Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8548 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8548 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9190-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME; AMNESTY INTERNATIONAL -SEZIONE ITALIANA ODV, ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE, ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE, FONDAZIONE RAGIONE_SOCIALE LA RICERCA SUL RAGIONE_SOCIALE, FONDAZIONE RAGIONE_SOCIALE, FONDAZIONE SANTA LUCIARAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali
Oggetto
Pensione ENPALS
R.G.N.9190/2023
COGNOME
Rep.
Ud.30/01/2025
CC
rappresentanti pro tempore, tutti in qualità di eredi di NOME COGNOME NOME in qualità di esecutore testamentario, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4359/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/11/2022 R.G.N. 1326/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 4359/2022 la Corte d’appello di Roma ha respinto in parte qua il gravame dell’INPS averso la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME volto alla riliquidazione del trattamento pensionistico ex Enpals senza l’applicazione alla cd . quota B del massimale di cui all’art. 12, comma 7, del d.P.R. n. 1420/1971.
L’INPS contesta la pronuncia della Corte d’appello di Roma sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, Amnesty International -sez. Italiana ODV, RAGIONE_SOCIALE, Associazione Italiana Persone Down, Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS, Fondazi one Lega del Filo dRAGIONE_SOCIALE, Fondazione Santa Lucia, RAGIONE_SOCIALE, in qualità di eredi di NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME quale esecutore testamentario.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 30 gennaio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
In via preliminare deve essere disattesa l’eccezione di giudicato interno sollevata dalla difesa dei controricorrenti, volta alla dichiarazione dell’intervenuto passaggio in giudicato del capo di sentenza con il quale il giudice di merito ha accertato, in ordine alla quota B della pensione e dei supplementi di pensione (per cui è causa), che l’Ente ha errato anche nella parte in cui ha conteggiato un numero di contributi giornalieri inferiore a quello effettivo.
Come già affermato nei precedenti resi da questa Corte in cause sovrapponibili (Cass. 31/12/2024, n.35136; Cass. n. 23988/2024), il motivo di ricorso contesta in radice le argomentazioni della Corte d’Appello in ordine all’abrogazione del «massimale pensionabile» per la «quota B». Ne consegue che il computo di tale quota rappresenta un tema ancora controverso e che nessun giudicato interno può precluderne l’esame.
Il giudicato non si forma, difatti, sulle singole affermazioni della pronuncia gravata, ma sull’unità minima di decisione, che è quella che ricollega ad un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto; in tal senso si è anche parlato di «unità minima suscettibile di passaggio in giudicato».
In sostanza, ove la impugnazione investa anche uno solo degli elementi della «sequenza minima» fatto/norma/effetto nessun giudicato interno può dirsi formato (fra le molte, di recente,
Cass., sez. lav., 3 ottobre 2022, n. 28565; idem, ord. n. 24249/24).
INPS propone tre motivi di ricorso.
I) violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 1420 del 31 dicembre 1971 e dell’art. 4 del d.lgs. n. 182 del 30 aprile 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto che il massimale pensionabile di cui all’art. 12 de l d.P.R. n. 1420/1971 non operi nel calcolo della quota B del trattamento dei lavoratori dello spettacolo.
II) Violazione dell’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, come novellato dall’art. 38, comma 1, lettera d), numero 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. , per avere la Corte respinto il motivo di censura con cui era stato lamentato il mancato rilievo della decadenza triennale di cui all’art. 47 cit.
III) in subordine, violazione degli artt. 2935 e 2943 cod. civ. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. per non avere la Corte rilevato l’intervenuta prescrizione quinquennale del diritto alle differenze dovute sui ratei arretrati della pensione.
I primi due motivi sono fondati, con conseguente assorbimento del terzo, posto in via subordinata.
La questione giuridica dedotta con il primo motivo riguarda la determinazione della cd. quota B dei trattamenti pensionistici dei lavoratori dello spettacolo, oggi corrisposti dalla Gestione speciale del Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo istituita presso l’Inps (subentrato all’Enpals): la ‘quota A’ corrisponde «all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolate con riferimento alla
data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile» (art. 13, lettera a , del d.lgs. n.503/1992), e la ‘quota B’ «all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993» (art. 13, lettera b , del citato d.lgs. n. 503/1992). Relativamente alla ‘quota B’ vi è controversia sul permanere o meno del limite alla retribuzione giornaliera pensionabile di cui all’art. 12, comma 7, del d.P.R. n.1420/1971.
Si registra sul punto un ormai consolidato orientamento di legittimità, in forza del quale è stato chiarito che nella determinazione della ‘quota B’ della pensione non deve essere presa in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, la parte delle retribuzioni giornaliere che risulti superiore al limite fissato dall’art. 12, comma 7, del d.P.R. n. 1420/1971, così come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182/1997, poiché tale limite non è stato abrogato espressamente dai successivi interventi legislativi, né appare incompatibile con l’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182/1997, dovendo piuttosto ritenersi che la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, contribuendo a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale, sia coessenziale alla disciplina, collocandosi in un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, in ordine all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS (così, ex multis , Cass. n. 36056/2022, n.36641/2022, n.36444/2022, n.37043/2022, n.38016/2022, n.870/2023, n.1775/2023,
n.18169/2023, n.21010/2023, n.24526/2023, n.24555/2023, n.27494/2023, n.27503/2023).
Tale principio di diritto va qui ribadito, non essendo state prospettate dalle controricorrenti ragioni che inducano a discostarsi dall’orientamento consolidato, e resiste alle critiche ed ai dubbi di legittimità costituzionale formulati con riferimento all’art. 76 Cost., come già argomentato, tra le altre, in Cass. n. 18169/2023, n. 18295/2023 e n. 21010/2023.
Sostiene parte controricorrente che l’interpretazione adottata da questa Corte dell’art. 4, comma 8, del d.lgs. n.182/1997 sarebbe in contrasto con la legge delega (art.2, comma 22, lett. a) della legge n.335/1995), laddove prevede, come criterio direttivo , la ‘commisurazione delle prestazioni’ pensionistiche agli oneri contributivi sostenuti’. L’interpretazione adottata verrebbe invece a commisurare la retribuzione massima giornaliera a 315.000 lire a fronte dell’onere contributivo sostenuto sulla retribuzione massima giornaliera pari a 1.000.000 lire.
Nei citati precedenti è richiamata la pronuncia di Corte Cost. n.202/08 che, proprio riguardo al divario tra la retribuzione sottoposta a contribuzione piena (lire 1.000.000) e la retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione (lire 315.000), ne ha escluso il contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza, di adeguatezza e di proporzionalità della tutela previdenziale, «purché una certa proporzionalità venga assicurata e, soprattutto, non sia compromessa la realizzazione delle finalità d i cui all’art. 38 della Costituzione» (punto 2 del Considerato in diritto). Si è poi ricordato che la Carta fondamentale non richiede una «necessaria corrispondenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate», in quanto
l’adempimento dell’obbligo contributivo trascende l’interesse del singolo soggetto protetto e non obbedisce a una logica meramente corrispettiva (C. Cost. n.173/86, punto 10 del Considerato in diritto). Dunque, la ‘commisurazione’ delle prestazioni agli on eri contributivi, di cui all’art.2, co.22 lett. a ) l. n.335/95, se non letta nella rigorosa accezione di ‘necessaria corrispondenza’ cui si riferisce parte controricorrente, è rispettata dall’interpretazione qui accolta. Si deve aggiungere che, come ricordato ancora da C. Cost. n.202/08, la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile si colloca in «un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, quanto all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS; di talché non è possibile lamentare il semplice dato della diversità esistente tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile senza tenere presente l’intero sistema previdenziale in cui detta previsione si inserisce» (punto 3 del Considerato in diritto) (Cass. n. 21010/2023).
Al riguardo, come già chiarito da Cass. n. 36056/2022 e succ. conf., va ribadito che non risponde al vero che la legge delega si sia occupata di ritoccare la disciplina del massimale retributivo pensionabile in oggetto equiparandolo al massimale imponibile, poiché l’art. 2, comma 22, della legge n. 335/1995 si è limitato ad indicare al legislatore delegato la necessità di ridefinire le aliquote contributive, tenendo conto delle esigenze di equilibrio delle gestioni previdenziali, di commisurazione delle prestazioni pensionistiche agli oneri contributivi sostenuti ed alla salvaguardia delle prestazioni previdenziali in rapporto con quelle assicurative. Peraltro, è lo stesso art. 2, comma 22, che, alla lett. d ), indica la via di una armonizzazione che salvaguardi
comunque le normative speciali motivate da effettive e rilevanti peculiarità professionali e lavorative presenti nei settori interessati, quale è certamente il complesso normativo previdenziale relativo ai lavoratori dello spettacolo, più favorevole, come dianzi ricordato, per entità delle prestazioni e condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS.
La questione di legittimità costituzionale risulta pertanto, manifestamente infondata.
Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 nei seguenti termini: il primo giudice aveva ritenuto applicabile la decadenza triennale solo alle prestazioni liquidate con decorrenza successiva all’entrata in vigore del d.l . n. 98/2011, con la conseguenza che l’effetto estintivo avrebbe interessato solo il diritto alle differenze dovute sul supplemento di pensione (avente decorrenza da novembre 2012) e non il diritto alle differenze dovute sui ratei della pensione (decorrente da maggio 2000); nell’atto di appello l’Inps aveva ribadito l’eccezione di decadenza anche alla luce dell’entrata in vigore dell’art. 38 del d.l. n. 98/2011, ricordando che l’appellata era titolare di pensione dal 2000 e di supplemento di pensione dal 2012; a fronte di ciò la Corte, dopo aver illustrato (correttamente) i principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la decadenza trova applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate ma solo a decorrere dall’entrata in vigor e della legge introduttiva, ha poi respinto il motivo di appello, rilevando che il ricorso era stato depositato il 6.7.2018 ed era stata richiesta la condanna alle differenze maturate dal 1.7.2015; tuttavia, il primo Giudice aveva condannato l’Istituto a corrispondere le differenze maturate sui
ratei arretrati della quota B della pensione sin dalla decorrenza originaria, ossia dal 1^ maggio 2000, e non nei limiti del triennio anteriore al deposito del ricorso.
Il motivo è fondato.
La Corte di merito ha correttamente richiamato l’orientamento di legittimità consolidato in forza del quale il termine di decadenza introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. d ) n. 1) del d.l. n. 98/2011 convertito in legge n. 111/2011- (con riguardo “alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito”, decorrente “dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”)trova applicazione anche con riferimento a prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione (in particolare, Cass. n.17430/2021, sulla scorta di Cass. n. 28416/2020), concludendo che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguarda, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale (come da Cass. n. 4858/2022, Cass. 17430/2021 ex multis ).
Ha, però, falsamente applicato il principio di diritto esposto, riferendo la decadenza triennale al solo supplemento di pensione (decorrente dal l’anno 2012) e non anche alle differenze sul trattamento pensionistico (decorrente dal l’anno 2000), pur avendo dato atto che la domanda aveva ad oggetto l’illegittimità dei provvedimenti dell’INPS di riliquidazione degli importi corrisposti, rispettivamente, dal maggio 2000 e dal maggio 2012.
Il terzo motivo, posto in via subordinata, resta assorbito.
Non essendosi la Corte territoriale attenuta ai sopra indicati principi di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione,