avere le carte in regola per vincere. Per i datori di lavoro, invece, emerge l’importanza di condurre procedure selettive non solo formalmente corrette, ma anche sostanzialmente trasparenti e motivate, per evitare contenziosi dall’esito comunque incerto. La perdita di chance è un danno concreto e risarcibile, ma la sua esistenza deve essere provata, non solo presunta.

È sufficiente dimostrare l’illegittimità di una procedura di selezione per ottenere un risarcimento per perdita di chance?
No, secondo la Corte di Cassazione, la sola prova dell’illegittimità del comportamento datoriale non è sufficiente. È necessario che il lavoratore dimostri anche di aver subito un danno concreto, ossia la perdita di una reale e seria possibilità di ottenere il risultato sperato.

Cosa deve provare il lavoratore per ottenere un risarcimento per perdita di chance in una selezione?
Il lavoratore deve dimostrare la consistenza della propria chance di successo, fornendo elementi concreti (come curriculum, titoli, esperienze) che permettano una valutazione comparativa e dimostrino che aveva una probabilità apprezzabile, e non meramente ipotetica, di essere scelto qualora la procedura fosse stata regolare.

Se una domanda viene respinta in primo grado, è sufficiente chiedere in appello la conferma della sentenza per le parti accolte?
No. Le domande non accolte dal giudice di primo grado devono essere espressamente riproposte in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. Un generico richiamo alle difese di primo grado o la semplice richiesta di conferma della sentenza non è sufficiente a far sì che il giudice d’appello esamini le questioni non accolte in precedenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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