Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13159 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20938-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N.20938/2019
COGNOME
Rep.
Ud.14/03/2025
CC
avverso la sentenza n. 38/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 25/02/2019 R.G.N. 1731/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME titolare dal 1° luglio 2003 di pensione VOARTS integrata al minimo, ha presentato ricorso al Tribunale di Foggia lamentando che INPS, dal 1° dicembre 2009, data di concessione di prestazione pensionistica svizzera acquisita con i soli requisiti contributivi previsti dalla legislazione elvetica, aveva totalmente riassorbito l’integrazione al trattamento minimo in precedenza erogato.
Il Tribunale, respinte le eccezioni di decadenza dall’azione e di prescrizione sollevate dall’Istituto, aveva ritenuto illegittimo il riassorbimento perché l’art. 8 della legge n. 153/1969, in materia di totalizzazione dei contributi e cumulo dei periodi assicurativi, si applicherebbe solo se entrambe le prestazioni, ossia quella erogata dall’ente previdenziale italiano e quella da erogare a carico dell’ente previdenziale straniero, vengano acquisite con il cumulo dei periodi assicurativi compiuti nei due Stati, laddove nella specie, mentre era incontestato che il diritto alla pensione diretta italiana era stato acquisito mediante il cumulo, era dimostrato dai documenti, e non contestato da INPS, che la prestazione estera era stata acquisita senza il cumulo con i periodi assicurativi italiani.
La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 38/2019, ha riformato affermando che: la pensione estera ha un importo superiore al minimo e quindi costituisce un reddito sufficiente ad escludere la necessità che il pro rata erogato da INPS garantisca il minim o vitale al pensionato; non è di ostacolo l’art. 9-bis del d.l. n. 463/1983, convertito nella legge n. 638/1983
che si riferiva solo ai pensionati residenti all’estero ed è stato abrogato dall’art. 7, comma 3, legge n. 407/1990; neppure quest’ultima giova al pensionato (pag. 3); restano le regole distributive degli artt. 6 e 8 del d.l. n. 463/1983; in base all’art. 6 del d.l. cit. l’integrazione al minimo non spetta a persona che superi determinati limiti reddituali, ivi indicati; il COGNOME era titolare di un reddito da pensione estera superiore.
Avverso detta pronuncia NOME COGNOME propone due motivi di ricorso.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 14 marzo 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
La sentenza è censurata sulla base di due motivi.
I)nullità della sentenza per violazione del principio di disponibilità delle prove, ex art. 115 cod. proc. civ., per non avere la Corte posto a fondamento della decisione le prove fornite dalle parti, non avendo considerato né il mod PLCI adottato dall’appellante e prodotto dall’appellato né il certificato della prestazione elvetica reso dallo stato estero da cui poteva riscontrarsi l’esatto ammontare del rateo di pensione corrisposto dalla Svizzera, avendo, invece, utilizzato dati palesemente errati non introdotti da alcuna delle parti.
II)omesso esame di fatto decisivo, ossia il sopraggiunto formale mod PLCI, quale acquiescenza dell’Istituto, seppur parziale, alla condanna in primo grado ed impropriamente qualificato dall’INPS quale mero adempimento alla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva ex se.
In ordine al primo motivo, si osserva.
La Corte d’appello ha concluso per la reiezione della domanda sulla base della corretta applicazione delle disposizioni normative che regolano il riconoscimento dell’integrazione al minimo, per la concessione del quale non si può prescindere dal non superamento dei limiti reddituali individuati dall’art. 6 del d.l. n. 463/1983 convertito nella legge n. 638/1983.
Detta norma stabilisce che «l’integrazione al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni sostitutive ed esclusive della medesima, nonché delle gestioni previdenziali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, della gestione speciale minatori e dell’RAGIONE_SOCIALE non spetta ai soggetti che posseggano:
nel caso di persona non coniugata, ovvero coniugata ma legalmente ed effettivamente separata, redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte l’ammontare annuo del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti calcolato in misura pari a tredici volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio di ciascun anno;
b) nel caso di persona coniugata, non legalmente ed effettivamente separata, redditi propri per un importo superiore a quello richiamato al punto a), ovvero redditi cumulati con quelli del coniuge per un importo superiore a ((quattro volte)) il trattamento minimo medesimo».
Lo sbarramento di cui sopra opera in relazione a qualunque tipo di reddito -con esclusione delle sole voci indicate al comma 1bis -quindi, anche in un caso, quale il presente, in cui detto reddito è costituito da un trattamento pensionistico estero autonomo, considerato, altresì, che il comma 3 dello stesso art.
6 prevede che, nel caso di concorrenza di più pensioni, l’integrazione spetti una sola volta, ‘fermi restando i limiti di reddito di cui ai precedenti commi’.
Posto che la tematica affrontata in questa sede concerne il superamento dei limiti reddituali oltre i quali l’integrazione al minimo non può essere riconosciuta, non viene in considerazione l’interpretazione data da questa Corte dell’art. 8 della legge n. 153/1969, in materia di totalizzazione dei contributi e cumulo dei periodi assicurativi, in base al quale «i trattamenti minimi di cui al primo comma sono dovuti anche ai titolari di pensione il cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di assicurazione sociale, a condizione che l’assicurato possa far valere nella competente gestione pensionistica una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore a dieci anni. Tale integrazione …è riassorbita in relazione agli importi di pro -rata eventualmente corrisposti da organismi assicuratori esteri».
Né può farsi applicazione di quanto stabilito da Cass. n. 10204/2006, secondo cui la disciplina dell’art. 6 del d.l. n. 463/1983 non interferisce con il meccanismo del riassorbimento del trattamento minimo di cui all’art. 8 cit.: infatti, in detto precedente veniva in considerazione un profilo differente, poiché non si trattava, come nel caso che ci occupa, di un trattamento pensionistico estero autonomo bensì di un pro-rata estero, parte, con il prorata italiano, ‘di trattamento idealmente unitario’, non considerabile, in quanto tale, come reddito ai fini del superamento dei limiti per l’integrazione.
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso lamenta una nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in punto calcolo del quantum della pensione svizzera, perché,
secondo il ricorrente, la Corte avrebbe utilizzato prove non offerte dalle parti, trascurando di considerare le prove documentali prodotte dall’appellato.
Detta violazione non si riscontra, perché la Corte non ha fondato la decisione su elementi probatori disposti di sua iniziativa ma ha deciso sulla base dell’importo della pensione elvetica come indicato a pagina 1 della sentenza (1165 franchi svizzeri mensili), importo risultato incontestato.
Peraltro, al di là della mera rubrica del mezzo d’impugnazione , l’esposizione delle censure che sorregge tale motivo evidenzia, altresì, profili di violazione di norme di legge, poiché il ricorrente si duole diffusamente della circostanza che la Corte territoriale abbia calcolato il quantum della pensione estera, pacificamente espressa in franchi svizzeri, senza eseguire alcuna conversione in euro, così errando nell’applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 463/1983, convertito nella legge n. 638/1983, posto che i redditi, il cui superamento preclude l’integrazione al minimo, debbono essere calcolati in detta ultima valuta.
Considerato che, viceversa, la Corte del gravame ha effettuato il computo prendendo a base una prestazione pensionistica in franchi svizzeri ed è sul fondamento di tale erroneo presupposto che ha ritenuto superato il limite oltre il quale l’integrazione al minimo non spetta, sussiste la violazione dell’a rt. 6 del d.l n. 463/193, convertito nella legge n. 638/1983.
Il mezzo, quale emergente da quanto dianzi premesso, dev ‘ essere riqualificato secondo il principio di diritto in forza del quale «l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato»
(Cass. n. 22875/2024; n. 11517/2023, n. 1802/2019, n. 26310/2017, n. 25557/2017, n. 4036/2014).
Pertanto, così riqualificato, il primo motivo dev ‘ essere accolto, la sentenza impugnata va cassata, nei sensi di cui in motivazione, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che dovrà procedere ad esaminare la questione relativa al superamento del limite reddituale secondo i criteri indicati.
Il secondo motivo è inammissibile, in considerazione delle modalità con cui è stato proposto, che si scontrano con il principio di necessaria autosufficienza del ricorso e di specificità. Le censure non sono sorrette dalla trascrizione -quanto meno nei passaggi essenziali -del documento il cui esame sarebbe stato omesso, trascrizione indispensabile ai fini della valutazione di decisività di ogni profilo di denuncia contenuto in ricorso; pertanto, le stesse si pongono in contrasto con l’onere di completezza richiesto ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., onere che, riferito alla puntuale indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non riassuma adeguatamente il contenuto degli atti medesimi nelle parti necessarie a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione.
Conclusivamente, il primo motivo di ricorso va accolto nei sensi sopra specificati e, dichiarato inammissibile il secondo profilo di censura, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Bari in diver sa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 marzo