Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25442 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25442 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11271-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso gli UFFICI DELL’AVVOCATURA REGIONALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
Oggetto
Dirigente pubblico impiego
R.G.N. 11271/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/09/2024
CC
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
ricorrente principale -controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 196/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/02/2019 R.G.N. 1373/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
la Corte d ‘a ppello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del locale Tribunale, reiettiva delle originarie domande del lavoratore, dichiarava l’illegittimità , per gli anni 2007 e 2010, dell’ iter di conferimento dell’incarico dirigenziale relativo alla ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , di cui alle deliberazioni della Giunta RAGIONE_SOCIALE n. 673/2007 e n. 341/2010, e, per l’effetto, condannava la Regione Lazio al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance , quantificato nella complessiva somma di € 38.255,64 oltre accessori nei limiti di cui all’art. 22 comma 36 legge n. 724/1994; quanto all’ulteriore incarico dirigenziale , conferito con deliberazione n. 112/2013, rigettava la domanda;
la Corte capitolina, ricostruito il quadro normativo (d.lgs. n. 165/2001, art. 19; legge reg. Lazio n. 6/2002, art. 20; regolamento reg. n. 1/2001, art. 162 punto 9), rilevava anzitutto, in relazione ai capi di domanda accolti, che l’incarico dirigenziale era stato conferito con ‘formula di stile’ ( « presenta tutti i requisiti per l’ottimale
svolgimento dell’incarico… ») prima allo COGNOME (2007) e poi al COGNOME (2010), senza previa comparazione tra i vari candidati e senza alcuna motivazione, donde la configurabilità del denunciato inadempimento;
con riguardo alla pretesa risarcitoria, calcolava, in rapporto al numero dei partecipanti alle suddette due procedure (rispettivamente 13 e 14 candidati), le probabilità del ricorrente di perdere le selezioni attraverso l’individuazione di un fattore (0,143) che utilizzava per quantificare in via equitativa il danno (in rapporto alla durata degli incarichi);
al riguardo sottolineava che, in difetto di allegazioni in ordine a una maggiore professionalità del COGNOME in raffronto con gli altri concorrenti, doveva presumersi che tutti avessero le stesse probabilità di conseguire la nomina in menzione, sicché, tenuto conto della maggiore retribuzione annua di € 66.880,49 pr evista per l’ ambito incarico dirigenziale rispetto a quella in godimento nonché della durata biennale dello stesso, procedeva alla determinazione del quantum debeatur (€ 38.256,64) senza operare distinzioni di chance fra i vari concorrenti;
relativamente al terzo incarico conferito al COGNOME (avviso pubblico del 7.5.2013) con deliberazione di Giunta RAGIONE_SOCIALE n. 112/2013, la Corte d’appello osservava, invece, che il ricorrente, nato il DATA_NASCITA e andato in quiescenza nell’aprile 2014, non avrebbe potuto aspirare a ricoprirlo, in quanto non poteva da un lato garantire il periodo di durata quinquennale e, dall’altro , assicurare la durata minima biennale prevista dall’art. 162 punto 9 del regolamento reg . cit.;
avverso tale sentenza la Regione Lazio ha proposto ricorso affidato a tre motivi, ai quali ha opposto difese NOME COGNOME con controricorso contenente ricorso incidentale basato su unico motivo;
il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. nel primo motivo del ricorso principale la Regione denuncia violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione degli artt. 1175, 1375 cod. civ. nonché dell’art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993 e succ. mod., dell’art. 20 legge reg. n. 6/2002 e dell’art. 162 del regolamento reg. n. 1/2002, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ .; la formula adottata per conferire l’incarico dirigenziale (« presenta tutti i requisiti richiesti per l’ottimale svolgimento dell’incarico, desunti dal titolo di studio, dalle specializzazioni, dall’esperienza professionale e dalla formazione manageriale ») non era affatto vuota di contenuti, come ritenuto dal giudice d’appello, ma rispecchiava le indicazioni contenute nell’allegato H, punto 22, espressamente richiamato dall’art. 162 del re golamento reg. cit., che, previa valutazione dei curricula, escludeva l’obbligo di procedure di «comparazione formale fra i dirigenti» connotando la scelta del candidato ‘più idoneo’ (non ‘migliore’) in termini eminentemente fiduciari;
1.1 il motivo non è fondato;
è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui «in tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Tali norme obbligano la PRAGIONE_SOCIALE a valutazioni comparative, all’adozione di
adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l’Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile» (Cass. 12.10.2010 n. 21088);
questa Corte ha anche precisato che non vanno confusi il diritto soggettivo al conferimento dell’incarico e l’interesse legittimo di diritto privato correlato all’obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento consacrati nell’art. 97 Cost., sicché il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l’attribuzione dell’incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all’inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministrazione (Cass. 23.9.2013 n.21700; Cass. 14.4.2015 n. 7495; Cass. 24.9.2015 n. 18972);
sul punto, la statuizione della sentenza impugnata, che ha correttamente disatteso la tesi, riproposta anche in sede di legittimità dalla Regione Lazio, della non necessità della valutazione comparativa e della assoluta discrezionalità della scelta operata, è conforme alla giurisprudenza di legittimità e, come tale, è esente da censure e va pienamente confermata;
2. con il secondo mezzo del ricorso principale si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli art. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; il danneggiato si era vista riconosciuta una posta risarcitoria benché non avesse assolto all’onere della prova, su di lui gravante; ed, anzi, era emerso che il COGNOME non aveva maggiori probabilità di essere scelto degli
altri concorrenti, tra cui COGNOME e COGNOME; in sostanza, mancava in capo al ricorrente, ad avviso della Regione, «un minimo livello di probabilità, indispensabile per poter rivendicare un danno da perdita di chance»;
con la terza critica si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.; il giudice d’appello sia era limitato a valutare il grado probabilistico con riferimento alle posizioni dei candidati prescelti senza considerare che c’erano altri concorrenti che «possedevano maggiori requisiti rispetto al COGNOME» e sui quali quest’ultimo nulla aveva dedotto;
il secondo e il terzo motivo del ricorso principale che, in quanto intimamente connessi sul piano logico e giuridico possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati;
va premesso, quanto alla sussistenza ed alla liquidazione del danno, che la Corte territoriale ha dichiarato apertis verbis che il dirigente «né nel ricorso introduttivo né in questa sede ha allegato alcunché sulla posizione degli altri concorrenti» ed ha aggiunto che «tale omissione, sebbene non pregiudichi completamente il diritto al risarcimento, si riflette necessariamente sulla quantificazione del danno», dovendosi presumere (sempre secondo la Corte capitolina) che tutti i concorrenti avessero le medesime possibilità di conseguire la nomina, essendo tutti in possesso dei medesimi requisiti richiesti; facendo seguito a tali rilievi, il giudice d’appello , poiché nei due concorsi ai quali il COGNOME aveva partecipato c’erano 13 e 14 candidati, è passato quindi a liquidare il danno «tenendo conto delle probabilità (per il COGNOME) di perderli che erano rispettivamente 12/13 e di 13/14»;
4.1 nelle argomentazioni della Corte territoriale si annida, tuttavia, un errore di diritto;
a fronte di una domanda di risarcimento del danno da perdita di chance il giudice del merito è chiamato ad effettuare una valutazione che si svolge su due diversi piani in quanto occorre innanzitutto che, sulla base di elementi offerti dal lavoratore, venga ritenuta sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell’esito positivo della selezione e solo qualora detto accertamento si concluda in termini positivi vi potrà essere spazio per la valutazione equitativa del danno, da effettuare in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito (Cass. n. 26694/2017);
rispetto alla prova del nesso causale tra comportamento illegittimo e danno risarcibile per perdita di chance , la giurisprudenza di questa Corte è d’altronde attestata su parametri valutativi che richiedono l’apprezzamento del probabile trasformarsi della chance in reale conseguimento del beneficio in termini di «elevata probabilità, prossima alla certezza» (così, testualmente, Cass. 9 maggio 2018, n. 11165; conf. Cass. 12 maggio 2017, n. 11906; Cass. 30 settembre 2016, n. 19604; Cass. 11 maggio 2010, n. 11353; Cass. 19 febbraio 2009, n. 4052; v. altresì Cass. 1° marzo 2016, n. 4014, ove il danno è stato riconosciuto sul presupposto che fosse stimabile un novanta per cento di probabilità di promozione);
tale impostazione va in questa sede ribadita, in quanto è chiaro che una cosa è la determinazione di un nesso causale tra un comportamento e un danno certo (nel quale caso in ambito civilistico vale appunto la c.d. regola del «più probabile che non»: Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576) ed altro è stabilire i criteri di valutazione della rilevanza di un pregiudizio che, pur essendo cagionato anch’esso dal comportamento altrui, è
addirittura incerto nella sua reale verificazione in senso giuridico (ovverosia quale perdita di un’utilità che si avesse diritto ad avere), quale è il danno da perdita di chance ; è in definitiva razionale che, proprio per l’incertezza rispetto alla spettanza dell’utilità in ipotesi menomata, la probabilità di verificazione di cui è necessaria la prova si collochi, come da giurisprudenza citata, verso i range più elevati della scala probabilistica (Cass. 9 marzo 2021 n. 6485 parla di ‘significati probabilit à’);
a detti principi non si è affatto attenuta la Corte territoriale ha commisurato il risarcimento al trattamento retributivo che il dirigente avrebbe percepito in caso di attribuzione dell’incarico tenendo però conto, tuttavia, di probabilità che erano, con accertamento di fatto qui insindacabile, ‘ pari ‘ per tutti i concorrenti alla selezione in parola (v. i passaggi della sentenza impugnata a p. 7, § 8, ultimo periodo: «infatti, in assenza di diverse allegazioni, deve ritenersi che tutti i concorrenti avessero le stesse probabilità di ricevere la nomina» e a p. 8, § 8.2: «la mancanza dei requisiti degli altri candidati impedisce distinzioni di chance tra i vari concorrenti, sicché non può che ritenersi che tutti i partecipanti a ciascuna procedura avessero uguale probabilità di essere scelti»);
a tali considerazioni segue, pertanto, l’accoglimento dei due motivi nei termini esposti;
5. con l’unico motivo di ricorso incidentale il COGNOME denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 20 della legge reg. n. 6/2002 e dell’art. 162 del regolamento reg. n. 1/2002; in relazione all’ ultimo avviso del 2013, la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevante che il COGNOME non fosse stato proprio considerato: illegittimamente la Regione aveva
proceduto a una selezione aperta a professionalità esterne pur in presenza, al suo interno, di un soggetto (come il COGNOME) pienamente idoneo;
la sentenza impugnata, valutando come preclusiva (per il conferimento dell’incarico dirigenziale) la circostanza che il COGNOME stesse per raggiungere l’età pensionabile, aveva aggiunto un nuovo requisito al bando (i.e., permanenza in servizio per l’intera durata dell’incarico) non stabilito dalla legge e dall’avviso di selezione;
5.1 il motivo è inammissibile perché non si confronta col decisum ;
la Corte capitolina, in disparte i profili di illegittimità della delibera n. 112/2013 accertati dal G.A., ha evidenziato, enunciando due distinte rationes decidendi , che il COGNOME non solo non poteva assicurare la permanenza in servizio per tutta la durata quinquennale dell’incarico dirigenziale ma non poteva a monte essere nominato a capo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE perché la sua designazione, stante il raggiungimento dei 65 anni d’età nel 2014 e il conseguente collocamento in quiescenza, era comunque preclusa da una puntuale norma regolamentare (art. 162, punto 9, reg. cit.) che prevedeva , per l’incarico dirigenziale, una «durata non inferiore a due anni»;
com’è agevole constatare, sullo specifico punto dell’impossibilità di garantire la durata minima il controricorrente nulla specificamente obietta, salvo addurre genericamente «di poter continuare la sua prestazione lavorativa pur avendo maturato il diritto di andare in pensione», aspetto (questo) ritenuto non provato dai giudici di secondo grado (v. p. 9, § 9.6: « l’allegazione per cui lo stesso sarebbe rimasto in servizio oltre il 65° anno è priva di qualsiasi concreto riscontro») con accertamento in fatto che resta insindacabile e che non può essere
censurato in questa sede di legittimità involgendo un’indagine riservata al dominio del giudice del merito;
tanto basta per la reiezione del ricorso incidentale;
in conclusione, va accolto il secondo e terzo motivo del ricorso principale e rigettato il primo nonché il ricorso incidentale;
la sentenza impugnata va conseguentemente cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto (si vedano i passaggi della sentenza impugnata richiamati al punto sub 4.1 che precede), la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con reiezione dell’originaria domanda risarcitoria del lavoratore ed affermazione del seguente principio di diritto:
« il risarcimento del danno da c.d. perdita di ‘ chance ‘ non segue automaticamente a una procedura concorsuale illegittima ma va individuato nella sussistenza di elevate probabilità di esito vittorioso della selezione, la cui prova, anche presuntiva, non può essere integrata dall’esistenza di probabilità tutte pari tra i vari concorrenti alla selezione di conseguire il risultato atteso, occorrendo che si dimostri il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il suddetto danno in termini prossimi alla certezza »;
le spese del giudizio possono essere compensate fra le parti, tenuto conto dell ‘ alterno esito delle fasi di merito e dell’accoglimento di alcune soltanto delle censure dell’ Amministrazione ricorrente.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il primo nonché il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, respinge integralmente l’originaria domanda risarcitoria del lavoratore; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio .
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 13 settembre 2024.