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Pensione inabilità: negata se non si è in servizio

La Corte di Cassazione ha negato la pensione inabilità a un professionista che, sebbene iscritto alla cassa previdenziale, non esercitava più l’attività da molti anni a causa di procedimenti giudiziari. La Corte ha stabilito che il diritto alla pensione sorge solo se l’inabilità è la causa diretta dell’interruzione di un’attività lavorativa in corso, non se interviene quando il professionista è già impossibilitato a lavorare per altri motivi.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Pensione Inabilità: Negata se la Professione è Già Interrotta per Altri Motivi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22903 del 2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di pensione inabilità per i liberi professionisti: tale prestazione non spetta se l’infermità insorge quando l’attività lavorativa è già cessata per cause diverse, come una sospensione disciplinare o un procedimento penale. La decisione sottolinea che il requisito fondamentale è che l’inabilità sia la causa diretta dell’impossibilità di proseguire un’attività professionale in corso.

I Fatti del Caso: un Professionista Lontano dall’Esercizio

Il caso riguarda un notaio iscritto alla Cassa di previdenza di categoria dal 1974. La sua attività professionale si era interrotta bruscamente nel dicembre 1993 a seguito di una sospensione cautelare dovuta a un’indagine penale. Da quel momento, il professionista non ha mai più esercitato la professione, essendo coinvolto in ulteriori procedimenti che hanno portato a una condanna definitiva nel 2003, con annessa interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Nel 2013, a distanza di vent’anni dalla cessazione di fatto dell’attività, il notaio ha presentato domanda per il riconoscimento della pensione inabilità, adducendo una grave patologia alle corde vocali che gli impediva l’esercizio della professione. La sua richiesta è stata respinta sia dalla Cassa di previdenza che dai giudici di primo e secondo grado, i quali hanno ritenuto mancante il presupposto dell’esercizio attuale della funzione notarile.

Il Requisito dell’Attualità dell’Esercizio per la Pensione Inabilità

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione del regolamento della Cassa previdenziale. La norma prevede il diritto alla pensione in caso di cessazione dall’esercizio delle funzioni “per inabilità assoluta e permanente a proseguire nell’esercizio delle funzioni”. La Corte di Cassazione ha dato un’interpretazione rigorosa a questo passaggio.

I giudici hanno chiarito che il verbo “proseguire” presuppone un’attività in essere, o quantomeno giuridicamente possibile, che viene interrotta proprio a causa dell’insorgere della patologia. In altre parole, deve esistere un nesso causale diretto tra l’inabilità e la cessazione del lavoro. Nel caso di specie, tale nesso era assente: il professionista era già impossibilitato a lavorare da decenni per ragioni del tutto estranee alla sua salute.

Distinzione tra Iscrizione Formale ed Esercizio Effettivo

La Corte ha specificato che la mera iscrizione all’albo o alla cassa non è sufficiente a soddisfare il requisito. L’obiettivo della pensione inabilità è tutelare il professionista dal rischio di perdere la propria fonte di reddito a causa di un evento invalidante. Se il reddito è già venuto meno per altre cause (come una condanna penale), quella specifica finalità protettiva non può più trovare applicazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del professionista basandosi su un’argomentazione logico-giuridica stringente. In primo luogo, ha qualificato i regolamenti delle casse privatizzate come atti di natura negoziale, da interpretare secondo i canoni ermeneutici dei contratti, partendo dal significato letterale delle parole.

L’interpretazione letterale del termine “proseguire” è stata ritenuta inequivocabile: non si può “proseguire” un’attività che è già terminata. La sopravvenuta inabilità non ha avuto alcuna incidenza sulla cessazione dell’attività, già determinata dai procedimenti penali e disciplinari.

La Corte ha inoltre escluso che tale interpretazione violi i principi costituzionali di tutela della salute (art. 32 Cost.) e di previdenza (art. 38 Cost.). Il sistema previdenziale, hanno spiegato i giudici, è basato su un bilanciamento tra la tutela degli iscritti e la sostenibilità finanziaria della cassa. È ragionevole che il sistema preveda una tutela rafforzata solo per quelle situazioni in cui la vulnerabilità fisica è la causa diretta e scatenante della perdita della capacità lavorativa, distinguendole da casi in cui l’impossibilità di lavorare deriva da altre vicende.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione fissa un paletto importante per l’accesso alla pensione inabilità. Il diritto a questa prestazione è strettamente legato a un rapporto di consequenzialità diretta tra l’insorgere della malattia e la cessazione di un’attività professionale effettivamente in corso. Un professionista che abbia già interrotto il proprio lavoro per motivi disciplinari, legali o di altra natura non potrà ottenere la pensione qualora, in un momento successivo, dovesse manifestarsi una patologia invalidante. Questa decisione rafforza il principio secondo cui le tutele previdenziali sono concepite per coprire rischi specifici e non possono essere estese a situazioni in cui il presupposto fondamentale – l’esercizio di un’attività lavorativa – sia già venuto meno.

Un professionista che non lavora da anni a causa di una sospensione può ottenere la pensione inabilità se si ammala?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la pensione spetta solo se l’inabilità è la causa diretta dell’interruzione di un’attività professionale in corso. Se l’attività era già cessata per altri motivi, come una sospensione, il requisito non è soddisfatto.

Perché il termine “proseguire” nel regolamento della Cassa è stato decisivo?
Il termine “proseguire” implica la continuazione di qualcosa che è già in atto. La Corte ha interpretato questa parola in senso letterale, concludendo che non si può interrompere a causa di una malattia un’attività che, di fatto, non si stava più svolgendo.

Questa interpretazione viola il diritto alla salute e alla previdenza garantito dalla Costituzione?
No. La Corte ha ritenuto che la norma sia ragionevole e non incostituzionale. Il sistema previdenziale deve bilanciare la tutela degli iscritti con la sostenibilità economica. È legittimo distinguere tra chi è costretto a smettere di lavorare per una malattia e chi aveva già smesso per altre ragioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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