Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31793 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31793 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14833/2020 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del l’ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1066/2019 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 9.3.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’attuale controricorrente, già dipendente della Regione Lazio, superò la prova preselettiva di un corso-concorso per diventare dirigente e venne quindi ammessa all’orale, per la quale venne fissata la data del 9.7.2002. Prima di quella data venne però inquadrata nella qualifica dirigenziale con un provvedimento di perequazione adottato il 25.6.2002. Sennonché tale provvedimento venne poi annullato dal T.A.R. del Lazio e la Corte costituzionale, con sentenza n. 195/2010, dichiarò incostituzionale la legge regionale n. 14 del 2009, con cui la Regione aveva disposto che fossero fatti salvi gli effetti dei provvedimenti di perequazione precedentemente adottati. La Regione Lazio, in data 3.8.2010, fu quindi costretta ad annullare definitivamente la determina di inquadramento quale dirigente dell’attuale controricorrente, che, ottenuta la perequazione, non aveva abbandonato il corso-concorso nel quale era stata ammessa alla prova orale.
La lavoratrice si rivolse allora al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo il riconoscimento del diritto ad essere inquadrata come dirigente o, in subordine, la condanna della Regione al risarcimento del danno da perdita di chance , per non aver potuto completare il corso-concorso per diventare dirigente.
Il Tribunale respinse la domanda, escludendo che si potesse ravvisare, nella vicenda, un inadempimento della Regione e ritenendo che la lavoratrice non avesse provato il superamento delle prove preselettive nel corso-concorso.
La lavoratrice si rivolse allora al la Corte d’Appello di Roma, che, in parziale accoglimento del gravame e in conseguente riforma della sentenza di primo grado, condannò la regione Lazio al risarcimento del danno da perdita di chance , liquidato in misura pari all’80% delle differenze retributive che l’attuale
contro
ricorrente avrebbe potuto percepire, quale dirigente, nel periodo tra la revoca del superiore inquadramento (3.8.2010) e la data del pensionamento (1°.8.2011).
Contro la sentenza della Corte territoriale la Regione Lazio ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
La lavoratrice si è difesa con controricorso.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia «violazione e/o falsa applicazione dell ‘art. 2697 c.c., de gli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ».
Sarebbe errato, secondo la ricorrente, l’accertamento , nella presente vicenda, di «un’ipotesi di comportamento illegittimo dell’Ente datoriale , foriero di un danno da perdita di chance »; danno di cui si sostiene che non sarebbe stata fornita alcuna prova, né quanto alla sua esistenza, né sotto il profilo del nesso causale con l’asserito comportamento illecito della pubblica amministrazione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia «nullità della sentenza per vizio di motivazione, in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
La ricorrente dichiara esplicitamente di ripetere le medesime critiche già mosse nei confronti della sentenza con il primo motivo, sotto il diverso profilo del vizio di motivazione («Il primo motivo del presente ricorso viene riproposto in parte anche sotto questo profilo»).
Il terzo motivo prospetta, nella sentenza impugnata, un «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Si contesta alla Corte d’Appello di avere accertato «la sussistenza del danno da perdita di chance , attraverso un ragionamento, che non ha tenuto conto di una circostanza determinante, che pure richiedeva una diversa attenta valutazione , ai sensi dell’art. 116 c.p.c.».
Il ricorso è inammissibile, perché -nonostante il tentativo di qualificarlo nei termini di una denuncia dei vizi di cui ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360, comma 1 , c.p.c. -esso consiste, in realtà, in una critica all’accertamento del fatto, che compete al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità.
4.1. Il primo motivo è volto a negare che l’attuale controricorrente fosse stata dichiarata decaduta dal corsoconcorso per diventare dirigente e che le fosse stata quindi preclusa la partecipazione alla prova orale. In tal modo la Regione punta a contestare la propria responsabilità per perdita di chance , attribuendo a una libera scelta della lavoratrice il mancato perfezionamento del corso-concorso.
La ricorrente si sofferma in particolare sulla sequenza cronologica tra un protocollo d’intesa con i sindacati in cui era prevista la decadenza dei concorsisti perequati (11.6.2002), la data fissata per la prova orale (9.7.2002) e la data in cui il protocollo d’intesa venne recepito dalla giunta regionale (26.7.2002). Si sostiene, inoltre, che la delibera giuntale avrebbe recepito il protocollo d’intesa con esclusione della clausola di decadenza dei concorsisti ammessi all’orale .
Su quest ‘ultim o aspetto -tipicamente in fatto -la sentenza impugnata contiene un diverso accertamento («Né,
contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della Regione, risulta che il punto 6 del pro tocollo d’intesa ‘ non è stato recepito dalla deliberazione della Giunta Regionale n. 1012 del successivo 26.7.2002 ‘» ). Inoltre, la Corte d’Appello ha evidenziato che , alla data fissata per l’orale, la delibera di recepimento non era stata ancora emessa, sicché la lavoratrice, sulla scorta di quanto indicato nel protocollo d’intesa, venne indotta ad abbandonare il corso-concorso, anche perché, grazie alla perequazione, «non aveva alcun interesse a sostenere la prova orale».
Non si esce, pertanto, dall a critica all’accertamento del fatto e all’apprezzamento di una circostanza anch’essa fattuale, ovverosia l’efficacia determinante dell’ illegittima perequazione rispetto al mancato completamento del corso-concorso da parte dell’attuale controricorrente. In tale apprezzamento la Corte territoriale non ha valutato solo la decadenza per effetto della perequazione, ma anche (e comunque) l’ induzione dovuta alla mancanza di interesse in conseguenza della nomina a dirigente ottenuta aliunde e al rischio, se non altro, che la prosecuzione della partecipazione al concorso potesse determinare la rinuncia alla perequazione.
Anche per quanto riguarda la configurabilità del danno da perdita di chance la critica si svolge esclusivamente in fatto (valutazione della probabilità di successo nel concorso abbandonato, in base al numero di altri candidati coinvolti e di quelli poi risultati vincitori).
L’unico aspetto che si avvicina a una questione di diritto sarebbe comunque infondato, perché si contesta alla Corte d’Appello di avere tenuto in considerazione, sul piano indiziario, il mancato adempimento a un ordine di esibizione di documenti. La ricorrente sostiene che l’ordine sarebbe stato superfluo , in
quanto «non avrebbe comportato l’acquisizione di utili elementi di valutazione». Ma con ciò si confondono i due piani distinti del l’ammissibilità e della valutazione della prov a: l’ordine di esibizione è stato validamente emesso dal giudice; se i documenti fossero stati esibiti, se ne sarebbe potuta apprezzare la rilevanza o meno ai fini della decisione ; ma l’inadempimento all’ordine è di per sé un argomento di prova utilizzabile, ai sensi degli artt. 210, comma 4, e 116, comma 2, c.p.c.
Incoerente con il contenuto della decisione è poi il riferimento -nella rubrica del primo motivo -alla violazione dell’art. 2697 c.c., per la semplice ragione che la Corte d’Appello non ha deciso la causa applicando le norme sull’onere della prova (ovverosia previa verifica di una residua ineliminabile incertezza della prova sui fatti rilevanti, da risolvere in base a quelle norme), bensì avendo positivamente accertato la verità dei fatti posti dalla lavoratrice a fondamento della sua domanda.
4.2. Il secondo motivo ripropone sostanzialmente le medesime censure per sostenere la tesi della nullità della sentenza per omessa o assolutamente contraddittoria e incomprensibile motivazione.
Ma la stessa lettura delle critiche mosse in questo e nel precedente motivo dimostra che la sentenza impugnata contiene un contenuto motivazionale che, seppur censurato nel merito, soddisfa ampiamente il «minimo costituzionale» di cui alla giurisprudenza di legittimità, a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 8053/2014 e 8054/2014 (v., tra le moltissime successive conformi: 21257/2014; 23828/2015; 23940/2017; 22598/2018; 7090/2022).
I giudici d’appello hanno dato conto del materiale probatorio disponibile e ne hanno apprezzato la rilevanza, sia ai fini della prova del nesso causale tra l’illegittimo comportamento
della pubblica amministrazione (consistito nell’avere dato corso a una procedura di avanzamento di carriera incompatibile con la disciplina legale del pubblico impiego) e l’ abbandono della legittima procedura concorsuale, sia con riferimento alla sussistenza, in capo alla lavoratrice, di concrete chance di successo nel corso-concorso abbandonato, la cui perdita è stata risarcita in quanto tale.
4.3. Infine, anche il terzo motivo ripete i medesimi argomenti, questa volta per prospettare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Ma, ancora una volta, l’illustrazione del motivo, lungi dall’individuare un fatto decisivo che non sia stato esaminato dal giudice d’appello, ripercorre e rivaluta gli stessi fatti che sono stati esaminati da quel giudice, con l’ unico obiettivo di dimostrare che sono stati esaminati male . Ma questo è appunto il merito del giudizio sul fatto, incensurabile in questa sede.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000 per compensi, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge , da distrarsi in favore dell’avv. NOME COGNOME
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della